PROLOGO: Massachusetts, di notte, su una strada statale sepolta fra i boschi, troppo piccola per essere degna di qualsiasi guida turistica...

 

...e quindi teatro non inusuale per una Ferrari Testanera, il tipo di auto ideale per un pilota con molti soldi e scarso senso dell’orientamento.

Ancora meno inusuale, quindi, che il pilota in questione potesse decidere che il grazioso paese di Starkesboro –‘Un bel posto dove vivere’. Pop: 950- fosse la manna, almeno per fare rifornimento e passare la notte su qualcosa di più comodo del sedile.

La deviazione portò presto l’auto direttamente nella piazza centrale del paese, intorno alla quale si ergevano le case, come le due rive di un fiume. Data l’ora, era come se l’angelo della morte avesse fatto visita ad ogni abitante nella sua casa.

Il che, al visitatore, andava benissimo!

L’auto si fermò davanti alla chiesa. Si aprì lo sportello, e scese un uomo, o meglio un ragazzo in T-shirt, la testa rasata a zero, che non avrà potuto essere oltre i 20, ma con un fisico che denotava molta palestra e steroidi di marca.

Il ragazzo procedette lungo la scala con fare naturale. Solo a un esame ravvicinato, si sarebbe potuta notare l’effettiva immobilità dei muscoli facciali e degli occhi, le cui palpebre addirittura non sbattevano.

Il ragazzo afferrò la maniglia del portoncino incassato nel portone, e spinse. Come previsto, era aperto: in un piccolo paese, dove ognuno si può fidare del proprio vicino, aveva poco senso chiudere tutto a chiave.

 

L’interno della chiesa era discretamente illuminato da un gioco di candele e specchi. C’era luce a sufficienza per capire che quel luogo, col culto di Cristo non aveva nulla a che vedere.

Il ragazzo procedette per la navata centrale, su un tappeto verde bordato d’oro, fra due file di panche sovrastate da splendide finestre, decorate in alternanza da lupi su sfondi naturali e licantropi in armature medioevali su sfondi di castelli. Tutti esemplari magnifici, a sinistra femmine e a destra maschi, tutti solenni come a volere vegliare sui fedeli.

Nulla di questo importava allo sconosciuto straniero, che procedette verso l’altare a larghe falcate.

L’altare era una struttura di solido legno, coperta da un drappo bianco, sovrastata da un enorme disco dorato, un sole stilizzato su cui era inciso, in bassorilievo, una testa bifronte di lupo, che come Giano, guardava solennemente in direzioni opposte.

Indifferente, lo straniero strappò via, bruscamente, il drappo, rovesciando una ciotola e un calice, decorati con figure lupine e mannare.

Due mani afferrarono il bordo sporgente dell’altare, preparandosi a sollevarlo...quando la voce dietro di lui gli fece voltare la testa di scatto!

“Tsk tsk tsk, davvero. Con tanto ingegno per arrivare fino a qui, uno si aspetterebbe anche un minimo di buon senso. Fortuna per i buoni, tu non ne hai. O non saresti venuto affatto.”

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 1 – L’ombra del male strisciante

 

 

A parlare, da un balcone, era stato un lupo mannaro in carne ed ossa! Un esemplare maschio, vibrante di forza, appollaiato alla balaustra come un uccello predatore, e con un degno sorriso pieno di zanne. La sua pelliccia era nera e bianca, con una folta criniera nera che avvolgeva il collo e la schiena. Scodinzolava allegramente una coda dalla punta bianca degna di un re.

“Allora, Mr.T, lasci il tuo agente adesso, o ci provi lo stesso?”

Il volto del ragazzo, per la prima volta, manifestò un’emozione: ira. E una pistola fu estratta dalla tasca dei pantaloni. I colpi furono sparati nello stesso movimento, in rapida successione.

Ma quando i proiettili colpirono la balconata, il mannaro era già saltato! Odore d’argento. Non è così scemo come sembra, allora.

Il ragazzo continuò a sparare, ma il mannaro era più sfuggente dell’argento vivo, capace com’era di eseguire piroette e deviazioni durante la caduta...

...fino a quando non piombò con entrambi i piedi addosso al petto dello sventurato! Il ragazzo volò contro l’altare come un sacco. Talmente massiccio era l’altare, che non tremò neppure, in quell’impatto che spezzò le vertebre.

La creatura si avvicinò al corpo esanime, prudentemente fiutandone le condizioni di cadavere. Avrei dovuto fare più attenzione, in fondo era una vittima inconsapevole...per quanto il nostro Nemico riesca ad influenzare solo le menti più depra... “Whoulp!”

Il ragazzo poteva essere morto, ma il suo controllore non lo era. Ma il giovane mannaro possedeva un controllo totale sul proprio corpo. Per lui, pensiero ed azione erano una sola cosa; così, quando la mano del ragazzo, che non aveva mollato la pistola, sparò gli ultimi colpi, l’uomo-lupo era già saltato via. E poi uno vuole anche scusarsi!

Ancora a mezz’aria, veloce come il lampo, una mano andò alla cintura dei calzoni, l’unico abbigliamento del mannaro, e ne estrasse un nunchaku metallico.

Un altro rapido movimento mentre atterrava, e il mannaro lanciò l’estremità dell’arma contro la testa dell’avversario, distruggendogli il cranio più efficacemente di un proiettile!

A quel punto, privato dell’ultima interfaccia, il padrone del corpo abbandonò il suo burattino, che cadde per l’ultima volta.

Il mannaro mise a posto la sua arma, e allo stesso tempo una porta si aprì davanti a lui, la porta che dava sulla sacrestia.

Dalla soglia, emersero tre figure. Due erano altri mannari, nudi, un maschio e una femmina. Senza proferire parola, si avvicinarono al cadavere, e se lo caricarono in spalla prima di ritornare da dove erano venuti. Rimase la terza, una donna –una amazzone, che la camicia da notte non riusciva assolutamente a sminuire. I suoi capelli erano eleganti boccoli, fluidi in una chioma bionda lunga fino alle spalle. La donna guardava il mannaro severamente. “Apprezzo il risultato, Jon Talbain, per quanto il tuo vizio di giocare con la preda ti abbia fatto sprecare tempo prezioso.”

Jon si chinò su un ginocchio, le orecchie piatte e la coda arrotolata alla gamba in un’espressione di scusa. “Non lo avrei fatto, se la situazione fosse stata diversa. In fondo, anche il grande Rjallar...”

La donna guardò verso una vetrata, che mostrava un mannaro maschio nero in armatura, la grande spada appoggiata di punta al suolo. “Rjallar fu un grande, ma la sua spavalderia accorciò di troppo la sua vita.” La donna sorrise, maternamente, ed arruffò con una mano il collo del mannaro. “Ma tu, Jon, sei troppo importante per morire presto come colui che tanto ammiri. La lotta contro il Serpente è appena ripresa, e temo che da solo non basterai neppure tu.”

Cogliendo la malinconia delle ultime parole, Jon osò sollevare la testa ad incontrare lo sguardo di lei. “Sacerdotessa! L’intero paese può essere mobilitato, se servisse, e la nostra gente nel mondo...”

Lei ritirò la mano dalla criniera di lui, e scosse la testa. “Il Serpente è potente ed astuto. L’attacco di stasera dimostra che egli ha capito qual’è il punto debole delle nostre difese. Era solo una prova, l’esercito seguirà presto.”

La chimica del corpo di lei, e inflessioni di voce percepibili solo da un mannaro, gli dissero di alzarsi, e lui lo fece.

Lei gli prese la testa fra le mani, sotto le orecchie. “Raduna i campioni di cui ti ho parlato, Jon, e non ti fermare di fronte a nulla per riuscire. Io mi occuperò degli altri. Ora vai!”

Poi, la donna sfiorò un amuleto, un gioiello azzurro avvolto da un cerchio di rame, ancora carico di mistiche energie, che pendeva dal collo. L’ultimo talismano magico...Un solo errore, la scelta sbagliata, e non solo la loro gente, ma il mondo intero avrebbe sofferto la stretta del Serpente!

Labbra cremisi mormorarono un incantesimo, e l’amuleto prese a brillare...Per poi esplodere in un torrente di luce dorata, che avvolse il mannaro, rendendone la figura una statua luminosa, sempre più indistinta.

E poi, Jon scomparve.

Rimasta sola, la donna guardò la macchia di sangue che rovinava il tappeto. Finalmente, purtroppo, le visioni mandate dagli dei si stavano avverando. Gli dei erano morti, spazzati via da una forza implacabile[1]. E senza di loro, la sua fede si appoggiava sul nulla! Non aveva più alcun potere. Poteva solo fare seguire le ultime volontà dei loro protettori...

 

Muir Island, Scozia.

 

Viene un momento, nella tua vita, in cui ti chiedi perché la tua vita abbia preso un determinato sentiero, un percorso difficile ed irto di sofferenze, quando avrebbe potuto essere tutto diverso, forse anche meraviglioso.

Rahne Sinclair aveva passato una vita a cercare di esorcizzare, e riuscendo solo in parte, la presenza di suo padre, il Reverendo Craig, della chiesa del locale villaggio.

Come tutti i bambini, lei aveva cercato amore dall’uomo che era il solo riferimento della sua vita, poiché sua madre era morta dandola alla luce.

E Craig le aveva dato disprezzo e odio, e violenza. Craig era stato troppo vile da accettare di avere avuto una figlia da una donna molto speciale, e aveva abbracciato la fede come tentativo di purgare sé stesso.

Craig aveva accettato di crescere la piccola Rahne solo per infliggerle quel dolore che lui sentiva di meritare, e lei era cresciuta con un intero repertorio di sensi di colpa... Sensi di colpa ulteriormente acuiti dalla sua prima pubertà –dalla sua prima trasformazione in una lupa.

Rahne era una mutante, o così credeva. Ma, confusa e spaventata, credeva solo di essere stata marchiata dal demonio. Il suo stesso padre le aveva dato la caccia, insieme al suo ‘gregge’, per bruciarla. ‘Purificarla’, sbraitava il vecchio pazzo!

Solo la sua amicizia con la sua matrigna, la Dottoressa Moira McTaggart l’aveva salvata, e diretta poi verso una nuova vita, durante la quale aveva finalmente potuto capire chi fosse ed accettarsi. Non che non avesse sofferto, insieme ai Nuovi Mutanti, X-Factor ed Excalibur...Ma quelle esperienze l’avevano fatta crescere.

E ora, si sentiva di nuovo piccola, indifesa, sola contro il mondo.

Soprattutto, Rahne Sinclair si sentiva arrabbiata.

 

Sedevano nel salotto, intorno a un tavolino, e la guardavano come se pendessero dalle sue labbra, mentre lei si limitava a sorseggiare un caffè, e a lanciare occhiate torve a tutti.

Moira non diceva –non osava dire- niente. Si limitava a guardare qualche punto oltre la vetrata panoramica.

Il terzo ospite, se era imbarazzato, non lo dava a vedere. Era un uomo, una figura robusta, con folte sopracciglia grigie e una barba nera, i capelli arruffati -il tipo di persona che avresti visto con una camicia di flanella, intento a tagliare alberi con una scure, piuttosto che, come ora, elegantemente vestito e in mano un bastone d’ebano con una testa di lupo d’argento.

“Ti ho spiegato quanto dovevo, guerriera,” disse finalmente l’uomo, con voce solenne come la sua espressione, e colorata da un esotico accento celtico. “Quale è la tua risposta?”

Rahne depose la tazza. “La mia...risposta?” le tremava la voce, adesso –ma non avrebbe pianto, questo mai! Guardò l’uomo dritto negli occhi. “Per esempio, che potreste morire tutti, per quanto mi riguarda?

“Cosa avete fatto voi, per me, per meritare il mio aiuto? Mi...mi avete abbandonata, come avete abbandonato mia madre!” Rahne serrò i pugni, i primi elementi della trasformazione alterarle la faccia, “Per tutta la vita, sono cresciuta senza sapere quale fosse il mio posto nella società, divisa fra due mondi...E la sai una cosa? Avrei persino potuto essere una principessa, se solo mi fossi decisa a rimanere su Asgard, dove c’era qualcuno che mi amava senza condizioni!

“E ho voluto restare sulla Terra, a fare l’eroina mutante...quando, fin dal principio, avrei potuto vivere fra voi, fra la mia vera gente. Sarei stata felice...” Il tremito si era esteso a tutto il corpo. Dio, come desiderava diventare lupa e squarciare l’intera stanza con la forza della sua amarezza.

L’uomo non sembrò impressionato. Bevve un sorso di tè con calma, e depositando la tazza, disse, “Tua madre ci fece una grave offesa, fuggendo con quel miserabile cacciatore che era Craig Sinclair. Era stata espulsa, Rahne, secondo una legge precisa. Era nostro dovere dimenticarla, a meno che lei non fosse tornata, pentita, a noi.

“Di conseguenza, non sapevamo nulla della tua nascita o delle tue imprese...Anche se,” e qui, abbassò la testa, “a nostra grande vergogna, avremmo dovuto riconoscerla in te, quando riuscimmo a chiamarti a noi[2]. Di lei, hai ereditato tutto, dall’aspetto al grande coraggio, anche se i tuoi capelli sono rimasti corti. I suoi, erano una cascata di fuoco che ha fatto impazzire molti, nei corteggiamenti della Luna piena.”

Finalmente, Moira si decise ad allungare le mani, a prendere quella di Rahne. Una lacrima scorreva da sotto gli occhiali. “Piccola mia...Ti prego di credermi: non avevo che pochi sospetti ed indizi nebulosi. Se lo avessi saputo, non ti avrei mandato da Charles, ma alla tua gente.

“Craig mi lasciò incontrare tua madre solo in occasione della tua nascita...Era un parto così difficile, eppure lei non si lamentò una volta sola. Fu in quell’occasione, negli sprazzi di lucidità che il travaglio le concedeva, che mi chiese davanti a un prete che aspettava di dare l’estrema unzione e a suo marito, di farti da matrigna quando tutto fosse finito.

“Ne’ Craig ne’ il prete si accorsero che, nel parlare, i suoi occhi erano diventati quelli di un lupo. E io stessa attribuii il fenomeno alla stanchezza, concentrata com’ero sul parto da diverse ore.

“Poi tu nascesti, così piccola, e già ricoperta da una fitta peluria rossa. Purtroppo, quella fu vista da tutti. E, scioccamente, la prima cosa che pensai, era che come mutante dovevi essere la più precoce mai vista...”

Rahne si scoprì a ricambiare la stretta gentile di Moira. Improvvisamente, le sembrava così stupido, di essere arrabbiata con la donna che era stata la sua ancora di salvezza... “E non lo ero, vero? Come Sub-Mariner, figlio di due razze diverse, sono una” stava per dire ‘bastarda’, ma si trattenne “un ibrido. Non possiedo il Gene X, ma qualcosa capace di ingannare le macchine.”

L’uomo annuì. “Non so quali macchine prodigiose possano dire la differenza fra un uomo e questi...mutanti, ma, tu, Rahne, sei una Tuatha da Danann, una Figlia degli Dei. E la tua gente, la tua razza, hanno bisogno di te. Accetta di aiutarci, e la nostra casa sarà la tua casa.”

Rahne guardò verso il panorama. L’alba era una tempesta di grigio e fuoco, i gabbiani lievi come radi fiocchi di neve in una brezza gentile. C’era così tanto che non sapeva, della ‘sua’ gente...Potevano essere una famiglia come lei aveva sempre immaginato? E perché sua madre li aveva lasciati, per entrare in un mondo che sapeva ostile? Forse, allora, Craig era diverso, anche se le era difficile solo immaginarlo capace di tenerezza, addirittura di sedurre una donna del popolo-lupo...

Ma la scelta era facile, no? Restare con Moira, fingere che quell’incontro non fosse avvenuto, o... O lasciare degli innocenti morire. Sempre che quella storia del Serpente Nemico fosse...

No, stava entrando in un pensiero circolare! L’unica certezza era, che se fosse stata una trappola, Moira avrebbe chiesto aiuto a ogni mutante a le conosciuto per salvarla. “E sia, Mallor. Farò come chiedete. Lady Moira..?”

La donna annuì con un sorriso orgoglioso. “Fai quello che devi, e ricorda che avrai sempre un posto speciale nel mio cuore.”

Si abbracciarono.

 

L’auto lasciò il centro di ricerche poco dopo, sotto gli occhi elettronici del sistema di sicurezza...

E quelli organici, a distanza di sicurezza, della prima avanguardia del Nemico!

Un peccato, doversi limitare a fare rapporto, invece di potere attaccare la ragazza ora –ma anche il Nemico era cosciente dei legami della ragazza con la comunità mutante.

Ma il momento del Serpente sarebbe giunto presto..!

 

Montagne della Transilvania...

 

Fino a non molto tempo prima, il lupo era una specie data per estinta. I programmi di reintroduzione erano riusciti, faticosamente, a ridargli un habitat naturalmente protetto da montagne che l’uomo di città non avrebbe attraversato, se non con attrezzature e mezzi troppo costosi per valere giornate infruttuose e forse degli arti rotti.

 

Questi due maschi rossi europei sarebbero stati motivo di grande curiosità, per uno zoologo. Non che fosse inusuale vederne due correre e cacciare insieme –poteva capitare che due fratelli decidessero di ampliare le proprie possibilità dopo avere lasciato il branco per la prima volta.

Questi lupi, di fraterno non avevano nulla. Eppure, si comportavano l’uno con l’altro come se fossero stati una coppia per la vita. I pochi che li avevano visti erano pronti a giurare sulla loro inseparabilità. E sulla loro astuzia: dove passavano loro, non c’era più una trappola funzionante; il cacciatore che si addormentasse sul loro territorio si ritrovava privato nottetempo delle sue armi o delle ruote della auto.

I due strani lupi non toccavano le greggi...fino a quando i pastori non osavano sconfinare, e allora si capiva che una pecora mancava solo perché il conto non tornava.

Ma la loro vita era in fondo semplice, senza altra esigenza che viverla in pace, con il cibo che offriva la montagna e l’amore della reciproca compagnia, in attesa dell’Ultima Carezza...

Tutto questo, naturalmente, se il destino avesse voluto concedere loro simili lussi!

La coppia dormiva nella propria tana alla base di un albero, imprendibili per qualunque intruso, quando due paia di orecchie triangolari, sensibilizzate da una vita di pericoli, lo percepirono.

Come un ‘pop’, uno scoppiettio, di una massa che improvvisamente andava ad occupare una posizione spaziale libera.

Concetti tutt’altro che alieni per questi lupi, che dentro di loro temevano che un nemico li avrebbe raggiunti.

Si alzarono in piedi, ringhiando, il pelo sulla schiena dritto. Almeno, non sarebbero caduti senza combattere.

 

Fuori, i loro avversari si scambiarono un’occhiata al suono del duplice ringhio.

Si trattava di tre individui, un uomo e due donne. Indossavano costumi con parti metalliche forgiati in guisa serpentina. L’uomo, al centro, due specie di ali estendersi dalle braccia, si rivolse alla robusta donna alla sua sinistra. “Anaconda, se vuoi?”

Le braccia intere di lei erano coperte da metallo, terminante nelle mani in bocche di serpente a fauci spalancate. Annuì, ed estese gli arti...Che si estesero, letteralmente, come serpenti essi stessi, dentro l’ingresso della tana.

 

I lupi si tennero pronti. Erano decisi: gli era stato concesso di spendere quel poco tempo insieme, e insieme avrebbero vinto o sarebbero caduti.

Le fauci metalliche erano a due metri, spalancate, le zanne attraversate da archi voltaici...

 

“Non credo possano tentare trucchi, Diamondback,” disse l’uomo alla donna atletica alla sua destra, ma tieniti pronta ugualmente.

“Ci puoi scommettere, Sidewinder,” rispose la donna dai corti capelli d’argento, in mano dei dardi di cristallo simili a diamanti.

“E se invece scommettessimo che se non li lasciate in pace vi faccio secchi io?”

Fu come averli passati a corrente elettrica! Furono persino buffi, nel voltarsi tutti insieme e con lo stesso movimento,

a ritrovarsi faccia-a-muso con un lupo mannaro appoggiato di schiena a un albero, braccia incrociate sul petto.

“Occavolo,” disse Anaconda.

Diamondback fu meno eloquente, e altrettanto veloce a lanciare i dardi. Una mossa inutile, se avesse avuto modo di sapere cosa era successo a Starkesboro poco tempo prima.

Evitati i dardi con un salto, ancora a mezz’aria, Jon Talbain estrasse e fece roteare i nunchaku fino a renderli un unico circolo argenteo intorno al suo torace. Un movimento ipnotico, che Anaconda, ironicamente, non si rese neppure conto di stare osservando come un coniglio pronto per il serpente...

Poi, la saetta metallica colpì! Il metallo del braccio destro si incrinò con un suono sinistro. La donna urlò, ritirando istintivamente il braccio sano!

“No!” esclamò Sidewinder ad Anaconda, “Presto, dev...Nyarrgh!” l’ultimo verso, l’uomo lo produsse nel trovarsi un piede artigliato conficcato nel fianco. Solo la spessa pelle del costume gli impedì una lesione grave. Sidewinder rovinò a terra.

Jon aveva usato il corpo del leader come trampolino per piroettare all’indietro ed atterrare davanti all’albero, da cui i due lupi stavano già emergendo. Uno osservava il nuovo venuto con curiosità, l’altro aveva il muso contratto in una maschera d’odio concentrata verso gli umani.

Anaconda riuscì a ritirare anche il braccio ferito. “Chiunque tu sia, cagnolino, hai appena fatto un bell’errore!”

Jon assunse una posa da combattimento degna di Bruce Lee. “Davvero?”

Anaconda fece scattare una gamba, che si estese fulminea, impercettibile per un occhio umano.

Lenta come melassa, per il mannaro, che la evitò semplicemente saltando. La gamba si conficcò nel solido legno, incastrata. Jon vi atterrò come su un cavo teso, e...corse incontro ad Anaconda, gli artigli della mano destra sguainati come pugnali.

Diamondback capì cosa stava per fare, e lanciò altri dardi. E, in un certo senso, funzionò.

Funzionò, solo perché il mannaro, anziché infliggere un colpo mortale, intercettò i dardi con un colpo di artiglio, e nello stesso movimento diede una pedata al cranio di anaconda, prima di saltare via da lei

ed atterrare davanti alla allucinata criminale. Talbain sorrise, mostrando due acuminati molari che sporgevano dall’arcata superiore. “Vediamo un po’...Prima missione, giusto?”

La giovane donna fece cenno di sì, pallidissima.

Lui le fece ‘no-no’ con un dito davanti al naso. “Dammi retta: devi ancora farne, di pratica, o...eh?”

Ma, nel momento in cui finiva la frase, la donna, con il ‘pop’ con cui era arrivata, scomparve.

Jon si voltò di scatto, solo per vedere che anche i suoi complici erano scomparsi, lasciandosi dietro solo impronte nella neve e schegge di legno.

Jon si grattò la testa. “Ma tu guarda...Buoni 2, cattivi 0, si direbbe, vero belli?”

I due lupi non erano fuggiti, ma stavano seduti, a fissare il loro salvatore.

Talbain si accosciò davanti a loro. “Sentite, io non so come dirvelo, sono un guerriero e non un diplomatico...Ma c’è un grande bisogno di voi, per questo sono qui. Voi non appartenete alla mia gente, e avete già sofferto abbastanza per mano dell’uomo...Insomma, avreste tutte le ragioni per mandarmi a quel paese...Ma devo chiedervi lo stesso di tornare a combattere. Se non per riconoscenza a me, almeno per salvarvi la pellaccia: il Nemico vi vuole morti con o senza me a rompere le scatole.”

I due lupi si scambiarono un’occhiata. Il lupo rosso più anziano emise un uggiolio pietoso, le orecchie piatte. Il suo compagno fece scattare la mascella a pizzicargli il muso, per spingerlo all’obbedienza.

Poi, la coppia si allontanò di corsa, non prima di essersi assicurati che il loro salvatore li seguisse.

 

Da qualche parte nel Canada...

 

Sentiva il pericolo avvicinarsi. Il cielo su di lui era una distesa stellata, serena, coronata dalla Luna. La foresta tutto intorno cantava dei suoni della vita...Ma non era al mondo, che lui stava rivolgendo la sua attenzione. No, i suoi occhi potevano anche vedere nelle impalpabili linee del tempo, e quella che era stata una semplice potenzialità stava diventando realtà.

La pace, per la sua gente, era finita. Era tornato il momento di combattere.

La creatura lupina era una figura imponente, altra oltre due metri di puri muscoli e una folta pelliccia grigio-bianca, gli occhi rossi, e niente coda.

Era il più forte, era il leader. Era sua responsabilità unirsi alla sua visione, per prevenire la desolazione che incombeva.

Colui che a pochi era conosciuto solo come ‘Puppy’ o Predatore nel Buio, voltò la testa verso le lontane Montagne Rocciose.

 

Muir Island.

 

Era come se lo ricordava.

Una foresta incantata, lontana dal tempo, un’oasi di pace in cui la sua gente si era rifugiata tanto tempo prima.

I Tuatha da Danann, i licantropi Celti, scacciati via dall’uomo perché creduti imparentati col diavolo.

Guardandoli lì, in una doppia fila d’onore, le lance dalla punta di roccia incrociate alte sopra la testa, Rahne si vergognò ad avere avuto pensieri così egoisti verso di loro. Lei, che non era che un frammento di questa luna fila di persecuzioni, aveva avuto almeno una possibilità...

Il tempo non aveva intaccato questi ‘Figli degli Dei’, che vestivano come tanti secoli prima facevano, di cuoio, o pelli. Ogni eventuale decorazione, ogni arma, e protezione del corpo erano di natura rocciosa, levigata magistralmente.

Accanto a lei, Mallor aveva smesso l’incantesimo che lo faceva sembrare un uomo moderno, e nella sua veste di cuoio con un mantello di pelliccia, la barba più folta e ruvida, sembrava ancora più imponente. L’uomo le sorrideva gentilmente. “Non avere paura, giovane figlia di Sallara. Quello che vedi è l’omaggio che ti spetta. Andiamo.”

Rahne si incamminò. L’ultima volta che aveva avuto gli onori militari, era stato tanto tempo fa, a Nova Roma, anche se per secondi fini delle sue autorità...Qui, non c’erano folle oceaniche, o cori di gioia, ma le sensazioni erano ugualmente palpabili, visibili nei rudi volti degli uomini, o in quelli finemente cesellati delle donne.

Si rese conto che, nonostante fosse fuggita da loro, la prima volta, l’avevano aspettata!

La doppia fila, un tunnel vivente di uomini ed armi, accompagnò lei e Mallor fino all’ingresso di una casa –una struttura di pietra dal tetto in paglia, una delle poche, disposte in una specie di piazzola disadorna...Ma, del resto, a cosa poteva servire una dimora artificiale, fissa, quando si poteva vivere come lupi nella foresta?

Rahne si fermò davanti alla porta. Allungando una mano esitante alla maniglia, capì che non era desiderio di fuggire dalla realtà, quel suo vecchio desiderio di spendere i suoi giorni nella forma a quattro zampe...Era solo un istinto della sua razza...

Così tante cose ancora, da capire! Pensò Rahne, mentre apriva la porta.

Gli odori erano vecchi di anni, una mescolanza di una casa abbandonata e dei suoi perduti abitanti. Rahne riconobbe quello dolce di sua madre, una carezza malinconica e mai dimenticata, meravigliosa. Non si accorse nemmeno di avere assunto la sua forma semilupina, le orecchie frementi di piacere. Solo a quel punto, permise alle lacrime di correre. “Mallor?”

Il guerriero le mise le mani sulle spalle. “Dimmi.”

“Niente...” Dio, quante domande voleva fare, se solo ci fosse stato il tempo..!

Lui rispettò l’umore di lei. Annuì, e disse, avanzando nella casa, “Seguimi. Ciò che devi avere è nella cantina.”

 

Sembrava impossibile, ma il buio là dentro era talmente fitto, che perfino la torcia accesa da Mallor era appena sufficiente a rischiarare la stanza.

Era sufficiente.

La statua, grande come un pony, giaceva al centro della stanza, una riproduzione metallica dai riflessi d’ebano di un lupo sdraiato come un leone, maestoso. L’esecuzione era perfetta; placche dalle linee morbide coprivano gli snodi. I suoi occhi erano due pozze ambrate. Un amuleto pendeva dal collo della bestia: un diamante perfettamente rotondo, sfaccettato di un arcobaleno soprannaturale e avvolto da un circolo d’oro.

Rahne accarezzò il metallo, ed ebbe la sensazione di toccare una cosa viva. “Era di mia madre?”

Mallor appese la torcia alla parete, e le si avvicinò. “Sallara era una sacerdotessa-guerriera, l’ultima a portare questo titolo, discendente di una stirpe dedicata a proteggere e divinare. Quello che vedi, si chiama Jillgar. Non è solo una statua, ma una creatura a suo modo viva, creata da mani molto più antiche della nostra gente, per fungere da supporto ai sacerdoti-guerrieri.

“Dicono che ne fossero stati creati altri, ma di loro si sono perse le tracce. Jillgar è insieme un destriero e un’armatura, fedele solo al suo proprietario.”

“E l’amuleto?” chiese Rahne, continuando a guardare l’essere...la statua negli occhi ipnotici, vivi.

“L’amuleto è qualcosa che potrai usare solo quando avrai raggiunto lo stadio di sacerdotessa. Tua madre era arrivata a divinare e a fare molti incantesimi, con questo. Prego solo che tu ti dimostri degna.”

Lei fece una smorfia. “Grazie per il voto di fiducia.”

Lui mise le mani davanti, rosso in viso. “No, no! Non intendevo...Volevo dire..”

Finalmente, Rahne rise. “Scherzavo!” Poi, di nuovo seriamente, accarezzando l’amuleto, disse, “So di avere una nuova, lunga strada davanti, e...Mallor?”

Che strana sensazione! Come se qualcuno l’avesse accarezzata contropelo con un soffio gelido...Rahne si voltò, quell’odore familiare ora fresco, come se... “Mamma?”

Lei era lì, un faro splendente nell’oscurità, bella come l’aveva sempre descritta Moira, una valchiria dai lunghi capelli rossi, tenuti fermi da una fascia metallica all’altezza della fronte. La sua pelle era abbronzata, sana, su un volto ovale così perfetto da sembrare il capolavoro di un artista. Come un’onda, una lunga gonna verde le copriva il corpo.

“Rahne,” disse Sallara, estendendo le braccia.

Rahne ritornò ragazza, e raccolse l’invito, sprofondando nella morbidezza che dentro di lei aveva sempre cercato. “Sei tu...Dio, grazie, grazie...”

Sallara le accarezzava la testa, sorridendo dolcemente. “Sono così fiera di te. Deve essere stato così difficile scegliere questo sentiero, figlia.”

Rahne inalò l’odore, le sensazioni fisiche...Non poteva sbagliarsi, ed era bellissimo. In quel momento, non esisteva più nulla che loro due. Per un po’, il mondo poteva essere dimenticato, e Rahne Sinclair poteva riposare in quell’abbraccio...

Solo che, improvvisamente, quell’abbraccio venne a mancare, e la ragazza si sentì mancare l’aria. Fu talmente improvviso, che si scoprì a cadere a terra, boccheggiante. L’apparizione urlò, “NO!” e scomparve in una nube nera.

Mallor fu al fianco di Rahne, sorreggendola. “Mia signora! Quella...cosa la stava...”

Lei si mise in piedi, ancora la visione incerta. “Stava uccidendomi. Un’illusione, generata da un mostro così crudele da usare chi amo per farmi del male...” la furia la stava alimentando, ormai. “Grazie per avermi salvata, Mallor.”

“Non sono stato io,” fece lui, guardando verso Jillgar, o meglio verso l’amuleto che splendeva di una luce spontanea. “E’ stato l’amuleto...Dei, devi possedere uno spirito già puro, se ha reagito così per proteggerti...Cos’è?”

Lo avevano sentito entrambi. Un grido di dolore, guaiti e suono di metallo contro metallo.

Mallor sguainò la sua spada. “Il Nemico ci ha trovati, alla fine! Mia signora, li terrò occupati. Tu unisciti a Jillgar!”

Rahne lo vide correre di sopra, poi guardò la statua. Unirsi..? “E come si fa, ad unirsi a una...”

<Lascia che sia io stessa, a dirtelo,> sussurrò una voce nella sua mente, e questa volta Rahne, istintivamente, ringhiò, sicura di una nuova trappola...

Poi, si udì una specie di grugnito, e la figura inerte di Mallor precipitò giù dalle scale. “MALLOR!” Rahne si precipitò da lui. L’odore le diceva che era ancora vivo, ma a stento. Un braccio era rotto, e aveva delle costole rotte, e uno squarcio sulla gamba...

“Bene bene, così Fido è ancora nella cuccia.”

Lei snudò i denti, alla enorme figura sulla soglia –più un robot che un uomo, con indosso un’armatura dalle fattezze serpentine, e una spessa coda acuminata.

Il secondo uomo, un orientale, a portare il nome di Death-Adder, sorrise sinistramente.  “Siamo qui solo per te, tesoro. Arrenditi, e nessun altro morirà.”

Solo allora, Rahne avvertì una nuova zaffata di odore –odore di morte. Dei lupi erano stati uccisi, in quella casa.

Guerrieri che volevano, dovevano proteggerla...

MAI!” Per la prima volta dopo tanto tempo, Rahne fu presa dalla Furia! A giudicare dal suo irrigidirsi, neppure Death-Adder se lo aspettava. Nella sua forma ordinaria, Wolfsbane era di poco più robusta e alta della sua forma umana. Ma quando, come ora, nel saltare addosso al nemico, era nella sua ‘forma estrema’, era non solo più animalesca, ma anche grande abbastanza da potere fare a botte con un grizzly!

Death-Adder, per quanto a prova di proiettile, fu scaraventato all’indietro come avesse pesato niente. Immediatamente, Wolfsbane gli scaraventò addosso una tempesta di magli e artigli. “Allora, mostro! Cosa si prova, quando qualcuno può reagire, eh? Cosa si prova??

L’elmo a bocca di serpente stava letteralmente deformandosi. Un metallo di qualità inferiore si sarebbe già spezzato. Purtroppo, la fortuna del criminale era che, nel suo cieco attacco, Wolfsbane non stava curandosi di niente altro che la sua preda.

Troppo tardi, si ricordò che Death-Adder aveva parlato al plurale, presentandosi. Due serpenti le si avvinghiarono alla gola, le loro spire di un qualche materiale plastico...e molto resistente.

“Uomini,” fece, sarcastica e insieme suadente, Black Mamba, i serpenti sintetici parte del suo costume. “Se ragionate con i muscoli, non farete altro che prenderle. Ci vuole astuzia, nel gioco della vita e della morte.”

Già provata dalla recente perdita d’aria, Wolfsbane cercò di concentrare le sue ultime forze...ma non serviva. Era come tirare del nylon –si deformava, ma accompagnava i suoi movimenti senza perdere in resistenza, e se anche riusciva ad allontanare una spira, l’altra rimaneva avvinghiata...Poi, il dolore!

Una mano di Death-Adder l’aveva colpita al fianco! “Molto più di una semplice ferita, bestia!” fece l’orientale, alzandosi in piedi, una maschera di sangue lui stesso. “Una neurotossina molto potente è appena entrata nel tuo sangue. Pochi secondi, e sarai morta sicuramente di quella!”

Era vero! Già Wolfsbane sentiva il suo corpo afflosciarsi, il cuore entrare in aritmia...Era assurdo, ma in pochi minuti era riuscita a rovinare l’addestramento e le aspettative di una vita...Moira, Professore...

Ma non fu Charles Xavier, a rispondere nella sua mente vicina all’abisso. <Figlia!>

<Mamma?>

La voce era severa, come ci si potrebbe aspettare da una madre ansiosa di vedere il figlio scuotersi e riuscire in un’impresa. <Non perdere tempo, unisciti a Jillgar!>

<Come..?> ormai, l’abisso era a solo un passo, il corpo una massa di muscoli inerti, il cuore un canto solo, triste.

<Devi solo chiamarlo. E Jillgar ti riconoscerà. Presto.>

<Ho sonno...>

Silenzio.

<Mamma?> No, non poteva abbandonarla ora, non di nuovo...

La scintilla, in qualche modo, riemerse. La luce della sua vita, per un solo momento, e con essa il suo fattore di guarigione, brillò intensa come una stella. L’azione del veleno fu fermata a quel passo fatale.

“MAMMA!” urlò, ma quello che uscì dalla sua gola fu il più potente ululato che avesse mai emesso.

Il sorriso di trionfo di Mamba ed Adder morì sulle loro labbra, quando la luce emerse dalla cantina...Seguita, un attimo dopo, da un ululato di risposta!

“Cristo,” fece Adder. Guardò Wolfsbane, in ginocchio, ancora preda delle spire di Mamba. Levò il braccio per il colpo di grazia...

Una specie di ombra enorme saettò dalla cantina, un’ombra ringhiante e dotata di due occhi luminosissimi!

Semplicemente, non ci fu tempo di fare niente! L’ombra spalancò una bocca di fauci d’acciaio, e tranciò di netto le spirali assassine. <Alzati in piedi, figlia. ORA!>

E Wolfsbane lo fece.

Jillgard, letteralmente, andò in pezzi! In un corteo di suoni metallici, tali pezzi, anziché cadere a terra, volarono verso Wolfsbane, e spontaneamente si disposero sul suo corpo!

Uno dopo l’altro. Sulle gambe. Braccia. Mani. Torace. Addome. E testa.

“No...” mormorò Death-Adder, prima di gorgogliare, allorché una mano coperta di nero metallo gli serrò la gola, sollevandolo come un giocattolo.

Con indosso l’armatura della sua stirpe, ora Wolfsbane era completa, una furia vendicativa inarrestabile! Sotto la sua presa, il metallo dell’armatura del criminale stava incrinandosi come vetro. “Allora, demonio, chi ti ha mandato? Se non parli...”

Fu a quel punto, che la familiare nube nera lo avvolse. E in essa, e dalla presa di Wolfsbane, Death-Adder scomparve! Rahne si voltò, solo per vedere che anche l’infida Mamba aveva usato lo stesso mezzo.

Poi, si ricordò. “Mallor!” e la licantropa si precipitò in cantina...per trovare il guerriero sdraiato con la schiena contro il muro, reggendosi le costole. “Sapevo che ce l’avresti fatta, mia signora. Sei davvero l’erede di Sallara...” tossì, e sputò sangue.

Wolfsbane prese il guerriero fra le braccia. Per prima cosa, avrebbe cercato un medico, il resto sarebbe venuto dopo...

 

Transilvania...

 

Jon Talbain non era digiuno di meraviglie elettroniche...Ma, a tutti gli effetti, documentari preparatori o no, anche se era stato addestrato ad orientarsi nella più fitta delle foreste, restava egli pur sempre un ragazzo di campagna che non aveva girato molto il mondo al di là del Massachusetts.

E se anche le foreste transilvane gli erano familiari come quelle di casa sua, il maestoso laboratorio sotto di esse era tutt’altra cosa. Era un’unica stanza, enorme, più lunga che alta, letteralmente tappezzata di ogni novità tecnologica, ben al di là delle meraviglie del 21° secolo.

Jon aveva gli occhi sgranati, intento ad assorbire suoni ed odori. “Questa è la vostra tana? Ragazzi, se la vede il signor Melvins...Ragazzi?”

Trovò i due lupi vicini a una coppia di colonne cristalline, colonne le cui basi mostravano un’impressionante serie di display ed indicatori. Le colonne si aprirono all’avvicinarsi degli animali.

I lupi si misero seduti dentro le strutture. Si scambiarono un’occhiata, come a fissarsi per l’ultima volta in mente l’aspetto che avevano condiviso in questi mesi di innocenza...

Le colonne si chiusero. Jon trepidava...Se fosse loro successo qualcosa, la sacerdotessa gli avrebbe mangiato il cuore...

E poi, fu luce! Luce dalla base delle colonne alla cima, luce così intensa, che il mannaro dovette schermarsi gli occhi –o meglio, socchiuderli quel tanto che bastava per vedere che, lentamente, ma progressivamente, i due lupi perdevano la loro forma... Essa cambiava sotto l’influsso delle radiazioni mutagene. Il corpo acquisiva massa, la ridistribuiva. Le zampe si allungavano, le falangi si estendevano, la schiena assumeva nuove curvature...La coda scompariva dentro il bacino...

E fu finita. Senza un bang, ma con un’esalazione di densi vapori medicinali, studiati per sedare il dolore nei muscoli e nervi sottoposti a un simile stress.

Mentre ancora i vapori erano fitti nelle colonne, Jon udì nuovi meccanismi scattare, e levò lo sguardo alla cima. E vide una coppia di armature scendere lentamente verso le figure ormai allo stato umanoide.

Vide i due che erano stati lupi stendere le braccia in alto, ad indossare i metallici indumenti addobbati da mantelli. Vide le armature chiudersi, e allo stesso tempo le colonne riaprirsi.

In perfetta sincronia, due piedi, uno smeraldino e uno scarlatto, fecero il primo passo fuori...

“Grazie,” fece Jon, con un inchino.

“Aspetta a dirlo, mezzo-uomo,” disse l’antropomorfo lupo rosso, noto al mondo come Man-Beast con una voce grave. Si mise davanti a Jon, torreggiando su di lui minacciosamente. “E ora, spiegaci cosa ‘dovremmo’ fare per la tua gente, e se non sarai convincente, ti ucciderò con le mie mani.”

 

Montagne Rocciose, Colorado...

 

In questa area, giace il più imprendibile complesso di detenzione mai costruito dall’uomo: la Volta.

O meglio, la sua seconda versione.

Con molta vergogna dei suoi ingegneri, l’edificio fu distrutto la prima volta dall’interno, in un’indimenticabile evasione di massa. La sua ricostruzione era costata non solo soldi degli elettori, ma una grande fiducia. Fiducia che si era dimostrata ben guadagnata: la fortezza era schermata dai migliori apparecchi antiradar, protetta da batterie di missili, e da super-soldati dotati di nuove armature tipo Guardian MKII. Oltre a tutto ciò, occhi elettronici erano letteralmente disseminati in ogni angolo della Volta, senza alcun rispetto per la privacy. Ogni cavo di alimentazione, ogni conduttura d’acqua e gas, erano protetti da Adamantio classe B –sufficientemente robusto per qualunque aspirante terrorista. I delicati elaboratori e l’intera rete informatica erano protetti da scudi antimagnetici studiati per neutralizzare poteri di poco inferiori a quelli di Magneto. Superstrati di software rendevano la rete più imprendibile di quella della Casa Bianca e Pentagono messi insieme. Di personale e visitatori si controllavano, con comparazioni su database in tempo reale, impronte digitali, impronta termofacciale, retina e interno corporeo con scansione TAC.

Imprendibile, appunto.

 

Non c’era luogo peggiore, per trascorrere il resto dei propri giorni per pluriomicidio con tutte le aggravanti possibili, dai futili motivi al narcotraffico.

Ma, alla fine, Carlos Lobo sapeva di avere meritato in pieno ogni giorno di quella condanna.

Aveva diritto a cibo, esercizio fisico –tutto quello che garantivano le associazioni dei diritti umani, ma per Lobo erano semplici abitudini, niente a cui aggrapparsi.

Carlos Lobo, semplicemente, non voleva uscire. Sapeva di essere vivo solo perché cavia di studi. I suoi geni sarebbero serviti a studiare e meglio comprendere una minaccia ai suoi simili persino peggiore del Virus Legacy. Di sicuro, sarebbero serviti a trovare un modo di neutralizzare i geni mutanti.

Ma cosa gli importava, ormai?

Eduardo era morto. E prima di lui, Bonita, e tutte le altre persone massacrate dagli Hermanos de la Luna, i Fratelli Lobo.

Seduto nella sua cella, Carlos sorrise per l’ennesima volta, sempre ripercorrendo l’amaro sentiero delle memorie.

Una vita difficile, una famiglia povera, rubare per sopravvivere. E poi Bonita, e la prima trasformazione, e il sangue...E altro sangue, vendette e sangue ancora!

Poi, l’incredibile: suo fratello si era innamorato! E non di una mutante, non di una come loro, ma di una donna comune, l’impiegata del Daily Bugle, Glory Grant. Hah! Eduardo diceva di volerla manipolare, usarla per le informazioni...ma i suoi occhi brillavano di quella luce che solo la passione per Bonita aveva saputo accendere!

Chissà come sarebbe andata a finire...Se la loro stupidità non li avesse portati a lottare anche contro quel gringo mascherato, l’Uomo Ragno...E come andò a finire? Con la morte di Eduardo, e per mano della stessa Grant, che in realtà voleva aiutarlo...

Carlos si prese la testa fra le mani. Buffo, no, come una sola morte di chi ami potesse aprire il tuo cuore a così tante colpe? Quanti familiari avevano, le loro vittime? Chi di loro aveva una madre, un’innamorata, un fratello? Come dire loro che gli dispiaceva?

Oh, sì, durante l’ultimo arresto aveva promesso ogni sorta di vendetta contro el Hombre Araña...ma, alla fine, la rabbia era consumata, e restavano le urla delle loro vittime...e il rumore quello sparo, e il ricordo del calore vitale di Eduardo che si spegneva.

“Mi dispiace, Eduardo...” non sarebbe mai stato tanto codardo da suicidarsi, era l’inferno ardente che meritava ma non avrebbe scelto lui il momento di gettarvisi prima del suo tempo.

Redenzione...Che suono dolce che aveva, quella parola. Quanto impossibile farla diventare realtà! E cosa avrebbe potuto fare, del resto? Tutte le informazioni che poteva dare, le aveva date –ricordava bene, i giorni di interrogatorio, spesi in una specie di trance. Cosa gli restava, fare il cane antidroga?

°Puoi vivere, per cominciare. E fare quello che ti sei promesso. Per entrambi noi.°

Gli occhi quasi gli schizzarono dalle orbite. “Eduardo?”

Levò lo sguardo,

e lui era lì. Suo fratello! Cioè, la sua forma astrale, una figura evanescente e luminosa, sospesa a mezz’aria. Per la prima volta nella sua vita, Carlos vide, la sua espressione era serena.

°Poteri più grandi, al di là della nostra vita, mi hanno finalmente concesso di essere di nuovo con te, hermano,° disse Eduardo. °Ti ho osservato, Carlos, non ti ho mai abbandonato, e so che sei sincero nel tuo dolore.

°Ma, adesso, il dolore deve essere messo da parte. Un grande pericolo sovrasta molti innocenti, compresa la nostra gente, la nostra vera gente. Dimmi, Carlos, sei disposto davvero a lottare per una nuova causa, a costo di rischiare la tua vita?°

Il fantasma gli tese le mani, e Carlos non esitò a prenderle. “Nessuno meglio di te può saperlo, Eduardo: sì, sono disposto! Se servisse anche a redimerti, lo farò a costo della mia vita.”

Non ci fu bisogno di altro: Eduardo avanzò, fino a entrare nel corpo del fratello. Fu un’estasi, per Carlos, sentire finalmente il suo gemello nuovamente parte di sé come in vita. Carlos incrociò le braccia come ad abbracciarsi.

 

Fuori dalla cella, i Guardiani stavano godendosi lo spettacolo in stereofonia e a colori.

“Ti dico che è completamente tocco, Al! Convincente, però, no?”

Un altro Guardiano, senza l’elmetto, si stava sgranocchiando un biscotto. “Nahh, Dave. Nessun referto psichiatrico lo tirerà fuori da lì. Potremmo raccomandarlo per il teatro, pe...” quasi si strozzò con il boccone.

Secondo il dossier, Carlos Lobo poteva innescare la trasformazione solo in presenza della Luna piena. Per tale ragione, nelle ore notturne –a titolo precauzionale- la sua cella veniva totalmente isolata. E fino ad ora, aveva funzionato.

E adesso, nella cella, in tutta la sua sinistra gloria dalla pelliccia nera e gli occhi rossi, stava un lupo mannaro!

E, se peggio di così poteva andare, la porta della cella si aprì!

Solo guardandolo uscire, finalmente la guardia si riprese dallo stupore e premette l’allarme!

 

Carlos correva più veloce che mai, potenziato dallo spirito vitale del fratello. Il mondo sembrava avvolto dalla melassa.

Guardiani gli si pararono davanti, i repulsori puntati. <Non ti fermare, fratello!>

E Carlos non si fermò, passando sotto gli uomini tanto impotenti quanto sorpresi.

 

Era impossibile, ma stava accadendo. Ovunque passasse il mannaro, sembrava che una maledizione colpisse tutti i sistemi elettronici, bloccandoli o neutralizzandoli, che stessero per intervenire o fossero già entrati in funzione. Porte chiuse si aprivano, laser si bruciavano, telecamere diventavano cieche.

In pratica, alla fine, Carlos Lobo schizzò fuori dalla Volta come un turista in fretta di finire una visita!

Molti posti di lavoro si sarebbero resi vacanti, il giorno dopo, soprattutto fra quegli impiegati e dirigenti responsabili della compilazione del database sui superpoteri dei detenuti –visto che la Volta aveva una sezione per i prigionieri con poteri capaci di alterare le probabilità!

Quanto all’evasione, i media non ne avrebbero avuto neppure sentore, per ora. Ci avrebbero pensato gli ‘specialisti’, al recupero...

 

Starkesboro, Massachusetts.

 

Il momento era giunto!

Di solito, donne e bambini vengono radunati nella chiesa per proteggerli, mentre gli uomini combattono.

Le femmine di questa congregazione non avevano bisogno di essere protette. Nella loro forma licantropica, come ora, erano quanto e più temibili di qualunque maschio, quando si trattava di difendere i loro piccoli. Consci del pericolo, anche i giovani capaci di trasformarsi erano pronti a scoprire le zanne.

Inutile, pensare di nascondersi: il Serpente li avrebbe raggiunti ovunque. Almeno, avrebbero contribuito a difendere il terribile ‘tesoro’ di Starkesboro.

La sacerdotessa li guardava, e da solo questo rinsaldò la sua fede. Le dispiaceva di essere solo un’umana, ma non per questo non avrebbe dato fondo alle sue energie per coloro che l’avevano accolta come una di loro.

La donna giunse le mani in preghiera. Jon, ti prego, ora o mai più!

 

Fuori, ogni maschio capace di stare in piedi –il che voleva dire tutti, in una comunità dove il fattore rigenerante era più usato dell’aspirina- era armato con i denti e fino ai denti. Nessuna chiacchiera, nessuna battuta, solo pelo dritto e muscoli tesi, e occhi rivolti verso la Main Street.

Verso il rumore in avvicinamento di cingoli e ruote.

Gli abitanti di Starkesboro avevano speso molto tempo a chiedersi come sarebbe arrivata l’invasione.

Guardando i primi fari dei veicoli militari, finalmente lo scoprirono.

 

Episodio 2 - La vittoria del male strisciante!

 

Oceano Antartico.

 

La Deep Recon Mary era la cosa più prossima ad una cittadella galleggiante, ed altrettanto costosa, armata delle più sofisticate strumentazioni per la ricerca oceanografica.

Un peccato, che i suoi proprietari non avessero in mente tanto la ricerca pura, quanto un modo intelligente di ricavare il massimo profitto dall’’universo sul fondo’. Del resto, la Roxxon Oil non era assurta ad azienda leader nella gestione risorse naturali guardando in faccia alle necessità delle altre forme di vita con cui l’umanità condivide il mondo.

 

Sul ponte di comando, il Capitano Leland S. Latimer non aveva molto da fare, oltre che annoiarsi e supervisionare le attività di una nave il cui equipaggio era ridotto all’osso quanto a marinai. L’intera struttura era automatizzata, guidata da computer così sofisticati che nemmeno alla NASA se ne vedevano.

Dietro a quelle macchine, intenti ad analizzare i dati e a trasformarli in rapporti, c’erano gli scienziati –di fatto, i residenti della Mary. E la vera autorità della nave. Latimer serviva solo a soddisfare le formalità con le autorità marittime internazionali.

Erano ormai al quinto giorno di operazioni, e tutto procedeva liscio come l’olio. La Mary era giunta in quell’area a seguito di segnalazioni di anomali distacchi di tronconi di ghiaccio, l’ultimo grande come Manhattan. Distacchi causati da un’improvvisa attività vulcanica sottomarina. Per la Roxxon, un’occasione d’oro per giungere a preziosi giacimenti minerari.

Il sottomarino robotizzato Marian-1 era da poche ore giunto sul fondo oceanico, in prossimità dell’area di maggiore attività. Dagli schermi, gli scienziati potevano osservare la colata lavica tingere l’abisso come una luna dell’inferno. I soli suoni nella stanza erano il sommesso ronzare dell’hardware, i passi di scarpe misti a ruote bene oliate di carrelli e il commento a voce alta dei dati ricevuti.

Improvvisamente, in quell’ordinato concerto, una nota stonata. “Signore, abbiamo una lettura anomala al punto 8 settore D-3.”

Molte orecchie si tesero verso l’uomo in camice che aveva parlato, ma nessuno si distrasse dal proprio compito. Dare retta era compito del Direttore delle Ricerche. Il Direttore, un uomo prematuramente calvo, che portava lenti a contatto per nascondere la necessità di occhiali, e un aspetto quasi militare nel portamento e la cura del proprio abbigliamento, si avvicinò al giovane ‘dissidente’. “Natura dell’anomalia, signor Krebs?” chiese, imponente come un avvoltoio dietro al giovane.

Il tecnico digitava comandi per il Marian-I, mettendo a fuoco la telecamera. “Un oggetto, signore. Piccolo, pressappoco delle dimensioni di un corpo umano…E’ la spettroscopia che non mi convince, signore. Mi dia solo un attimo…eccolo!”

Il Direttore ignorò le esclamazioni soffocate e le imprecazioni sotto voce, anche se esse esprimevano appieno i suoi stessi sentimenti.

Cosa diavolo ci faceva, in fondo all’oceano, uno scheletro umano perfettamente conservato e integro? Integro…a parte il cranio, del quale non vi era traccia…Eppure, il Marian-I non aveva localizzato alcun resto di nave o sottomarino in questi giorni…

Il Direttore soppesò la situazione. Qualunque ritardo nella ricerca gli sarebbe stato fatto pesare non poco, ma lui era ancora un uomo curioso, desideroso di risposte. E anche uno scheletro strano come quello poteva offrire qualcosa alla scienza; e la Roxxon avrebbe potuto apprezzare qualunque bonus… “Signori, ordinate al Marian-I di recuperare quel mucchio d’ossa, e chiamate la divisione di paleontologia.”

Con quelle parole, il primo passo verso il baratro era stato compiuto.

 

T - 24h 60m 40s. Asgard, Dimora degli Dei, Regno Dorato…

 

La Teomachia aveva raggiunto il suo culmine. Asgard aveva dato il meglio di sé, ogni goccia di sangue dei suoi abitanti, ogni iota del loro potere.

E non era servito a niente: le armate del Dio egizio Seth spazzavano via i loro nemici con la facilità con cui l’uragano strappava via dei teneri germogli. Lo splendore di Asgard soccombeva alle armi e alle fiamme. Era un incubo, era il Gotterdammerung, la Caduta degli Dei. Mai il regno di Hela aveva visto così tanti precipitare nei propri abissi –che fossero eroi o persino Asgardiani che a loro tempo avevano cospirato per conquistare il Trono Dorato, tragicamente uniti in questo nefasto evento.

Tutti, tranne due.

Due divinità che si trovavano ancora lontane dal teatro di morte, in un angolo del nono mondo che perfino Seth non considerava degno delle sue attenzioni…per ora.

“Presto arriverà anche qui,” disse il dio in un’elaborata armatura oro e cobalto, ornata da un ricco mantello color sangue. Nel braccio destro, reggeva un elmo non meno ricco dell’armatura, un oggetto che sarebbe andato bene sul volto di un demone. Il dio aveva i capelli neri, lunghi, e un paio di baffi spioventi e il pizzo. Il suo volto era quello di un uomo che avesse assaporato il più amaro dei calici che la vita potesse offrire…E in più di un senso, era vero.

Perché il dio in questione era Tyr, il dio della guerra. La sua esistenza non conosceva la parola ‘pace’, e i suoi sacrifici erano stati ricompensati col disonore…Per questo, oggi era lontano dalla guerra. Che senso aveva, farsi uccidere per un popolo che lo aveva rinnegato, dimenticato? Un tempo, gli dei erano venerati, amati, e Tyr con loro. Sacrificare la propria mano per salvare il Regno Dorato era stato piccolo sacrificio…

Fino a Thor. Su Midgard, il tempo degli eroi era tornato, e Asgard aveva un nuovo campione da inviare fra loro per rinsaldare la fede…Thor, Loki, Odino, Lady Sif per la quale Tyr avrebbe dato anche la propria testa –tutti loro erano tornati nel cuore dei mortali.

Ma non lui, il cui sacrificio garantì la continuità del Regno!

Non era semplicemente ironico, che se ora si fosse gettato nella lotta, avrebbe finito solo con l’essere un nome fra tanti, dimenticato per sempre?

“Percepisco i tuoi scrupoli, Tyr, ed essi sono una perdita di tempo,” disse la mostruosa voce alle sue spalle, la voce della figura così grande da proiettare un’ombra enorme tutto intorno a Tyr.

La figura di una delle creature più temute in tutta Asgard, un essere così potente da essere trattenuto solo da un laccio indistruttibile, Glepnir. Perché costui, l’infame figlio di Loki, era destinato ad essere liberato ed uccidere Odino, nel giorno del Ragnarok.

La figura di Fenris. Fenris era un lupo, alto oltre 6 metri al garrese, nero come la notte, gli occhi rossi. Stava sdraiato, le zampe incrociate, un’espressione sarcastica sul muso.

Tyr serrò i denti. Avrebbe voluto dire al mostro di tacere…se non fosse che aveva bisogno di lui. Ormai, in tutta Asgard, Fenris era il solo dotato del suo pieno potere. Era il solo che potesse proteggere Tyr dalla furia di Seth. E Tyr era il solo che potesse controllare il mostro, in virtù del dono che Tyr aveva fatto al lupo.

La mano destra, che Fenris aveva divorato quale pegno per farsi incatenare da Glepnir!

“Credi ancora che la mia proposta sia così insensata, Tyr?” chiese Fenris. “Neppure io voglio morire, e non sono intenzionato a spendere la mia esistenza quale cane di Seth. Fuggire non è più disonore, ma sopravvivenza; su Midgard potrai aspirare a nuova gloria, e con il mio potere, con Glepnir e con la Spada Valtran saremo invincibili.”

I bagliori della guerra si avvicinavano. Ormai, la città doveva essere un mare di fiamme e rovine. Tyr contemplò un’ultima volta il regno perduto. Su Midgard, avrebbe potuto assemblare una nuova armata, guidare i campioni del Regno di Mezzo verso la vendetta contro il Dio straniero.

Tyr si avvicinò alla roccia in cui Glepnir era saldato. Si mise l’elmo, un gesto calmo. Fenris stava ansimando per l’eccitazione, il suo fiato una corrente rovente.

Tyr calò il pugno, e la valle conobbe un nuovo sole, mentre allo stesso tempo un ululato ultraterreno si fuse al vento che investì le montagne…

 

T – 12h 32m 22s. Da qualche parte nel Massachusetts

 

Base Iron Eagle 7 era parte di un progetto super-segreto iniziato nell’era Reagan, concepito quale ultimo respiro dell’infame Guerra Fredda. Iron Eagle era la risposta ad uno o più possibili attacchi terroristici dai paesi che stavano emergendo quali nuove minacce, i nuovi pretendenti al trono della paura che l’allora moribonda URSS stava per rendere vacante. La minaccia sarebbe stata tentacolare, bene infiltrata, caos distribuito con diabolica pazienza.

La Guardia Nazionale aveva lo scopo di fungere, quando necessario, da ausilio all’esercito e alle forze dell’ordine per gestire crisi interne di vasta scala. Ma non serviva a prevenire, e perfino lo SHIELD, con i suoi mezzi, era un’agenzia internazionale, che non poteva dedicarsi al 100% agli USA.

Iron Eagle era più di un’organizzazione. Era una Guardia Speciale, una selezione di uomini e mezzi che il meglio potesse offrire, una task force di pronto intervento per le più nere delle Black Ops. Una task force costosa, e per questo sottodimensionata.

Fino all’11 Settembre 2001.

Le terribili manchevolezze di CIA, FBI, NSA e Pentagono avevano messo a nudo una debolezza che solo una task force come Iron Eagle poteva coprire. E da quel giorno, i fondi neri erano affluiti copiosi come non mai. Bush si preparava a proporre un bilancio militare senza precedenti, ma almeno altrettanti fondi andavano già ad Iron Eagle.

Purtroppo, fra il dire e il fare, c’è di mezzo il tempo. Trovare il personale, addestrarlo, assemblare i mezzi, disporre le nuove reti di sorveglianza –tutto questo avrebbe richiesto molto tempo. Frattanto, le basi come Iron Eagle 7 sarebbero rimaste degli avamposti hi-tech, guardate da sistemi di allarme e scansori degni del NORAD, e con un numero di uomini e donne appena sufficiente a mandarle avanti. Uomini e donne in un costante stato di attesa e tensione, ma basicamente abbandonati a sé stessi, isolati dal resto del mondo.

Un bersaglio perfetto!

 

“Comando, qui Iron Eagle 7 per il bollettino sull’attività giornaliera. Niente di nuovo da segnalare. Alleghiamo file di rapporto. Passo.”

“Iron Eagle 7, qui Comando. Fatevi coraggio, ragazzi, fra non molto vi sarà inviato il nuovo personale, e potrete dormire anche un’ora in più,” fece l’uomo dallo schermo, il Generale Thaddeus ‘Bloodhound’ Thornton. Non era più una novità, vedere un generale con 3 stelle e un numero scandaloso di medaglie al petto seguire queste attività di routine, ma ‘Bloodhound’ era fatto così. Era un uomo all’antica, forgiato dalla stessa scuola di ‘Thunderbolt’ Ross, con una fissa per ogni più piccolo particolare. Anche se, come Ross, Thornton fumava sigari che avrebbero dato parecchio da godere ai legislatori dell’anti-fumo passivo, il generale non era il tipo da lanciare tuoni e fulmini quando si arrabbiava. No, ‘Bloodhound’ mostrava i denti, poi afferrava il tuo collo, e te lo spezzava come con un coniglio. Con molta calma. Contraddirlo senza una più che valida ragione era un invito al suicidio.

Thornton era l’ultimo dei Superman, lavorava 25 ore al giorno, 8 giorni alla settimana, e il caffè era camomilla per lui. Ma se tutto, nei sistemi che lui seguiva, funzionava, non mancava di riconoscere i giusti meriti alle giuste persone.

L’operatore sorrise. Thornton non era uno che buttava giù una simile informazione per caso. “Terremo duro, signore…Oh, e auguri per il suo compleanno.”

Thornton inarcò un sopracciglio, e contemporaneamente esalò una nuvola mefitica. Accorgendosi dei sorrisi saccenti dall’intero personale nella stanza, borbottò qualcosa sulle linguelunghe e spense il collegamento. Una persona adorabile. Guardare la sua faccia valeva bene una cassa di liquore alla ‘talpa’ al Comando!

L’umore generale subì un brusco cambiamento, quando fu l’allarme a parlare! Ogni singolo uomo e donna nella stanza mise da parte ogni pensiero che non fosse l’analisi e la difesa della...minaccia?

“Macchediavolo..?” fece l’operatore, strabuzzando gli occhi. “Da dove cavolo saltano fuori?” chiese qualcuno dietro di lui.

Il monitor principale era diviso in varie finestre, ognuna inquadrante un settore esterno.

E su tutte, spiccavano dei civili –uomini e donne, tutti accomunati da uno sguardo fisso, insieme vuoto e maligno. Sorridevano, con un’espressione che ti faceva accapponare la pelle, e i loro occhi, finestre scarlatte con pupille a fessura!

I civili se ne stavano lì, dietro la rete, e guardavano, i loro corpi leggermente chini in avanti. I loro abiti erano frusti, laceri, tutti senza scarpe, le mani dalle unghie lunghe a vari stadi e rotte...

Nella stanza, nessuno osava fiatare. Nessuno di loro era stato preparato a una simile visione, e tutti fissavano lo schermo, ricambiati...

Poi, uno di loro, un uomo, aprì la bocca, rivelando delle zanne orrende!

 

T – 02h 18m 55s. Isola di Muir, Scozia

 

Apparentemente, la si sarebbe definita una situazione umiliante.

L’uomo era senza dubbio un guerriero nato, fatto e cresciuto, il fisico ed il volto barbuto forgiati dalla lotta per la sopravvivenza.

Un uomo costretto a letto, vestito solo di una spessa coperta, il torace fasciato, accudito amorevolmente da una ragazza dai capelli rosso fuoco...Eppure, una situazione invero onorevole.

Lui si chiamava Mallor, ed era uno dei migliori guerrieri dei Tuatha da Danann, i ‘Figli degli Dei’. Lei era Rahne Sinclaire, aka Wolfsbane, ex Nuova Mutante, ex X-Factor, ex membro di Excalibur.

Fin dalla sua infanzia, Rahne si era sentita una ‘diversa’, una sensazione coltivata da suo padre, il reverendo Craig Sinclaire, che non mancava di colpevolizzarla per la morte della madre, avvenuta durante il parto. Poi, con la pubertà, Rahne aveva manifestato pienamente tale diversità, trasformandosi in una lupa.

Da allora, Rahne aveva creduto di essere una mutante, o un ‘genemostro’, come la ‘sua’ razza veniva definita. Fino a poche ore prima, Rahne aveva combattuto per trovare una propria dignità, una ragione di vita...E quando credette di esserci riuscita, venne Mallor, e le confidò la verità.

La verità, che Rahne una mutante non era. Rahne era degna figlia di sua madre, una mutaforma come ogni membro del popolo-lupo dei Tuatha da Danann. Una donna forte, venerata dai suoi simili, una donna la cui eredità Rahne aveva deciso di raccogliere.

Rahne appoggiò un piatto di carne fredda su un tavolino accanto al letto. “Se Lady Moira ti vedesse mangiare questa roba in un paziente convalescente, ne morirebbe sul colpo,” disse, sorridendo all’uomo. Era stata una lotta estenuante, quella che li aveva contrapposti a due membri della Serpent Society. Mallor se l’era cavata con delle costole rotte e i polmoni perforati –ferite mortali per un uomo, ma per un licantropo con un potente fattore di guarigione erano graffi. I due ‘serpenti’, Mamba Nero e Marasso, ne erano usciti molto peggio, anche se erano riusciti a teleportarsi via all’ultimo istante, per zampa di Wolfsbane.

Mallor restituì il sorriso con denti perfetti. “La tua matrigna è una donna di grandi qualità, Rahne. Sono felice che tu sia cresciuta sotto la sua tutela.”

Ricordi iniziarono ad affluire in Rahne. Ricordi dolci, in cui la donna era un faro, il suo solo porto sicuro...Ricordi felici, di Doug, e del breve tempo speso con il bel Hrimhari...Ricordi amari, della lotta e delle sofferenze...

Ricordi che la spinsero all’inevitabile domanda. “Da Lady Moira...Mi hai detto che avevo una missione da adempiere per la mia gente...”

Una ruvida mano le accarezzò il volto, facendola sobbalzare. “Rahne, tu sei così giovane...Anche se i tuoi occhi hanno il fuoco di tua madre, vorremmo tenerti con noi per proteggerti come non riuscimmo per lei.

“Un terribile nemico minaccia di riportare la sua ombra nera nel mondo, determinato a sterminare la nostra sacra specie, e non solo i Tuatha. E tu dovrai combatterlo. Così hanno profetizzato gli dei, prima di...” e qui si fermò, non volendo aggiungere altri fardelli sulle spalle di lei.

Rahne rispettò quel silenzio, ma disse, “Cosa devo fare? Chi è il Nemico?” E strinse la manona. Mallor si comportava così come un padre, con quella dolcezza che il maledetto Craig le aveva sempre nega*

<Wolfsbane!>

Sobbalzò, come percossa fisicamente, allo stesso tempo, istintivamente, innescando la trasformazione in mezzalupa. Le orecchie le fliccarono in tutte le direzioni, i muscoli tesi.

Poi, colse il suono, e si accorse che anche Mallor lo aveva sentito.

Veniva dalla finestra! Wolfsbane la raggiunse con un solo balzo, giusto in tempo per sporgersi e vedere

le luci! File di luci, un arcobaleno tecnologico, intermittente, disposto nel preciso disegno di un velivolo! L’apparecchio stava sospeso sulla verticale del villaggio dei Tuatha, incombente come un uccello predatore.

<Siamo qui per te, Wolfsbane,> echeggiò nuovamente la voce mentale, autoritaria.

 

T: Ora.

 

Benvenuti a Starkesboro – Un bel posto dove vivere – Pop. 950

Così recitava il cartello stradale, un oggetto avvolto dall’edera, a stento visibile fra i rami degli alberi, praticamente invisibile anche in una notte di Luna Piena, piantato lì per pura formalità, ma che in pratica invitava il passante a non curarsi del villaggio ‘pubblicizzato’.

Un invito ignorato in poche occasioni…Ma mai con simili conseguenze.

 

Quello che fino a pochi minuti prima era stato un sonnacchioso villaggio dell’entroterra, circondato dalla foresta, era diventato un campo di battaglia. Letteralmente.

Un plotone di invasione bene armato aveva iniziato una sistematica opera di rastrellamento e distruzione di Starkesboro. Uomini in divisa militare erano impegnati contro gli abitanti del paese, mentre i mezzi pesanti –due carri armati e un elicottero- stavano occupandosi della chiesa. Un operazione imponente, per quanto magra di risultati.

La chiesa, infatti, era protetta da una barriera, un guscio di energia in grado di deflettere i proiettili e i missili aria-terra.

E i soldati, per quanto bene addestrati e armati, erano pur sempre solo degli esseri umani, e in netta minoranza in un paese dove l’intera popolazione era composta di licantropi. E non gli uomini-bestia ottusi e scoordinati a cui si è abituati a pensare, ma creature intelligenti, organizzate ed armate non solo di zanne ed artigli!

Altri due soldati pagarono lo scotto di questo errore di valutazione, quando furono colpiti da una raffica di proiettili sparati da un AK-47 imbracciato da un mannaro-cecchino su un tetto.

Da un vicolo, un mannaro enorme saltò addosso a un soldato isolato e armato di lanciafiamme. Una mossa ricompensata con un getto di napalm che trasformò l’aggressore in una torcia vivente! Una mossa apparentemente stupida…per un attimo, prima che un secondo mannaro saltasse all’attacco, spuntando da dietro al primo che aveva volontariamente fatto da scudo!

Il soldato non fece in tempo a puntare il bocchettone, che si ritrovò la gola squarciata! E mentre cadeva a terra, in preda alle convulsioni, il mannaro che lo aveva ucciso si chinò sul compagno. Il corpo semicarbonizzato emise un pietoso uggiolio, mentre veniva preso in braccio, per essere condotto da un medico –ci sarebbe voluto in miracolo, anche con il fattore di guarigione che scorreva nel loro corpo!

Meno fortunati erano i licantropi che venivano colpiti direttamente al cervello o al cuore dai grossi calibri dei fucili, subendo dei danni così vasti da cui non potevano riprendersi…Ma erano pochi, visto che la loro velocità ed agilità li rendeva dei bersagli basicamente imprendibili.

 

Nella grande chiesa, non si poteva fare che attendere, sperare, e pregare.

Una fitta congrega di mannari, tutte le femmine di Starkesboro, era riunita al centro, un’isola di pellicce e zanne snudate. In mezzo a loro, inginocchiata a terra verso l’altare troneggiato da un lupo bifronte, stava la sacerdotessa. Era l’unica donna del paese, l’unico estraneo ammesso non solo nella comunità ma anche nelle più sacre funzioni. Una veste bianca ricamata di verde l’avvolgeva, esaltando ancora di più il terribile pallore del suo volto finemente cesellato e incorniciata da una cascata bionda.

Teneva le mani appoggiate al pavimento ed il collo proteso, prostrata in avanti come un lupo di casta inferiore in attesa di un riconoscimento da parte del capobranco. Gli Dei le avevano chiesto un ultimo atto di fede, prima di svanire, inghiottiti da una forza maligna così simile a quella del Nemico…Ma ora, ora il dubbio tormentava quella fede.

La barriera non era più sotto attacco, ma la tempesta non si era acquietata, e l’eccidio dei mannari continuava. Quanto sangue doveva ancora essere sparso?!

La donna, senza accorgersene, quasi si stava rompendo le unghie contro il pavimento in cotto. Aveva veramente fatto la cosa giusta, mandando via Jon, il loro campione? Avrebbe veramente dovuto evitare di evocare almeno gli spiriti dei Guardiani..?

Una mano impellicciata le accarezzò la nuca. La sacerdotessa levò lo sguardo, e si trovò a fissare un paio di occhi ambrati, gentili…E si vergognò di avere dubitato. Amava quella gente, per loro avrebbe fatto qualunque cosa, come loro l’avrebbero difesa fino alla fine, come una del branco. Era suo dovere, mostrarsi forte!

Fai presto, Jon!

 

Un altro colpo di mortaio scosse, inutilmente, la massiccia porta.

“Un altro così,” disse il mannaro grigio, strofinandosi le orecchie, “e mi arrenderò per non diventare sordo.”

La stanza era enorme, e oltre alle occasionali esplosioni, era il sottofondo del generatore a riempire l’aria.

A parte l’imponente figura del Sindaco Seward, la stanza era occupata da mannari più giovani, tutti indossanti spessi camici, guanti e stivali, acciocché il loro pelo non andasse a intrufolarsi nella delicata macchina.

Un mannaro dal folto pelo rossiccio si avvicinò al grigio nudo. Sorrideva, la lingua penzoloni. “Buone nuove, capo: il generatore tiene che è un piacere! Ci vorrebbe solo un’atomica tascabile, per fregare questo cucciolone!”

Seward guardava verso la porta blindata. Il Nemico era stato stupido, a sottovalutare il popolo-lupo, ma stava correggendo il tiro in fretta…E ancora non aveva tirato fuori tutti gli assi dalla…

Fu a quel punto, che si udì un nuovo suono, flebile nel sottofondo dei generatori, ma abbastanza acuto per i mannari presenti, che voltarono la testa all’unisono, già tesi per l’attacco. Il suono era lo schiocco d’aria causato dall’apparizione

di Sidewinder, Black Racer, Aspide, Rocky Python  e Boomslang!

Purtroppo, a differenza dei soldati, questi veterani della Società dei Serpenti erano bene avvezzi ai combattimenti contro i metaumani, ed avevano una lunga esperienza!

Black Racer, la velocista, disperse i mannari armati prima ancora che potessero iniziare a sparare. Lame speciali sulle braccia inflissero ferite letali.

Boomslang, evitando le raffiche di proiettili, lanciò contemporaneamente diversi dei suoi boomerang speciali a traiettoria variabile, colpendo infallibilmente i malcapitati difensori in punti vitali.

Rocky Python lanciò le sue speciali ‘uova’ a Seward e al mannaro più giovane, cogliendoli a mezz’aria, nell’atto di saltargli addosso. A contatto con i loro corpi, le uova esplosero e filamenti di polimeri plastimetallici avvolsero saldamente i due mannari in bozzoli resistentissimi, che ricaddero pesantemente a terra.

L’azione era durata meno di 2 minuti, ed ora il generatore era indifeso. Inutile perdere tempo a cercare di forzare la porta blindata.

“Eccellente,” disse Sidewinder. Poi, ad Aspide, “Mia cara, ci vuole il tocco femminile.”

Lei puntò le mani. I suoi poteri bioelettrici erano stati aumentati, e ora poteva anche influenzare macchine come il generatore. Un colpo solo sarebbe bastato.

Aspide deviò un braccio, lo puntò su Sidewinder e lo colpì! Il leader dei Serpenti si contorse, urlando, e rovinò a terra, il cuore fermato dalla scarica!

“Sei impazzita?!” esclamò Boomslang…poi, Aspide si voltò verso di lui, le mani puntate, e lo sguardo di qualcuno che impazzito non era affatto!

Boomslang lanciò i suoi boomerang, facendo appena in tempo ad intercettare una nuova scarica. Black Racer non fece domande, ma corse addosso alla sua collega, colpendola alla schiena con le lame.

Aspide si accasciò a terra, in una pozza del proprio sangue. “Deve avere ricevuto un’offerta migliore,” disse Rocky Python, avvicinandosi, ma non aggiunse altro, ché le luci si spensero. La sala precipitò nel buio totale. “Uh oh.”

“Infrarossi, presto!” fece Boomslang.

RRRIIIPP!!

Solo Python lo riconobbe, mentre i filtri ottici venivano attivati. Quello era il suono dei suoi polimeri che venivano strappati…Ma non c’era nessuno, nella stanza…che… “Oddio.”

Di per sé, un mannaro non era una visione particolarmente spaventosa, non per i Serpenti, che ne avevano viste tante nella loro infame carriera…Ma questo esemplare, era qualcosa che li paralizzò dal terrore.

La sua pelliccia era nera, scura persino alla visione infrarossa, e con i filtri i suoi occhi scarlatti parevano ardere di un fuoco demoniaco. Era un maschio, chino sui bozzoli, e intento a rimuovere le ultime ‘bende’, che avrebbero potuto essere carta per come erano lacerate, il muso contorto in un’espressione assassina.

Boomslang reagì per primo, lanciando i boomerang. Sfortunatamente, il nuovo arrivato li evitò con facilità, saltando via, fuori dalla portata degli occhi dei criminali. I Serpenti presero a guardarsi intorno, frenetici. “L’ho già visto negli archivi, quel demonio!” fece Boomslang. “E’ Carlos Lobo, il capo degli Hermanos de la Luna, ma doveva essere chiuso nella Volta.”

“Una cosa per volta,” fece Python. “Racer, come sta il boss? Senza di lui, siamo fritti.”

La donna era intenta a massaggiare il torace di Sidewinder, ma con l’armatura, il battito cardiaco era nascosto!

Un cicalino suonò in tutte le cinture dei Serpenti, poi si udì una voce amplificata. “Non siete ancora riusciti a disattivare il generatore? Il tempo stringe, idioti!”

I serpenti soffocarono una rispostaccia. Sapevano che il loro datore di lavoro aveva ragione: un’operazione militare su quella scala sarebbe stata notata presto da NSA, SHIELD e Pentagono entro poche ore, appena la base da cui venivano i soldati non avrebbe fatto rapporto.

Boomslang estrasse nuovi boomerang dalla cintura a particelle Pym. Modelli esplosivi…Non era affatto felice all’idea di usarli –se ci fosse stato un rilascio di energia, o un’esplosione, non ne sarebbero usciti vivi, ma da solo Lobo era una garanzia di morte…

Guardato da Python, Boomslang levò le braccia per il lancio…e se le ritrovò entrambe serrate in una morsa mostruosa, fatta di dita artigliate enormi…e chiare!

Il nuovo intruso strinse! Le braccia di Boomslang furono spezzate all’altezza dei gomiti, e il Serpente cadde in ginocchio, incredulo e troppo sotto choc per sentire ancora il dolore.

Python e Racer ebbero, se questo lo si può chiamare privilegio, una ottima visione del nuovo intruso…Un mannaro enorme, di almeno 2 metri, massiccio di muscoli, dal folto pelo grigio e bianco, gli occhi rossi e una fila di zanne tremende.

Python non ci pensò su due volte, nell’afferrare un’intera manciata di uova…

Ancora più rapido fu il Predatore nel Buio, nel fare un cenno.

Python lanciò…e le uova esplosero, avvolgendo lui stesso in un bozzolo ermetico e talmente spesso che anche Lobo avrebbe avuto difficoltà a rompere.

Un sacrificio, per quanto non cercato, che permise a Black Racer di avvicinarsi a tutta velocità, a lame spiegate; mancare il bersaglio era impossibile!

Un sacrificio, per quanto non cercato, che permise a Black Racer di avvicinarsi a tutta velocità, a lame spiegate; mancare il bersaglio era impossibile!

Un sacrificio, per quanto non cercato, che permise a Black Racer di avvicinarsi a tutta velocità, a lame spiegate; mancare il bersaglio era impossibile!

“Ma che cosa sta succedendo?” chiese il Serpente, assolutamente sconvolta. E per giunta, il nemico non era più…nemmeno…

Un potente pugno la colpì direttamente alla schiena, la distruzione della colonna vertebrale impedita solo dai rinforzi nel costume.

Le luci si accesero. “Dilettanti,” disse Lobo, in piedi al fianco di Seward e del mannaro in camice. Gli altri licantropi stavano a vari gradi riprendendosi o assistendo i più gravi.

“Temo che non sia ancora finita,” disse Seward. “Grazie per l’aiuto, stranieri, ora…NO!”

Improvvisamente, il generatore sembrava impazzito! Archi voltaici lo percorrevano, il flusso lungo i cavi singhiozzava, e fumo usciva dai quadri elettrici!

La causa, Aspide, che nonostante la ferita, nonostante l’estremo pallore per la perdita di sangue, era rimasta abbastanza cosciente da non avere dimenticato la propria missione!

Maldida!” Ringhiando, Lobo le fu addosso, ma prima che potesse colpirla, vide che era già morta…E il danno, ormai, era fatto.

Le luci tornarono a spegnersi, uggiolii sconsolati accolsero l’inizio della fine.

 

La barriera tremolò…e svanì.

Dalla sua posizione in un carro armato, il comandante di Iron Eagle 7 sorrise come un demonio, rivelando denti simili a zanne e una lingua serpentina. Finalmente!  Afferrò il microfono. “Unità pesanti ed aeree, iniziate a martellare quella chiesa maledetta. Sergente! Voglio tutti gli uomini disponibili per un’ondata sull’obiettivo!”

Il letale torrente di acciaio e fuoco colpì senza fallo l’antico edificio. Solo la sua solida struttura ne impedì il collasso immediato. Il campanile non fu altrettanto fortunato: pochi colpi a segno lo spezzarono in due, e la metà superiore andò a sfondare il tetto con un tremendo suono di mattoni, legno spezzato e di campana infranta.

Poi, il torrente cessò di scorrere. La chiesa era ridotta a un relitto fumante, le finestre orbite cieche, il portone squarciato. Ma nessuno era fuggito.

Il comandante, o meglio, l’entità che ne aveva preso il posto, annuì soddisfatto. Guardò l’orologio –sì, era ancora in tempo, per quanto ristretto fosse il margine. E i soldati, a fucile spianato, in un silenzio irreale, stavano già correndo all’attacco.

 

Nella chiesa, l’odore di sangue, pelliccia e carne bruciata accompagnava quello dei focolai, polvere e calcinacci. Ma nessuno si lamentava. Invece, le femmine di Starkesboro aspettavano, disposte a scudo intorno all’altare, l’unica zona franca risparmiata dall’artiglieria. La Sacerdotessa brandiva due enormi pugnali ricurvi, sulle cui lame era inciso un lupo ringhiante.

La donna aveva deciso: se Jon non ce l’avesse fatta, lei avrebbe offerto il proprio sangue, e avrebbe evocato gli spiriti dei guerrieri caduti per scacciare il Nemico. Bruciare all’inferno avrebbe avuto almeno un senso!

I soldati erano vicini, ombre viventi, esseri senza mente dagli occhi scarlatti e i volti dei morti senza pace, volti deformi per l’influenza del Nemico.

Portata di tiro! I soldati puntarono le armi.

I muscoli dei mannari si tesero.

FUOCO! E furono i soldati, in prima linea, a cadere sotto un getto di energia al calor bianco dal cielo!

 

“NO!” Ringhiò il comandante, volgendo lo sguardo verso la fonte di quell’interferenza, aspettandosi di trovare i Vendicatori o il World Watch

Non un gruppo di quattro mannari all’attacco! Uno di loro era un maschio rossiccio in armatura scarlatta e blu, e cavalcava un mini-drago robot, dalle cui fauci sgorgava il maledetto fuoco bianco.

L’elicottero rispose all’intrusione con una raffica di proiettili evidenziata dai traccianti. Il cavaliere li evitò con facilità. “Karnivor, è tuo!”

Seguendo lo sguardo del mannaro, il pilota si accorse, troppo tardi, del suo compagno dalla rossa pelliccia ed armatura smeraldina, sospeso a mezz’aria dietro la coda!

Karnivor, l’Uomo-Bestia, tese le mani, e bordate di energia a impulsi squarciarono il serbatoio. L’elicottero si trasformò in un fiore di fuoco.

 

A terra, gli equipaggi dei carri armati erano non meno confusi dall’improvviso sviluppo. Purtroppo, non ebbero il tempo di chiedere istruzioni. I rimanenti due mannari atterrarono proprio davanti a loro, e si separarono –uno, forse un maschio, forse una femmina, era coperto interamente da una robusta armatura nera che ne esaltava la figura. Non appena ebbe toccato terra, corse dritto addosso al carro armato.

Wolfsbane lo afferrò per il muso, incurante dei proiettili della mitragliatrice, che gli rimbalzavano addosso come gomma. E senza sforzo, il carro armato fu rovesciato.

Il secondo carro non era destinato ad altrettanta fortuna: il quarto mannaro, anche lui intento a venirgli addosso, era il campione di Starkesboro, Jon Talbain. Il giovane mannaro correva come il vento, come il famigerato proiettile, mentre, altrettanto velocemente, un’aura di energia cresceva intorno al suo corpo.

A un attimo dalla collisione, Jon saltò, il suo corpo ormai nascosto dall’energia abbagliante, che aveva assunto la forma precisa di un lupo in picchiata a fauci spalancate. Il lupo fece una piroetta, colpendo il carro, aprendolo in due come fosse stata una spada vivente.

Jon atterrò dietro al carro, le braccia incrociate, gli artigli sguainati e lunghissimi e ancora scintillanti di energia. Immobilità. Poi, dietro di lui, il carro esplose, l’onda d'urto arruffandogli la pelliccia.

 

Intorno alla chiesa, la situazione era precipitata per gli aggressori. Un fronte era tenuto saldamente dal mannaro-cavaliere e dal suo compagno, i cui gesti scatenavano potenti ondate telecinetiche.

Sull’altro lato della chiesa, erano Carlos Lobo e Hunter a mietere vittime…o, meglio, era Hunter a seminare morte. Per qualche ragione, Lobo stava impegnandosi a ferirli seriamente, ma nessuno era ancora morto per sua mano –una tattica, apparentemente, suicida, vista la situazione. Ma lo stesso ‘potere’ che lo aveva protetto nella sua fuga dalla Volta[3], facendo impazzire tutti i dispositivi di sicurezza, stava rendendo altrettanto inefficaci tutte le armi dei soldati posseduti, che potevano solo contare sulla forza bruta.

 

Il comandante delle forze di invasione emise uno sconsolato, inumano sibilo. Aveva fallito, aveva deluso il Padrone e il Suo Messia. Era stato così vicino…

°Non hai fallito, mio discepolo,° gli disse la voce, dal piano spirituale. E l’essere sobbalzò, riempito da nuovo vigore.

Il Nemico possedeva toni suadenti e sinistri, e stava esultando. °Tieni la tua posizione, sacrifica ogni fedele. Fra poco, ogni sforzo sarà ricompensato!°

 

Non era solo il suono del segnale del comunicatore, ad echeggiare per le pareti di base Iron Eagle 7. Anzi, il patetico richiamo dalla base era pressoché soffocato

dai nugoli di mosche, unica forma di vita nella base, sciami così fitti da rendere a malapena riconoscibili i cadaveri dell’intero personale dei quali si stavano pascendo, grasse e ripugnanti.

Dall’altra parte della linea, uno degli uomini più influenti nei protocolli di difesa interna stava per dichiarare uno stato di grave emergenza.

 

Da qualche parte nel mondo, molto lontano dal teatro della battaglia, quattro paia di occhi gialli brillarono nell’oscurità.

“Questo è il momento che più abbiamo temuto,” disse una voce profonda, inumana, carica di amarezza.

“Questo è il momento che decide le sorti della Guerra,” disse un’altra, carica invece di un’eccitata aspettativa. “Un grande sacrificio per la pace del Popolo.”

“I nostri campioni hanno dimostrato la loro abilità, saranno un valido branco,” aggiunse una terza voce.

“Uniamo i nostri poteri, facciamo l’oscuro miracolo,” concluse una quarta creatura. “È ora di imprimere alla storia il corso che desideriamo. Che sia il fato, a decidere se abbiamo errato, fratelli!”

Quattro menti si unirono. Allo stesso tempo, l’atmosfera in tutto Starkesboro diventava elettrica, satura di energie arcane. Ululati di sconforto si levavano da molte gole.

 

Palazzo dei Vendicatori, New York City.

 

“Wanda!”

La donna mutante nota come Scarlet, quasi non si accorse delle forti braccia di Capitan America che l’afferravano per la vita, un attimo prima che crollasse a terra. “Sto…bene, credo…” disse, tradita dagli ansiti e dal sudore freddo.

“Non si direbbe,” disse Cap, mentre l’aiutava ad adagiarsi sul divano. “Chiamo Jarvis? Hai bisogno di…”

Un brusco cenno della mano. “Ho bisogno solo di capire chi sta operando un incantesimo di manipolazione cronale localizzata. Chiunque sia, possiede un potere come non ho sentito da quando Ilyana Raspuntin riparò ai danni di Kulan Gath a questa città.”

Cap soffocò un brivido, memore di quella mostruosa esperienza. Il regno dello stregone malvagio venuto da un passato incommensurabilmente vecchio era stato breve, ma  fonte di dolori ancora freschi nella memoria.

Wanda continuò. “Manipolando il tempo attraverso Ilyana, il Dottor Strange impedì a un ladro di uccidere un uomo e rubargli l’amuleto che avrebbe ridato vita a Kulan Gath; la ritorsione fu l’arrivo della Sentinella Nimrod, che fu il fattore cruciale nell’impedire quella catena di eventi. Non oso pensare a cosa possa succedere se qualcuno stesse facendo un simile incantesimo senza conoscerne le conseguenze…”

 

Nell’appartamento del suo amico Peter Parker, Ben Reilly, altrimenti noto come il Ragno Rosso, fu bruscamente destato dal sonno del giusto, riuscendo a stento a soffocare un urlo.

Un suo potere e maledizione era la capacità di intravedere squarci del futuro…E la mostruosa visione che aveva riempito la sua mente era stata breve, ma talmente agghiacciante da lasciare come delle tracce mefitiche nell’aria. E faceva così freddo, come se avesse ricevuto quel lampo precognitivo direttamente dal cuore della Giudecca!

 

La stessa inquietudine, ma con più solide fondamenta, pervadeva i pensieri della veggente nota al mondo come Madame Web. Mai la donna si era sentita così minacciata e impotente, da quando ebbe una visione del Fenomeno incombere su di lei. E mai una visione le era venuta così lucidamente.

La donna rimase a letto, avvolta dalle coperte, a guardare il soffitto come se ancora esso potesse diventare lo schermo della visione maledetta. Si terse la fronte dal sudore freddo con una mano. Sapeva qual’era e dov’era la causa di tale visione, ma andare alla radice non sarebbe servito. Non più.

No, doveva anticipare i tempi!

 

Era una fortuna, che nessuno dei presenti possedesse una visione mistica. Senza adeguata preparazione, molte menti avrebbero vacillato, di fronte alla manipolazione cronale.

Per tutti coloro che in questa battaglia erano stati punti focali, ci sarebbe solo stato del disorientamento, dopo la sovrapposizione. Ma nessuno avrebbe visto il paese di Starkesboro moltiplicarsi in una linea retta, innumerevoli fotogrammi negativi, trasparenti, che lo passavano da parte a parte senza soluzione di continuità… Ne’ alcuno avrebbe potuto vedere un singolo fotogramma sovrapporsi al paese devastato…

No, tutti avrebbero solo potuto vedere

Starkesboro rinata. Un terreno che non aveva mai conosciuto l’invasione, che non aveva avuto morti, ma i cui difensori erano lì, ancora pronti a fare il loro dovere.

 

Nella chiesa, il sollievo generale era, per chi avesse un fiuto degno di tale nota, letteralmente, una presenza fisica. Era finita.

La sacerdotessa tese le orecchie verso gli ululati ed abbai di felicità dai maschi, un coro insieme armonioso ed assordante, ai quali le femmine si unirono con non meno entusiasmo.

Il mare di pellicce si fece largo, seguendo docilmente la donna verso il portone. La fede era stata ricompensata, ed era giunto il momento di…

Un bagliore di energia. Dietro di loro!

Si voltarono tutte, giusto in tempo per udire anche il suono di marmo infranto. E loro erano lì: Sidewinder e un Serpente del quale erano visibili solo i contorni corporei e gli occhi brillanti. Sidewinder stava afferrando l’oggetto porto dal Serpente semi-invisibile.

L’oggetto era un teschio umano, un cranio in condizioni assolutamente perfette, così bianco e lucido da sembrare risplendere di luce propria.

Decine di femmine infuriate stavano già lanciandosi sugli intrusi, i loro ululati di rabbia tali da gelare il sangue. Ma tutto quello che Sidewinder fece, fu di avvolgere sé stesso e il Serpente nelle falde estendibili del proprio mantello

e teleportarsi al sicuro! Esattamente nel momento in cui le prime mannare arrivavano a mordere l’aria e rovinare sull’altare scoperchiato.

La sacerdotessa cadde in ginocchio, esterrefatta, terrorizzata, delusa.

L’impossibile era avvenuto, e stavano tutti per pagarne le conseguenze…

 

Episodio 3 - Il male rivelato

 

Manhattan New York City.

 

Poche cose possono esasperare un veggente quanto il possedere un’informazione e non sapere come usarla!

La donna conosciuta come Madame Web non faceva eccezione. Era di poche ore prima, la terribile visione di distruzione e caos materializzatasi nei suoi rari sogni placidi, infrangendoli come un ariete in una cristalleria. Una visione anomala, che l’esperienza le faceva riconoscere come legata ad una grave distorsione del flusso temporale!

E se ciò non fosse bastato, c’era quel terribile senso di male a pervadere ancora i suoi pensieri con tentacoli di una piovra oscena.

La donna, che all’occhio di chi non la conoscesse veramente sembrava appena una quarantenne, contemplò la benda scarlatta adagiata delicatamente in un palmo. La benda era stata il simbolo del suo potere, quando il tempo l’aveva derubata dell’uso degli occhi, relegando la sua vista al flusso temporale.

Una benda che aveva conservato, nonostante tutto, forse per pura abitudine...o forse per questo specifico momento.

Ma non poteva esitare ulteriormente. Si portò la benda agli occhi, e una volta assicuratala, Madame Web trasse un respiro profondo. Restò seduta sulla poltrona al centro della stanza, mentre il suo cervello cessava ogni attività conscia, per entrare nei recessi dove la visione era stata ‘archiviata’. Il suo corpo, restando seduto, era assolutamente rilassato.

Più delle visioni, detestava doverle rievocare, soprattutto quando erano state cosi traumatiche...ma aveva altra scelta, quando la prima volta era stata talmente improvvisa da lasciarla quasi senza ricordi che le sensazioni?

A questo punto, un EEG avrebbe destato non poca preoccupazione, con onde piatte ovunque, mentre l’attività più profonda diventava un canyon impazzito...

Seppe di esserci riuscita quando il freddo la colpì. Un freddo terribile, ma generato dalla natura e non dai recessi infernali.

Madame Web si tolse la benda. Non sobbalzò, nessun timore –ne aveva viste, di cose ben peggiori di un fitto manto di ghiaccio coprire il pavimento, insinuarsi ovunque nella stanza.

Poi, dalla porta aperta, il suono di passi –regolari, lievi come quelli di un fantasma, con un ticchettio di...artigli.

Arrivò il lupo. Un animale stupendo e insieme mostruoso, un maschio dal pelo nero come la notte più buia, senza riflessi, quasi una sagoma ritagliata dall’ombra. I suoi occhi erano tremendi carboni ardenti, malevoli, astuti. Pure, riuscì a trasmettere la propria solennità, mentre si metteva seduto. E stette lì, a fissare Madame Web. Ad aspettare.

La donna si alzò. Il lupo fece lo stesso, facendo appena frusciare il ghiaccio. Poi, il duo uscì dalla stanza.

Oltrepassata la soglia, Madame Web si trovò a camminare per un sentiero, circondata da un bosco, alla luce della Luna Piena. Camminava, ma il paesaggio le scorreva intorno come una moviola, quasi la tavolozza di un pittore impazzito. Madame Web, memore della sua precedente esperienza, si concentrò, e una frazione del paesaggio, questa volta, rallentò, e lei vide il cartello –un’anonima insegna stradale che proclamava Benvenuti a Starkesboro, un bel posto dove vivere. Poi, il paesaggio tornò a scorrere, e Madame Web si trovò nel posto peggiore, nell’ultima parte di quella visione.

Si trovava in una stanza. Una stanza chiusa, sigillata, dove la quasi solida oscurità era rotta dal luccicare della cassa. Quella cassa che brillava di luce ultraterrena, malata, che attirava la donna come la fiamma fa con la falena. Era così concentrata sulla cassa, che quasi non notò il beccheggiare della stanza.

Da qualche parte, nel buio, il lupo ringhiava. Solo ora Madame Web capiva che non era un verso d’intimidazione, ma di avvertimento. Il pericolo non era l’animale, ma ciò che c’era nella cassa! Eppure, ugualmente, Madame Web si avvicinò. Il lupo uggiolava, ma stava lontano.

La donna guardò nella cassa.

E la cassa era un nido brulicante di serpenti, che le si avvinghiarono al collo, alle braccia. Finalmente, lei ebbe paura abbastanza da rompere la visione, ma era troppo tardi! Dietro di lei, una mano l’afferrò saldamente una spalla. Le carni della donna avvizzirono a quel tocco. In un attimo, non era più giovane, era di nuovo vecchia, paralizzata, cieca, impotente!

Il Nemico era una presenza torreggiante dagli occhi come due scintilli infuocate, messaggero di morte e dolore come non si vedeva da eoni. E lei lo vide in faccia!

Il lupo ululò

e Madame Web si destò. Non urlò, ma si accorse che –a giudicare dal sapore metallico in bocca- per farlo, si era morsa a sangue le labbra. Si tolse freneticamente la benda, mentre con l’altra mano afferrava la cornetta del cordless.

 

L’alba iniziava a tingere col fuoco le cime degli alberi che circondavano il paese di Starkesboro. La temperatura era nella norma, niente vento. I predatori notturni andavano a dormire, gli uccelli annunciavano il nuovo giorno.

Iniziava un’altra giornata sonnacchiosa, per questo sperduto paese di 950 anime, conosciuto a malapena dai cartografi e terra ignota per i turisti. Non era giorno di consegne, e le strade erano silenziose. Dalle case, venivano i sommessi suoni delle poche famiglie intente ad affrontare il rito del risveglio.

Una giornata qualunque. Per chi volesse fermarsi alle apparenze.

Bastava spostare la propria attenzione all’interno della seconda struttura più in vista del paese, dopo la chiesa, per capirlo.

 

La sala delle assemblee del Municipio era letteralmente gremita, e il pubblico era qualcosa che non si vedeva tutti i giorni. Insieme a uomini e donne, stavano le loro controparti licantropesche, di pelliccia di ogni colore e lunghezza, il muso più o meno pronunciato. Tutti accomunati dalle espressioni tetre, e dai preoccupati toni di voce mentre si scambiavano idee ed opinioni sulla crisi che occupava i loro pensieri.

Crisi che un branco molto speciale stava cercando di risolvere, a porte chiuse, nell’adiacente ufficio del Sindaco…

 

“C’è una possibilità che si fosse sbagliato?”

Erano in dieci, e nove di loro occupavano l’intera tavola rotonda del consiglio comunale. Due sedie erano prese dai soli ‘umani’ di quell’insolita assemblea –il Sindaco Seward e Zed, quest’ultimo il consigliere scientifico del paese. Era difficile immaginarlo, vedendolo nel suo corpo rotondo, aggredito dalla calvizie e da una miopia che esigeva un vistoso paio di occhiali, ma Seward, come Zed, come ogni abitante di Starkesboro tranne uno, era un lupo mannaro, e nella sua altra forma, Seward era ancora degno di essere l’alfa della comunità.

Il resto del branco non aveva problemi a evitare il goffo involucro senzapelo, rendendo l’ambiente chiuso saturo di odori e di calore corporeo, al punto che inevitabilmente le creature dal raffinato naso si trovavano in un accentuato stato di tensione.

Fra di loro, Karnivor, o colui che un tempo era noto come l’Uomo-Bestia, una mano posata sul cranio dell’enorme mannaro chiamato Predatore nel Buio, scosse la testa dal pelo rosso. “E’ convinto della bontà di quello che ha fatto. E’ convinto che se non fosse intervenuto, manipolando il flusso temporale, la nostra vittoria sul Nemico avrebbe avuto come conseguenza l’intervento di un vasto numero di istituzioni militari, rivelando la specie dell’Homo Wulf, portando a una nuova caccia alle streghe che avrebbe causato l’estinzione.”

La donna era nota solo come la Sacerdotessa. Era, di fatto, quell’unica eccezione, l’unico essere umano di Starkesboro. Lei, e i pochi come lei sparsi per il mondo, incarnava quanto rimaneva di un antico patto fra l’Uomo e il Lupo, prima che forze avverse causassero le prime cacce.

Era stato compito della Sacerdotessa vigilare sul teschio del Nemico, impedire che le Sue forze ne riprendessero possesso. Fino alla notte precedente, quel compito era stato assolto bene. Nonostante l’improvvisa scomparsa degli Dei[4], e la conseguente perdita del proprio potere di effettuare magie di difesa, questa era stata assicurata dagli esseri presenti nella stanza. Il Nemico aveva organizzato addirittura un esercito, per raggiungere lo scopo, ma le sue forze erano state facilmente sbaragliate dagli eroi.

Poi, improvvisamente, il Predatore nel Buio aveva ribaltato la situazione. La linea temporale era stata alterata, in modo che nessun esercito avesse mai attaccato Starkesboro…Ma perché ciò avvenisse, doveva accadere che gli agenti del Nemico riuscissero ad infiltrarsi nella chiesa e rubare il Suo teschio.

Per conto suo, il Predatore appariva, tanto agli occhi quanto agli altri sensi, come sinceramente dispiaciuto per tale situazione.

“Non tutto è ancora perduto,” disse Zed, che nella sua forma umana era il vostro tipico cyberpunk, snello, capelli lunghi, folti e incolti, pizzo diabolico e camicia fuori dai pantaloni, con immancabile taschino decorato a penne come fossero medaglie d’onore. “L’assenza di ulteriori manifestazioni indica che il teschio non è ancora stato unito al resto del corpo. Anzi, potrei già avere una pista buona.”

Fu come avere lanciato una bomba. Tutte le paia di occhi presenti gli si incollarono addosso in modo imbarazzante. Il giovane mannaro si affrettò ad alzare le mani. “Ehmm, solo un indizio, per questo non ne avevo ancora parlato…Sapete, niente false speranze e tutta quella roba lì.”

“Comincia a parlare, hombre,” ringhiò il mutante mannaro dalla nera pelliccia, Carlos Lobo. “Decideremo noi se è importante.”

Fosse stato un uomo, Zed si sarebbe fatto crescere la coda solo per mettersela fra le gambe. Invece, la sfida da quel maschio che neppure faceva parte della comunità lo spinse a ringhiare in modo inumano, i denti già ridotti a zanne.

“I litigi a dopo, cuccioli,” disse la Sacerdotessa, seccamente. Poi, a Zed, in tono più mite ma fermo, “Illustra la tua ipotesi.”

Zed estrasse una specie di notepad elettronico da un altro taschino, e vi digitò velocemente. Subito, l’apparecchio generò un ologramma del teamleader degli agenti del nemico, Sidewinder.

“Per chi si fosse sintonizzato solo ora,” disse Zed, “la Società dei Serpenti è una delle migliori organizzazioni di mercenari sul mercato dell’illegalità. I suoi componenti, per il look e i poteri o armi, si rifanno ai più disparati serpenti. Cosa rilevante, spero, è che un’incarnazione della Società fu fondata & finanziata dagli alti quadri della Roxxon Oil. E, guarda caso, per recuperare la Corona del Serpente, il talismano attraverso cui il Dio Set esprimeva il proprio potere.”

“Il conto torna,” disse Seward, aggiustandosi gli occhiali. “Adesso, possiamo solo sperare che quelli della Roxxon stiano ancora cercando il corpo del Nemico. Fortunatamente, senza quello sono al punto di partenza. Zed, è possibile monitorare le attività della Roxxon?”

“Avrei bisogno di molta più potenza di elaborazione. Capo, non sono mica lo SHIELD, non so neppure da che parte iniziare a cercare. La Roxxon ha le mani in pasta ovunque!”

“Non è una scusa per non cominciare,” disse la Sacerdotessa. “Con il teschio, localizzare il corpo diventerà facile...Ammesso che il corpo non sia già stato trovato, con la sfortuna che abbiamo.”

Il Campione di Starkesboro, Jon Talbain, dal pelo nero e bianco, scosse una mano. “E’ stato sepolto nell’oceano, e anche se da allora ne sono successe, di cose, direi che sarebbe troppo credere che anche solo un’isola sia potuta emergere proprio sotto i suoi piedi. Dobbiamo...Yip?”

Il telefono scelse esattamente quel momento, per squillare. Seward, avvezzo al contatto diretto, non usava dipendenti per filtrare le chiamate. Afferrare il telefono e rispondere personalmente gli venne naturale. “Municipio di Starkesboro, parla...Oh, è lei. Naturalmente che non l’abbiamo dimenticata, noi” chiunque fosse, lo interruppe a metà frase. Immediatamente, Seward divenne molto pallido, ma non spiccicava parola. Finalmente, disse solo, “Attenda, prego: la metto in vivavoce.” Digitò un pulsante, abbassò la cornetta, e disse. “Fatto. Adesso, per favore, ricominci daccapo.”

Madame Web si presentò, e senza esitare raccontò ai presenti della sua visione, senza tralasciare un particolare. Finalmente, quando concluse, aggiunse, “Chiedo scusa per il ritardo, ma ho tentato invano di contattare il Dottor Strange per primo. Spero di potervi essere stata di aiuto, signori.”

“Senza alcun dubbio, Madame Web. Grazie ancora dal profondo dello spirito,” disse la Sacerdotessa. Seward attaccò, mentre Zed si alzava in piedi, diretto al PC del sindaco. Tutto eccitato, il giovane mannaro lo accese, ed iniziò a digitare come un matto. Attivò la connessione Internet e altre applicazioni allo stesso tempo. Un attimo dopo, mappe su mappe riempirono il grande schermo LCD. “Incrociamo le code, lupi. Mi ci vorrà un po’, comunque, quindi non mi state addosso, va bene?”

“Possiamo fare ancora più in fretta,” disse un mannaro del colore dell’acciaio, ulteriormente irrobustito dalla sua armatura. Sir Wulf voltò lo sguardo verso Karnivor, poi di nuovo a Zed. “Possediamo mezzi più efficaci dei vostri elaboratori, anche per ricerche nel ciberspazio.”

Zed rispose con un inquietante sorriso.

 

Rahne fu felice di uscire da quella stanza, mentre attendevano i risultati. Uscì dal municipio, seguita dagli sguardi dei mannari locali, facendo uno sforzo per ignorarli, mentre i suoi istinti le dicevano di annusarne almeno qualcuno per cortesia...Dio, cominciava a sentirsi sopraffatta –in 24 ore, aveva imparato di non essere una mutante, ma figlia di una mannara e di un umano, quell’umano, il maledetto Reverendo Craig, che aveva fatto il possibile per farla sentire in colpa di essere nata. Poi, aveva iniziato quella guerra fra mannari e serpenti, e il tutto coronato da intere comunità organizzate di suoi simili..!

“Tutto bene, Rahne?” chiese qualcuno dietro di lei. Lei sobbalzò, e incontrò l’espressione da cucciolo preoccupato di Jon Talbain. Sorrise timidamente. “In un certo senso...”

Si sedettero su una panchina. Il sole era alto, caldo, elemento di una giornata ingannevolmente benevola, ma così piacevole sotto la pelliccia...Rahne si rilassò abbastanza da confidarsi con il giovane. “Jon, non che non mi preoccupi di impedire un disastro...In fondo, ho aiutato a salvare il mondo così tante volte...Ma come mai questa apparente inimicizia atavica fra il Lupo e il Serpente? Voi sembrate dedicati a combattere questo ‘Nemico’ come fosse una missione personale. Chi è il Nemico?”

Jon sospirò. “E’ storia vecchia, Rahne, molto vecchia. Il Nemico è perfino più antico di Atlantide; è un male vivente, che segue la volontà del malvagio Set.”

Rahne annuì, a quel nome –Atlantide e Set erano stati un binomio terribile, quando l’Antico Dio-Serpente cercò di varcare la porta verso la Terra. Fu sconfitto a stento, secondo quando raccontò la Bestia in seguito, e ci vollero le forze combinate di numerosi eroi su tutti i fronti, per vincere[5].

“Molte volte Set aveva tentato di vincere il suo confinamento, attraverso il Nemico. E molti guerrieri lo hanno fermato, da Kull di Valusia a Conan il Cimmero...ai Tuatha da Danann e tanti altri ancora, fino agli eroi moderni.

“Il popolo-lupo fu il primo responsabile della caduta del Nemico. Purtroppo, neppure la Sua morte fu sufficiente a fermarlo, e la Sua vendetta fu terribile: riuscì a cospirare per spezzare l’antico patto fra i Lupo e l’Uomo, causando la prima grande Caccia, costringendoci alla macchia per eoni. Ma non spezzò la nostra determinazione; per questo, eravamo proprio noi, fino ad oggi, a custodire il Suo teschio...”

Rahne capiva solo di dovere ancora imparare molto, su quello che stava accadendo –dio, lei stessa era stata allevata nella convinzione che la sua specie fosse rappresentata da stupidi selvaggi, assassini e lussuriosi! Quasi non si accorse di stare chiedendo, “E Lobo? Non stiamo facendo un errore, a tenerlo fra le nostre fila? Il Professor X, nel suo database dei mutanti, ha una scheda su di lui: è un assassino, Jon. Lui, con sui fratello Eduardo, ha fondato un cartello della droga, gli Hermanos de la Luna, e hanno ucciso...”

Jon le mise un dito di velluto sul muso. “La Sacerdotessa ha avuto una visione, e nella visione c’erano i nuovi eroi contro il Nemico. Carlos Lobo è uno di loro. Uno di noi, Rahne.” All’esitazione di lei, aggiunse, “Se hai dei dubbi, rossa, devi esprimerli con lui.

“Non fare quella faccia. Non pensare come un’umana, un membro di una specie di bugiardi professionisti. Sei lupa, Rahne, i tuoi, i nostri sensi rendono i nostri interlocutori un libro aperto. Parla con Lobo, sfidalo, poni a lui i tuoi dubbi, e scopri se nel risponderti ti dovesse mentire. Fino ad allora, fidati della Sacerdotessa, fidati del Branco che a lei concede l’anima e il nome.”

Quelle parole riaccesero in Rahne un ricordo, un ricordo di un passato lontano una vita...Lei era ancora una ragazzina, appena entrata nella pubertà. Era da poco entrata nei Nuovi Mutanti, una squadra di giovani coetanei, tutti alle prime armi non solo con i superpoteri, ma anche con la diversità che comportava essere un mutante.

Quel giorno, lei ed i suoi amici stavano cercando di rintracciare l’individuo che stava subissando la loro insegnante Stevie di telefonate moleste. Ricordava di come fossero riusciti solo a rintracciare la fonte di una telefonata, ma non il molestatore. A Wolfsbane toccò il compito di rintracciarlo fisicamente –fu una lunga caccia, alla fine della quale il colpevole, un allievo di Stevie fu rintracciato in mezzo a una folla di coetanei. Rahne ricordava ancora come fosse stato facile individuarlo, distinguendo le emozioni così come venivano ‘irradiate’ dal corpo sotto forme che i sensi umani non potevano percepire.

Jon aveva ragione: se per qualche ragione Carlos Lobo era in cerca di redenzione, Rahne avrebbe dovuto ‘leggerglielo’ addosso. “Parli della Sacerdotessa come fosse un...parente...”

“Una madre, vuoi dire? In un certo senso, lo è...per tutti noi. Se non fosse stato per quelli come lei, i mannari sarebbero ancora un popolo disorganizzato, troppo occupato a fuggire dalle ombre dell’Uomo, invece di costruire la propria civiltà. Quello che lei dice, qui a Starkesboro, è vincolante come un ordine della Coppia Alfa. Ti ha detto nessuno che sei davvero bella?”

Lei fu troppo sorpresa per rispondere subito, anzi era davvero comica con le orecchie dritte come antenne e la bocca semiaperta. Ridacchiò. “Scusami...Ma mi ricordi tanto un altro...lupo. Si chiamava Hrimhari...”

Fu la volta di Talbain di restarci di sale. “Il Principe Lupo di Asgard? Lo hai incontrato per davvero[6]?!”

Lei fece per rispondere, quando la voce mentale di Karnivor li investì come un’onda <Branco, adunata! Adesso!>

 

Oceano Antartico

 

Un tempo, la grande nave aveva ospitato un equipaggio di oltre 500 persone. La loro esistenza era divisa fra lavoro e una parvenza di vita sociale, in quel lungo esilio alla ricerca di risorse naturali dal fondo oceanico. La noia era la loro più grande preoccupazione.

Adesso, nessuno più si annoiava.

Nessuno più viveva. Il mare cullava gentilmente quello che era diventato un grande sarcofago, costellato di corpi rinsecchiti, dalle orbite vuote, ognuno contratto sul pavimento. Quello che rimaneva dei volti, la postura dei corpi, testimoniavano mutamente l’ultimo spasmo di orrore dei vivi, l’ultima visione che avrebbe accompagnato le loro anime nella perdizione del loro nuovo padrone.

 

Erano tutti affollati intorno al proiettore del terminal di Seward, collegati ai sistemi informatici della base di Karnivor..

Il risultato erano una serie di finestre contro lo schermo a tutta parete. Alcune finestre mostravano rotte aeree e cascate di dati ad esse relative. Altre, scannerizzazioni di mappe disegnate a mano, le cui parole erano redatte in una lingua morta e dimenticata. Altre, foto satellitari.

Zed era in paradiso: aveva ottenuto in pochi minuti una quantità di informazioni che avrebbe richiesto ore. “I database militari sono aggiornati al secondo su ogni volo, inclusi quelli fino a poco tempo fa classificati Top Secret. E i database sono accessibili a chiunque abbia le…conoscenze giuste.”

“Non immaginavo che ci fossero mannari infiltrati a così alti livelli,” disse Rahne, che con la paranoia governativa, quando era sotto X-Factor, aveva avuto a che fare in prima persona.

Zed sfoggiò un sorriso obliquo. I mannari avevano trasformato la sopravvivenza in pura arte, arrivando a livelli che nessun umano avrebbe solo immaginato!

Zed puntò il puntatore laser verso una foto nel mare antartico. Era una foto satellitare, che mostrava una gigantesca nave civile. “Questo è la Deep Recon Mary, uno dei gioielli della Roxxon, impegnata in ricerche geologiche. Ho incrociato la sua posizione con le mappe relative all’ultima posizione nota del corpo del Nemico, e crediamo che la ‘stanza beccheggiante’ descritta da Madame Web possa appartenere proprio a quella nave. A ulteriore riprova, un aereo privato della Roxxon è partito poco fa da Boston per…indovinate dove?”

Un rombo sordo si fece sentire fuori dall’edificio. Dalla finestra, era visibile nel cielo, nell’atto di atterrare, una sagoma scura, costellata di luci intermittenti.

“Che la Madre Terra sia con voi, campioni,” sussurrò la Sacerdotessa, mentre i mannari uscivano di corsa dalla stanza. Almeno, un’altra speranza c’era, e la visione di Madame Web lo confermava.

Il settimo campione era già nell’area di crisi!

 

Il velivolo che aveva portato parte del Branco a Starkesboro decollò, nero predatore contro il cielo azzurro.

Nella foresta, tuttavia, quella visione era ragione di grande angoscia per lo straniero appena giunto in un lampo di teletrasporto.

Il suo corpo fumava delle energie spese, la sua sagoma un’enorme ombra perfettamente mimetizzata con l’ambiente. ma anche l’energia per nascondersi stava esaurendosi. La prima parte visibile del corpo, una potente zampa metallica, si conficcò nel tronco dell’albero più vicino. Occhi gialli brillarono nell’aria.

Lo straniero era stanco, aveva bisogno di energia. E la fonte ideale era appena andata via!

Il calcolo delle probabilità non lasciava scampo: doveva cercare una fonte alternativa nell’agglomerato urbano vicino.

 

Il velivolo era nero, nella migliore tradizione stealth, e la fusoliera era un’unica cosa con la sua enorme ala a ‘V’. Quanto alla sottigliezza, il suo apparato elettronico era ben capace di dare problemi a qualunque radar di terra o satellitare, mentre i dispositivi di distorsione fotonica lo rendevano virtualmente invisibile.

A conferma di ciò, infatti, a breve distanza, il jet della Roxxon procedeva sulla sua rotta, ignaro dell’ospite che lo tallonava.

 

E, a bordo del nero apparecchio...

 

“Lo ammetto, rosso. Hai gusto in fatto di armi.”

Carlos Lobo, rimasto nella sua forma lupina, si stava rigirando con evidente soddisfazione una specie di ibrido fra un fucile e una spada. L’arma sembrava il manufatto di una civiltà aliena: l’enorme canna, con una bocca da fuoco che faceva chiaramente capire che sparava ben di meglio di proiettili, era circondata da due enormi lame affilatissime, che le correvano intorno e fino a superarla. Non la si poteva tenere se non a due mani, e il mannaro doveva flettere i muscoli d’ebano per lo scopo.

Karnivor indicò una specie di uniforme militare imbottita –o meglio, i pezzi di un’uniforme, destinati a coprire i punti più vulnerabili del corpo. “Se vuoi usare quella UniGun, devi indossare gli alloggi.”

Que..?

“La UniGun è un’ARM, Armatura Riassemblabile Modulare, come quella di Wolfsbane. Esprime il suo massimo potenziale nella corrente forma, ma è disegnata anche per essere indossata dal suo utente.”

Lobo posò l’arma, e andò a prendere l’uniforme. Nel farlo, lanciò un sorriso lascivo a Wolfsbane, che sedeva in disparte con gli altri. “Peccato, chica. Dovrai aspettare, per rivedermi tutto d’un pezzo.”

Rahne non fece commenti, ma si segnò di fare un discorsetto a quel teppista, appena finita questa storia, oh sì!

“Non stiamo correndo un rischio eccessivo?” chiese Talbain, guardando verso il mare sottostante. “Attacchiamo l’aereo col teschio adesso, lo abbattiamo e…”

“E avremmo solo rimandato il problema,” disse Sir Wulf, intento ai comandi. “Il teschio non può essere distrutto, e il Nemico ha dimostrato di avere molta pazienza. Se riusciamo ad essere abbastanza veloci, potremo non solo recuperare il teschio, ma riuscire a separarlo temporalmente dal corpo un’altra volta.”

Il Predatore nel Buio, sdraiato sul pavimento all’estremità opposta della cabina, ricambiò l’occhiata di Wulf con appena uno scuotere delle orecchie. Lui era l’incognita, la variabile impazzita: dal momento in cui Karnivor lo aveva sondato, avevano scoperto che era il membro di una specie aliena. E la cosa più triste era che, per ora, non poteva rivelare a nessuno le ragioni della loro presenza sulla Terra, ne’ dei limiti imposti al proprio potere.

Ma di una cosa il Predatore era certo: se per proteggere il suo clan avesse dovuto sacrificarsi insieme a questo branco, lo avrebbe fatto!

Karnivor tornò a sedersi accanto a Wulf. Il suo muso sembrava impossibilitato ad esprimere qualcosa di diverso da un cupo corruccio.

‘Gusto in fatto di armi’…E dire che avrebbe volentieri dimenticato di possederne! Possibile, era davvero possibile che il suo passato fosse destinato a perseguitarlo per sempre? Aveva fatto giuramento di non toccare più una delle sue armi, di stare lontano dalla guerra...

Allungò una mano a stringere un braccio di Wulf. Dolce era stato ingannarsi. Quanto più amaro, il realizzarlo!

 

Ben altri pensieri, avrebbero occupato la mente dell’uomo-bestia, e dei suoi compagni, se avessero saputo

di essere perfettamente visibili, a occhi abituati a sondare nei reami che la comune mente umana, con le sue meraviglie elettroniche, non poteva raggiungere.

L’essere che osservava la scena attraverso uno schermo mistico era il più potente nella Società dei Serpenti, era il leader supremo, era il Re Serpente.

Tutto era andato come previsto: gli stolti erano soli, in una zona isolata.

Che la sciarada avesse fine!

 

L’aereo era sulla verticale della Deep Recon Mary. L’areo della Roxxon era prossimo all’atterraggio, su una piattaforma galleggiante che affiancava la nave..

Erano pronti, in assetto da battaglia. Rahne aveva indosso la sua armatura nera.

Sir Wulf, inserito il pilota automatico, stava sedendosi sul suo ‘destriero’, un drago robotico in miniatura. “Branco, è ora di mostrare le zanne. Che la caccia ci sia favorevole. Andiamo!”

Aprì il portello sotto di sé, e si lanciò nel vuoto. Il resto del branco lo seguì a ruota. Il solo che non potesse volare, il Predatore nel Buio, non sembrava essere preoccupato. Il suo salto lo portò dritto verso l’aereo. Lo videro passare letteralmente da parte a parte l’ala destra come fosse stata cartone!

L’aereo si impennò, si rovesciò su un lato, cappottò, e terminò rovinosamente la sua corsa in una fragorosa esplosione!

Un attimo dopo, il Predatore riemerse accanto alla nave. Potenti artigli scavarono nel metallo della fiancata, e il mannaro alieno prese a scalarla con facilità.

 

Il gruppo, intanto, atterrò sul ponte. “Signore onnipotente..!” disse Wolfsbane, coprendosi la bocca. Il lezzo della morte era qualcosa di palpabile. Persino gli uccelli si tenevano accuratamente lontani da quello scenario

Non avrebbe avuto modo di aggiungere altro.

Perché, senza preavviso, l’intera Deep Recon Mary si trasformò in un mostruoso globo di fuoco!

 

Terra Selvaggia

 

La quiete del mondo dimenticato dal tempo, dove ancora i dinosauri camminavano a fianco dei mammiferi, fu di colpo scossa da un fragore ultraterreno. Il cielo si riempì di ogni creatura alata, in stormi fitti come nuvole di tempesta, prima che il suolo rimbombasse di energie scatenate, per poi tremare ovunque cadesse l’occhio.

I laghi si scossero con ondate mostruose. Intere sezioni di montagne franarono come sabbia. In alcuni punti, la roccia si crepò abbastanza in profondità da fare sgorgare lava!

Lord Kevin Plunder, che nella Terra Selvaggia era conosciuto come Ka-Zar, riuscì a fuggire all’ultimo momento dal crollo della propria casa. Fra le braccia, reggeva la sua progenie. Accanto a lui, aggrappata al fedele smilodonte Zabu, stava sua moglie, Shanna. Il fragore era tale da costringere a urlare, per farsi sentire. “Kevin! Cosa sta succedendo? Non c’era nessun segno premonitore!”

Ka-Zar non rispose, ma continuava a correre. Quell’evento non era naturale, lo sentiva. E c’era un solo posto, dove andare, adesso!

 

Centro Ricerche Distaccato USGS. Isola di Ross.

 

Definire caotica la situazione all’interno della base sarebbe stato davvero un bell’eufemismo. Di fatto, tutto quello che non era saldamente ancorato al suolo sembrava avere acquistato vita propria! E restare in piedi per fuggire da quell’ambiente saturo di oggetti trasformati in armi letali era impossibile. Potevi solo stare giù, in mezzo alle schegge delle finestre esplose per le vibrazioni.

Un riconoscimento al merito, pertanto, al gruppetto di tecnici che restava attaccato alla propria posizione di lavoro, a costo di stare in ginocchio. “Non stiamo scherzando, passo! Tom, ci senti?” stava urlando disperatamente un tecnico, la cui vita era appena stata trasformata in un incubo. “TOM!” urlava, e la radio gli rimandava mozziconi di frasi inframezzati alle scariche elettrostatiche. “Tom! Il vulcano dell’isola è letteralmente esploso, come il Krakatoa! Siamo ancora sotto il bombardamento dei lapilli, è un miracolo che siamo ancora vivi!! Dovete usare il satellite, dirci che cazzo sta succedendo! Temiamo che il mare…O no…”

 

Quartier Generale dell’USGS, Washington

 

Il satellite non poté che fare da muto testimone, mentre i suoi precisi occhi elettronici trasmettevano la fine di quanto era vivo sull’Isola di Ross, quando lo tsunami colpì. Allo stesso tempo, lastroni di ghiaccio, ognuno grande come la Lombardia, si staccavano a grappoli dai principali ghiacciai di Ross. Le altre basi, come McMurdo, avevano interrotto ogni contatto.

Eppure, di fronte all’inaspettata catastrofe, c’era qualcosa che riusciva ad attirare con maggiore intensità l’attenzione dei presenti. Uno spettacolo da fare, almeno per ora, dimenticare di avere degli amici, dei parenti, che stavano morendo orrendamente in quell’area dell’Antartico.

Perché il satellite stava mostrando, con agghiacciante nitidezza, che nell’area di Terra Nova, i ghiacci si stavano spaccando, sollevando, spinti dalla tremenda pressione…

 

Delle colonne composte da ghignanti, allucinanti gargoyles.

Delle torri di marmo e cristallo, di un disegno perso negli eoni.

Degli edifici di una maestosità degna di riflettere il potere che li stava riportando alla luce!

Delle solide muraglie di metallo e roccia, tali da fare impallidire quella Cinese..

E finalmente, l’intera città torno ad esistere!

 

Il Nemico rinato stava in piedi, in cima al Grande Tempio, che guardava l’intera città. La terribile tempesta antartica era poca cosa, in confronto a quella eterea, fatta non di vento ma di anime, una tempesta che attraversava ogni strada, ogni casa della città, in una cacofonia che una mente umana non avrebbe potuto sopportare, ma che per il Nemico era musica!

Il Nemico, avvolto dal suo mantello scarlatto agitato dal vento, che spalancava le sue braccia alla minacciosa statua raffigurante un serpente a sette teste, circondato da un mare di fiamme alimentate dal sangue. Il Nemico, colui che un tempo era un uomo, e che a riprova della vittoria sulla morte, come testa aveva un nudo teschio, le cui orbite brillavano di arcane energie, un teschio la cui bocca era spalancata in un’oscena smorfia di trionfo. “IO SONO TORNATO! Che le popolazioni tremino, e il Sole lacrimi sangue! Che tutti sappiano che Thulsa Doom riporterà la parola di Set quale sola ed unica legge!!

La sua risata sovrastò il fragore della tempesta.

 

Episodio 4 - Biforcazione

 

L’Antartide.

Impero del gelo. Regno della morte bianca. Un territorio tanto vasto quanto ostile, marginalmente colonizzato da un pugno di specie, i pinguini quale più avanzata di esse. Persino l’uomo moderno, nonostante le proprie risorse, è ancora incapace di vivere permanentemente nel continente freddo senza rischiare la follia, continuamente attento ad evitare di commettere quel minimo passo falso che qui lo separa da una morte atroce.

Ufficialmente, almeno secondo quanto possono asserire biologi e paleontologi, i dinosauri furono gli ultimi signori di questo mondo, prima del grande inverno meteorico –apocalittico assaggio dell’inevitabile trasformazione- dinosauri che oggi si possono trovare, quale testimonianza di quel dominio, nelle profondità semisconosciute della Terra Selvaggia.

 

Ma, adesso, persino quell’oasi di preistoria nel XXI secolo appariva come ben poca cosa agli occhi del mondo scientifico. Adesso, tutta l’attenzione mondiale era per il frutto di un recente cataclisma, che, pur avendo causato la morte di centinaia di uomini coraggiosi e la distruzione delle loro stazioni scientifiche nel continente bianco, aveva riportato alla luce

 

Set Atra-no. La Città di Set, le cui monolitiche architetture si persero nella notte dei tempi, prima ancora della fine della favolosa Atlantide.

Solo un numero molto ristretto ‘sapeva’ di Set Atra-no, non potendo addurre che un pugno di fiabe e di dubbi reperti. Eppure, anche di fronte a questa meravigliosa apparizione, preservata dal tempo, quei fanatici ne sarebbero fuggiti a gambe levate,

 

se avessero saputo chi fosse il suo signore!

Un uomo, se così lo si poteva chiamare, vestito di un elegante abito azzurro e oro, dal mantello scarlatto, e i bordi di bianca pelliccia. Un essere che aveva relegato la Morte dalla propria esistenza, e che a provarlo aveva come testa un nudo teschio dalle orbite scintillanti!

Il suo nome era stato, a suo tempo, sinonimo di terrore, e il suo sinistro potere era la causa del ritorno della Città di Set.

Lo stregone sedeva su un trono ricavato dalle sinuose linee di un serpente, la testa di quest’ultimo spalancata minacciosamente a sovrastare lo schienale.

Sotto la piattaforma su cui il trono si ergeva, nella grande sala, stava una fila di 9 fra uomini e donne nelle più pittoresche armature. Come uno solo, stavano tutti inginocchiati in adorazione. E quando levarono la testa, le loro espressioni non erano da meno.

All’unisono, dissero, “Ave, Thulsa Doom! Ave, sommo Sacerdote del Dio Serpente e Padrone del Tempo. Sul tuo regno, non calerà la morte!”

Thulsa Doom accarezzò i braccioli serpentini, e parlò con una voce perfettamente umana –un contrasto ancora più stridente con il suo macabro aspetto. “Miei fedeli generali, vi ho investito di nuova vita e vi ho fortificati per la difficile missione che vi attende.

“Grande è il mio potere, ma acciocché Set possa tornare sulla Terra, ne occorre di più. Occorre ritrovare e riunire gli Occhi del Serpente.

“Già una volta essi furono nelle mie mani, ma scioccamente cercai di usarli per me, e Set mi reputò indegno, consumandomi[i]. Gli Occhi sono dispersi per il mondo, ed è vostro compito trovarli e riportarmeli. Io sarò troppo impegnato a consolidare la Parola di Set che già ha iniziato a brillare nel mondo[ii] e a reclutare forze per il mio esercito. Ora andate!”

A un gesto dello stregone, le figure si trasformarono in colonne di luce, e scomparvero.

Thulsa Doom guardò verso il cielo stellato flagellato dai venti artici. Presto, anche le stesse stelle sarebbero tornate nelle loro posizioni, a riflettere il potere degli Dei legittimi...

 

Le stelle.

Fredde, lontane, cascata di diamanti nel buio. Il suo spirito volava libero nel cielo notturno di un mondo senza luna ma illuminato dal vicino braccio galattico. Il mondo sottostante si avvicinava rapidamente fra getti morbidi di nuvole. Un mondo di distese sterminate, vergini, appena macchiate da un occasionale villaggio. Qui, l’industria era un concetto o alieno quanto il mondo stesso o molto lontano a venire...

Il suo spirito sfrecciò attraverso le foreste, ascoltando gli ululati lontani, diretto verso il villaggio nel cuore di una pianura.

Entrò. E si ritrovò dentro una capanna squallida, povera, satura del fetore non di alieni, ma di umani che non possedevano le minime comodità per provvedere alla propria igiene.

Lo spirito vide l’uomo abbandonato pietosamente su una sedia a cui mancava una gamba. Immerso nello stupore alcolico, l’uomo non sarebbe potuto accorgersi di una mandria entrargli in casa. In una mano stringeva la bottiglia, nell’altra una cintura su cui del sangue non aveva ancora finito di rapprendersi.

Pianto. Di un bambino, dalla camera attigua... ’Camera’, più una stia per polli, dove in un angolo stavano due bambini, due gemelli. Uno di loro aveva la schiena nuda, sanguinante dei colpi inferti, e si teneva stretto al fratello –il quale faceva del suo meglio per confortare l’altro e trattenere le lacrime a sua volta.

Lo spirito esitò, voleva comunicare. Loro lo ricambiarono con un’occhiata carica di rancore e tristezza. “Vete de aqui!” dissero, all’unisono.

E lo spirito se ne andò. Sfrecciò, ancora guidato dagli ululati distanti, li seguì, disperatamente in cerca di un punto di riferimento, di un oasi di pace. Ma non era più sul mondo lontano, bensì sulla Terra, in mezzo a una foresta di montagna, incredibilmente pura in un mondo così corrotto.

E trovò la sua anima gemella, in un magnifico lupo. Un maschio dal pelo rosso, forte, il capo di un branco ben nutrito, unito e indurito dagli elementi. Con loro, lo spirito era in pace, desideroso solo di una vita come la compagna del capo, madre dei loro cuccioli...

PERICOLO!

Il branco smise di muoversi, si guardò intorno, e poi verso il cielo, da cui veniva il crescente rumore.

Piombarono su di loro come un intero stormo di falchi! Figure umane, gli odiati umani, in sella a cavalli volanti, con dei nuovi bastoni di tuono. Ma dai bastoni non partivano i già letali proiettili, ma letali fulmini.

Il branco non aveva scampo. Scappare venne naturale, ma come si poteva evitare il fulmine?

Lo spirito li vide uggiolare, rotolare e morire, uno ad uno, ogni vita innocente spezzata nel suo fiore. Perché? Voleva ululare, ma nessuno poteva ascoltarlo. Ma nulla gli avrebbe impedito di restare al fianco del suo maschio fino alla fine – quello stesso maschio che, contrariamente ad ogni buon senso, trovò addirittura la forza di saltare verso il cavallo volante più basso!

Un breve accapigliamento, e la preda fu sbalzata dalla sella. Ormai desideroso solo di vendetta, il maschio rosso si preparò all’attacco di un altro cavallo...prima di essere colpito!

Lo spirito soffrì con lui, e perse conoscenza nello stesso momento, nello stesso lampo di luce abbagliante.

Si riebbe al fianco del suo maschio, in un altro ambiente alieno. Il lupo era sdraiato su un tavolo di cristallo, sotto il quale già iniziava a brillare una macchina sconosciuta, puntata sul ventre del lupo immobile, sveglio, terrorizzato...

E lo spirito era il lupo, e mentre la terribile energia lo investiva, alterando il suo corpo, la sua mente conteneva un solo pensiero, una sola litania, una sola parola.

Vendetta!

Odio!

Io vivo. Io penso.

IO ODIO!

 

Wolfsbane si svegliò di colpo, le zanne snudate, la gola arida tale era l’ardore con cui aveva pronunciato le parole del suo ‘sogno’.

Nonostante i suoi occhi fossero aperti, impiegò quasi un minuto a realizzare di non essere nella stanza ‘aliena’, ma in una caverna. Faceva freddo, e solo la vicinanza fisica degli altri corpi impellicciati sdraiati con lei doveva avere prevenuto l’assideramento.

Il respiro tornò a dei ritmi regolari, e si accorse che la stavano guardando, tutti con la testa inclinata di lato –Jon Talbain, il mannaro di Starkesboro, dal pelo nero e bianco, che le stava addosso insieme all’argenteo Predatore nel Buio e al nero Carlos Lobo. E nessuno di loro...era...vestito...

Si sentì arrossire sotto le orecchie, e mormorò uno “Scusatemi,” prima di alzarsi con discreta fretta. Si guardò di nuovo intorno. La caverna era ampia, lunga, asciutta; faceva freddo ma il vento non penetrava... “Oh,” disse vedendo che il fuoco non era di legna, ma di ossa. Ossa grandi, ma da dove...?

“Va tutto bene, Rahne?” chiese Talbain, alzandosi insieme agli altri. Raccolse pantaloni e cintura, indossandoli velocemente e guardandola, non comprendendone l’imbarazzo.

“Come siamo finiti qui? Dove siamo?” L’ultima cosa che ricordava era di trovarsi sul ponte di una nave, un ponte disseminato di cadaveri rinsecchiti...poi c’era stata la luce, e quel suono come di un tuono...

Rumore di passi metallici, dalla direzione dell’imboccatura. “Siete qui grazie al nostro potere, mortali.”

La luce si rifletteva in riflessi sanguigni ed abbaglianti sull’armatura d’oro del nuovo venuto. Wolfsbane si accorse che gli altri, per quanto sull’attenti, non mostravano alcuna aggressività, e lei stessa si rilassò quanto bastava.

Il nuovo venuto era un uomo. Poteva avere qualunque età fra i 30 e i 40 anni. Era asciutto, atletico, irrobustito dall’armatura ma tradito dal volto segnato da una vita dura –un volto dagli occhi di brace, i capelli nerissimi e i baffi neri i folti su un pizzo abbozzato. Ma era la sua mano sinistra la sua caratteristica più peculiare, visto che era artigliata e coperta di nera pelliccia.

L’uomo parlò con un esotico accento nord-europeo. “Io sono Tyr di Asgard, Dio della Guerra. E voi sareste i miei futuri compagni d’arme?” sfoderò un sorriso sfottente. “Ho visto cuccioli neonati reagire meglio al gelo del Niffelheim.”

Wolfsbane sorresse lo sguardo. Lobo, invece, andò a prendere la sua armatura, che giaceva in un mucchio vicino al fuoco. Mentre la indossava, disse, col più pesante accento latino, “E scommetto che da solo non avresti potuto fare niente, gringo. Qui es l’altro del ‘noi’ di cui parli?”

“Lo saprai a suo tempo, mortale. Siete pronti per la pugna, piuttosto? Il Nemico non è lontano da qui.”

Wolfsbane lanciò un’occhiata alla propria armatura. Mentre dormiva, quella si era riconfigurata nella forma di lupo, nera, così bene modellata da sembrare viva...Poi, la licantropa scozzese si diresse verso l’imbocco della caverna.

 

Come sperava, vi trovò il membro del gruppo che cercava: il rosso Karnivor, nella sua armatura smeraldina, il casco depositato nella neve.

Il lupo antropomorfo guardava verso Set Tra-no, della quale si vedevano solo le maestose mura di metallo e pietra che si stagliavano nell’aria cristallina come una nuova catena montuosa.

Lei attivò il collare che generava il costume a molecole instabili. Poi, guardandolo, gli chiese solo, “Eri tu?”

Karnivor sembrò metterci un’eternità, prima di annuire impercettibilmente. “Si chiama Alto Evoluzionario, fondatore di Wundagore, il cui esercito è stato creato con innocenti ‘selezionati’ come lo fui io.

“Dopo la modifica genetica, avrei dovuto subire lo stesso lavaggio del cervello che ha trasformato gli altri in marionette obbedienti, ma l’intervento di Thor[iii] impedì che ciò potesse succedere.

“Da quel giorno, feci tutto il possibile in mio potere per annientare l’Alto Evoluzionario e i frutti del suo lavoro, per cancellare ogni sua traccia...E a tale scopo mi abbassai al suo livello, sviluppai il mio odio a un tale livello da farlo diventare una fonte di potere esso stesso. Minacciai lo stesso equilibrio cosmico, quando rubai il potere delle Gemme dell’Infinito[iv] per farne un’arma...

“Devo a Sir Wulf la mia salvezza. Grazie a lui, vidi il buio della strada che stavo percorrendo, e insieme elaborammo un ultimo piano che, se non mi avesse liberato dall’Alto Evoluzionario[v], almeno mi avrebbe restituito una parvenza della vita innocente fra i boschi natii...Come hai fatto? Neppure il maledetto Adam Warlock è mai riuscito a penetrare i miei segreti così a fondo.”

“Non lo so,” disse Wolfsbane. Le parti esposte dell’armatura trasmettevano l’odore, gli occhi e le orecchie lupine potevano cogliere sfumature che a un uomo sarebbero sfuggite. E, ai sensi di lei, il lupo era sincero, insieme triste e ancora amareggiato e rabbioso, come una bomba pronta ad esplodere. Ma quando aveva menzionato Sir Wulf...era stato come si fosse trasfigurato, tale era la gioia. “Possiedo questo ‘senso mistico’. Posso avvertire la presenza della magia, e con una mia amica avevo sviluppato un legame spirituale...Credevo che fosse grazie ai suoi poteri, poiché erano mentali, ma...Mi dispiace di essere entrata senza il tuo permesso, Karnivor.”

Lui non rispose, ermetico. Lei lo capiva, in fondo: insieme ai Nuovi Mutanti, aveva avuto a che fare con l’Evoluzionario ed i suoi lacchè[vi], e aveva visto di quale mancanza di scrupoli fossero capaci.

Ma sui suoi poteri ‘mentali’ non sapeva cosa pensare, anzi, era preoccupata –i bambini del suo ‘sogno’ dovevano essere Carlos e suo fratello Eduardo. Il mondo alieno...Forse era Asgard...Ma perché desiderava così tanto stabilire un contatto multiplo? Se avesse perso di nuovo il controllo...

Un rumore dall’alto attrasse la sua attenzione, e per un momento ebbe un flashback di un cavaliere di Wundagore pronto a colpire...

Ma il ‘destriero’ era un drago di metallo, e a cavallo, nella sua armatura, stava Sir Wulf.

 

“La situazione sembra incoraggiante,” disse l’ex cavaliere di Wundagore, reggendo l’elmo in un braccio. Il drago meccanico teneva la testa puntata in avanti, proiettando in mezzo al cerchio di pellicce un ologramma della città. “Tyr mi aveva preannunciato che le difese mistiche sarebbero state potenti, ma la tecnologia ne sembra immune. Il problema, quindi, è capire se possiamo o no sopravvivere a uno scontro diretto con Thulsa Doom. Da quanto mi è dato di capire, è immortale, e lo si può rendere impotente solo separando la testa dal corpo.”

“Se ha eretto difese mistiche,” disse Talbain, “è plausibile immaginare che il nostro arrivo non gli sfuggirà comunque. Può crederci morti, con un po’ di fortuna, ma non è il tipo che lascia alcunché al caso, credetemi.”

Mai parole si rivelarono più profetiche! Non appena furono pronunciate, l’intera caverna fu come percossa da un’onda; gli eroi furono sbalzati da terra, sballottati come marionette. Sotto quell’assalto, le pareti sembrarono liquefarsi come burro...Prima di andare in pezzi!

 

Attraverso la sfera di cristallo sospesa su un braciere ardente, Thulsa Doom osservò l’intera fiancata della montagna di ghiaccio andare in pezzi. Senza ulteriori aiuti esterni, disorientati dall’assalto, i suoi antichi nemici non potevano essere sopravvissuti.

Lo stregone tornò seduto sul trono. Aveva sprecato abbastanza tempo e potere. Già qualche altro maledetto guerriero stava tentando di oscurare la Parola di Set[vii], e doveva concentrarsi solo su quello, ora...

E se anche qualcuno di loro fosse sopravvissuto, avrebbe solo guadagnato una lenta agonia nel gelo Antartico.

 

Buio.

In quello che era rimasto della caverna, fra i suoni di polvere e pietrisco e rocce che si assestavano nella loro nuova posizione, si udì una voce. Seccata.

“Sta diventando un’abitudine che non mi piace, sapete? Non che non mi piaccia essere salvato, ma di questo passo...”

 

“Di questo passo, saremo tutti morti, se non ci sbrighiamo,” disse Sir Wulf, troncando netto il lamento di Jon.

Lobo, Wulf e Karnivor attivarono le luci delle loro armature.

Erano tutti vivi, per ora. Tutti radunati sotto il ventre della poderosa, nera figura di Fenris. Il colossale Dio-lupo Asgardiano stava in piedi sulle quattro zampe, come un puntello vivente sulla montagna che voleva schiacciarli. “Non abbiamo...molto tempo,” ringhiò con voce rimbombante.

Karnivor attivò un altro dispositivo dell’armatura. Immediatamente, una serie di scansori esaminò le estremità della caverna. Purtroppo, l’entrata naturale era stata completamente coperta dal collasso...Ma l’altro lato... “Lobo, prepara la Unigun in Modalità P/O. Ora.”

Senza discutere, Lobo inviò un comando mentale alle componenti della sua armatura. Propulse da campi di forza, queste si distaccarono,

e una ad una, da sole, si agganciarono,

si riconfigurarono

in una poderosa arma grande quanto il mannaro stesso, la bocca da fuoco principale circondata da due grandi lame a cuneo!

Karnivor annuì. “Attiva gli scansori e girala dalla parte opposta rispetto all’entrata. Sullo schermo, dovresti vedere una parete semitrasparente, come un vetro sfocato.”

Sì.

“Fai fuoco a piena potenza.”

“E fai attenzione a tenerti basso,” intervenne Jon, puntando con un pollice l’estremità posteriore di Fenris, che si trovava esattamente allineata sopra l’Unigun...

Fenris uggiolò, e abbassò la coda a proteggersi.

Lobo ghignò sarcastico, ma si mise su un ginocchio, l’arma puntata...E FUOCO!

Una luce abbagliante riempì lo spazio, non appena l’Unigun vuotò un potere sufficiente a distruggere un grattacielo –potere guidato dai campi di contenimento delle lame.

Il cumulo di rocce fu letteralmente vaporizzato, e quelle che non furono distrutte, furono vetrificate dal calore! Poi, il colpo andò a infrangersi contro la parete della caverna, che esplose come un pezzo di vetro, mentre la forza dell’esplosione si disperdeva dietro di essa.

Madre de Dios,” fece Lobo, sbattendo gli occhi come se neanche lui potesse credere di avere liberato una simile potenza. “Conosci il tuo mestiere, rosso.”

“Puoi teleportarci di nuovo, Fenris?” chiese Wulf.

 

Ebbero la risposta, quando, in un lampo di luce, si ritrovarono tutti, drago e armatura compresi, e Tyr al posto di Fenris, nell’enorme tunnel lavico. Dietro di loro, la frana riempiva la caverna una volta per tutte.

Wulf e Karnivor si disposero alle estremità del gruppo, e riattivarono gli scansori...Ma questa volta, senza risultati apprezzabili: qualcosa in quell’area soffocava le emanazioni degli strumenti. Potevano solo affidarsi alla vista, e la vista parlava di freddi, bui budelli.

“Di separarci non se ne parla neppure,” disse Wulf, digitando dei comandi sulla tastiera da polso. Gli occhi del drago scintillarono, e alla bestia meccanica spuntarono due ampi pattini, mentre le ali si piegavano completamente intorno al corpo.

Wolfsbane guardò la sua armatura. La sapeva capace di muoversi da sola, ma come la comandava?

Come se l’avesse udita pensare, il lupo meccanico si mosse, correndo dietro al drago. Una dolce voce, familiare, accarezzò la mente della licantropa. <Non ti preoccupare, figlia: se avessi bisogno di me, tornerò da te.>

Rahne sussultò. “Mamma..?” Ma non aggiunse altro, mentre si incamminava a seguire il resto del gruppo nella direzione opposta.

 

Starkesboro, Massachusetts

 

Fin troppo facile cascarci, quando si badava alle apparenze.

Zed, la mente scientifica più vispa del paese, poteva sembrare il vostro classico nerd, con i suoi occhiali, batteria di penne nel taschino della camicia fuori dai pantaloni e atteggiamento un po’ fuori dal mondo.

Niente di più sbagliato, quando si aveva a che fare con un nativo di Starkesboro, una comunità di lupi mannari.

Effettivamente, il giovane aveva deciso di concedersi una passeggiata fuori dal paese per distrarsi dalle gioie del laboratorio. Aveva già pensato di cacciare un coniglio per la figlia di Lipstein –sarebbe presto stata stagione di corteggiamenti, e non poteva certo fare la figura dell’umano...

E si era accorto della presenza. I suoni per primi avevano tradito l’intruso –doveva essere grosso...Ma, curiosamente, pur essendo in favore di vento, Zed non aveva percepito alcun odore. La sua mente analitica e curiosa stimolata, il giovane assunse la forma intermedia, mentre gli abiti svanivano. Come semilupo, Zed era ora un avversario ben più temibile e confidente...

Ma del tutto incapace di gestire l’improvvisa visione che si trovò davanti, materializzatasi dal nulla! Non ebbe neppure il tempo di lanciare un avvertimento, che una gigantesca zampa metallica gli serrò il braccio intero in una morsa senza pietà.

Lo Straniero era pronto per nutrirsi, adesso!

 

Antartide

 

Non meno di due ore erano passate, quando, finalmente, giunsero alla fine del budello.

E i loro sensi furono letteralmente travolti dal brusco cambiamento, in un effetto ancora più piacevole e stordente di quanto avrebbe potuto essere per un umano.

Perché il Power Pack era giunto nella favolosa Terra Selvaggia.

Piante, odori...e se mai ci potessero essere stati altri dubbi, la vista di un maestoso pteranodonte librarsi nel cielo li cancellò definitivamente.

“Lo sentite anche voi, vero?” chiese Lobo, annusando l’aria.

“Zolfo,” disse Sir Wulf. “Ci deve essere stata un’eruzione, di recente, forse l’emersione di Set Atra-no ha scatenato forze dormienti. Dobbiamo...”

6 paia di sensibili orecchie lo captarono, e il pelo di sei colli si drizzò in risposta. “Ma cosa diavolo era?” chiese Rahne.

Karnivor attivò gli scansori del casco. La sua già prodigiosa vista di lupo fu elettronicamente amplificata a livelli telescopici. “Delle creature di tipo sconosciuto stanno attaccando una coppia di umani, niente di serio.”

“Creature di tipo sconosciuto?” chiese Wulf.

“Una coppia di umani?” fece Wolfsbane. “Oddio, non saranno mica...Dobbiamo aiutarli!” e detto fatto, si gettò in direzione dei suoni a testa bassa.

“RAHNE!” gridò Talbain, mentre luce azzurra avvolgeva la sua figura come una fiamma. Poi, il mannaro di Starkesboro scattò in avanti, simile a una cometa. A ruota, insospettabilmente veloce data la sua stazza, scattò il Predatore, seguito da Lobo. “La rossa da sola non la lascio. Spiacente.”

Sotto l’elmo, Karnivor se ne uscì in un sospiro rassegnato, scuotendo la testa. Wulf gli posò una mano sulla spalla. “Lo so, con gli umani sono sempre guai, ma prendila così: se sono creature di Thulsa Doom, gli avremo almeno inflitto del danno.”

“Meno ciance,” disse Tyr, per la prima volta visibilmente felice. “Alla pugna!”

 

La battaglia si metteva male. Solo la grande esperienza e determinazione di Ka-Zar e Shanna, signori della Terra Selvaggia, e l’appoggio del fedele Zabu, il potente smilodonte, avevano prevenuto il massacro.

Ma cosa potevano fare, alla fine, da soli, anche in favore di territorio, contro un’armata di Dino-Uomini? Le creature erano in tutto dei massicci triceratopi antropomorfi, aberrazioni della scienza genetica, animati al solo scopo di uccidere –e anche per tale ragione, fortunatamente, il loro attacco non era coordinato come avrebbe dovuto essere. Per raggiungere le loro prede, i dino-uomini dovevano superare il pesante intrico vegetale che avvolgeva una sorta di caverna: il rifugio di Kevin Plunder e della sua famiglia. Nella loro cieca stupidità omicida, riuscivano solo a pensare di passare per l’unica entrata, invece di cercare di sfondare insieme la parete di foglie e liane/radici.

Il punto era, che se non loro, il loro padrone rischiava di pensarci, quando si fosse presentato... “No!”

Ka-Zar era stanco. Il rifugio giaceva in un’area geologicamente tranquilla, lontana dal recente cataclisma, ed era stato faticoso raggiungerlo e allo stesso tempo evitare le improvvise colate laviche e i branchi di animali impazziti.

Per questo, con Zabu impegnato contro uno dei mostri, non si era accorto di uno di essi alle proprie spalle, se non quando esso riuscì ad afferrargli un polso! Un rapido movimento, e Ka-Zar fu sbattuto contro un albero! L’uomo riuscì a restare cosciente, ma era uno sforzo, ormai. Poteva solo vedere il pugno scaglioso arrivargli addosso per il colpo di grazia...

Una specie di cometa arrivò velocissima addosso al mostro! Il dino-uomo fu scaraventato all’indietro come un fuscello.

La cometa si estinse, rivelando la forma di Talbain. Il mannaro aiutò Ka-Zar a rimettersi in piedi. “Tutto bene, chiunque tu sia?”

Ka-Zar scosse la testa per schiarirsi. “Le presentazioni a dopo, uomo-lupo. Dobbiamo ancora finire gli altri! ZABU!”

Due dino-uomini si stavano accanendo contro la tigre dai denti a sciabola, e per lui sembrava proprio mettersi male...Quando 120 Kg di forma estrema di Wolfsbane si avvinghiarono a loro!

In preda alla furia combattiva, la licantropa scozzese era grande e massiccia quasi quanto il Predatore nel Buio, e senza alcuna restrizione verso il proprio, sventurato nemico. Quando, a suo tempo, il mutante Rictor l’aveva definita una ‘dinamo vivente’, ci aveva azzeccato.

Come fossero stati giocattoli, Wolfsbane scagliò i due dino-uomini l’uno contro l’altro...Ottenendo, come risultato, la loro istantanea polverizzazione.

“Degenerazione genetica,” disse Ka-Zar in risposta allo sguardo sorpreso dei due mannari. “Non sono molto stabili.”

 

Di sotto, i rimanenti mostri avevano perso il loro interesse per le prede in alto, in favore della sopravvivenza contro un branco di super-mannari che stava seminando morte con grande esperienza!

Il Predatore nel Buio era finalmente nel suo elemento: per quanto grossi potessero essere i mostri, erano solo di carne, e lui poteva penetrare l’acciaio come burro! Un colpo di artiglio, e un dino-uomo diventava polvere.

Per quanto lo riguardava, Lobo non aveva bisogno che di una pistola a plasma da accompagnare ai propri arti, per fare il suo dovere.

In piena immersione nel proprio elemento, Tyr non doveva fare altro che mietere con la propria spada, la stessa lama che Odino in persona aveva infilato fra le fauci di Fenris per impedirgli di azzannare incaute vittime.

 

“Sono in gamba,” dovette ammettere Jon, annuendo, “anche se non come la mia lupetta.” E indicò Wolfsbane con un pollice.

“Prego?” fece lei.

Lui sfoderò un modesto sorriso a 32 zanne, e tese la mano nel presentarsi.

Shanna si diresse verso un incavo nella parete vegetale, una nicchia abbastanza grande per ospitare il solo e unico figlio dei Plunder, che se ne era stato buono buono per tutta la battaglia.

Wolfsbane quasi andò in svenevolezze di fronte alla creaturina che, alla vista della mannara, mostrò un sorriso da intenerire una roccia, allungando una manina paffuta.

Jon invece, osservando la nicchia, e il materiale tutt’altro che vegetale di cui era composta, disse, “Che posto è esattamente, questo?”

Fu Ka-Zar a rispondere. “Tempo addietro, era una cittadella scientifica usata per esperimenti genetici, il cui risultato furono i Dino-Uomini e il loro signore, Prime Evil. Occorsero le forze combinati di molti, per sconfiggerlo[viii], e credevamo che la sua minaccia fosse scomparsa per sempre...Ma sembrava che mi sbagliassi. I Dino-uomini che abitavano qui devono prima essere fuggiti alla prima avvisaglia del terremoto, per poi decidere di tornare.”

“E..?” fece il mannaro nero e bianco.

“...”

“Andiamo, puzzi di dubbi. Cosa ti rode, veramente, Tarzan?”

“La loro instabilità genetica. Non dovrebbero neppure esisterne. E se loro sono vivi, vuol dire che*”

Un tremendo ululato –un verso di sofferenza e dolore come pochi, lo troncò sul nascere. “GLORY!”

 

Lobo era caduto, ripiegato su se stesso a stringersi il ventre, come fosse stato colpito da una lama invisibile.

Gli altri gli furono subito intorno, desiderosi di aiutarlo, ma indecisi sul come...

Il nero mannaro levò lo sguardo di sangue su Tyr, la sua voce un quasi verso gutturale. “Devi portarmi...da lei...Pericolo...”

Karnivor comunicò mentalmente con gli altri. <Non sta mentendo. Qualcuno a lui molto vicino ha bisogno di aiuto, adesso.> E trasmise le coordinate.

Wulf si rivolse all’Asgardiano. “Puoi farlo?”

“Thulsa Doom...”

Un rapido cenno di diniego. “Non potremmo comunque affrontarlo direttamente, allo stato attuale. Noialtri torneremo a Starkesboro, a meno che Ka-Zar abbia bisogno di noi.”

L’uomo disse, “No. Se Prime Evil fosse stato vivo, non avrebbe mandato solo i dino-uomini all’attacco...Ma grazie comunque, per il vostro aiuto. Sarete sempre i benvenuti.”

Tyr gesticolò con la mano/zampa, e Lobo scomparve...e Jon con lui, esattamente come Karnivor aveva mentalmente suggerito di fare!

 

Episodio 5 - Tutti insieme con furore!

 

Wave Tower, Manhattan

 

Annunciarono il proprio arrivo suonando con insistenza il campanello –quella era zona di lusso, e comportarsi come dei ‘Callaghan’ urlando e scalciando la porta non sarebbe servito che a generare lamentele in alto loco al Dipartimento.

Senza contare che se la segnalazione fosse fondata, col cavolo che avevano fretta di entrare là dentro! I due agenti non erano che una punta dell’iceberg di malcontento che serpeggiava fra le forze di polizia di NY: solo una squadra, Codice Blu, era attrezzata per fronteggiare le situazioni in cui erano coinvolti paranormali, quando era necessario potenziare ogni singolo agente..!

La porta si aprì, e i pensieri cupi dei due uomini, un portoricano e un italoamericano, furono pressoché nebulizzati, almeno a giudicare dalle loro espressioni, dalla sublime apparizione

della donna bionda che li accolse. “Buonasera,” disse lei, timidamente. “Siete qui per le lamentele della festa?”

“Fiesta..?” fece il portoricano, riassettandosi la mascella. L’italiano fu lestissimo quanto imbarazzato –la pupa aveva l’aria più salutare che avesse visto nella categoria. “Ci hanno segnalato uno scontro di super-esseri, e un uomo sarebbe caduto dalla finestra…”

“Se un uomo fosse caduto dalla finestra di questo appartamento, agente,” disse una brunetta affiancandosi all’amica, “Non dovreste avere trovato i pezzi di sotto, mentre arrivavate?” Il suo volto era macchiato da un livido sulla guancia.

“Uhm, miss..?” fece il portoricano, indicando quel livido.

La brunetta se lo toccò. “Finn. Sarah Finn. E lei è la mia amica, Helen Spacey. Temo che l’alcool abbia iniziato a scorrere un po’ troppo pesante, tutto qui. Avete un mandato?”

I due agenti si scambiarono un’occhiata perplessa –no, non avevano un mandato, e molto probabilmente la severa amministrazione condominiale avrebbe punito questi inquilini più duramente di quanto avrebbe fatto la legge, e in un tempo minore.

E, comunque, non c’era davvero alcun cadavere o pezzi di esso sulla strada, contrariamente a quanto descritto nella chiamata.

 

Fatte le debite scuse, ben contenti di finire il proprio turno in tutta tranquillità, i poliziotti se ne andarono.

Helen chiuse la porta, e vi si appoggiò tirando un sospiro di sollievo. Le tremavano le gambe.

Sarah tornò in camera da letto, dove giacevano le due figure di un’afroamericana e un giovane dai capelli biondi, incredibilmente somigliante al padrone di casa.

Lei era Glory Grant, amica di vecchia data di Peter Parker. Era stato a causa di lei, che un super-essere aveva attaccato per davvero l’appartamento di Peter[ix]!

Lui era Ben Reilly, che giaceva completamente privo di coscienza e febbricitante come un malato all’ultimo stadio, anche se in realtà era stato il solo, in un certo senso, a guadagnarci da quell’assalto…

E Peter era andato a combattere contro quel mostro! D’accordo, non era solo, ma aveva speranze?

 

Palude di Craglore, Massachusetts. T: Ora

 

Se lo stava chiedendo, Peter Parker, mentre nei panni dell’Uomo Ragno

cercava di evitare i potenti colpi di Kaine, che stava facendo del proprio meglio per finire il lavoro che aveva iniziato nell’appartamento.

Kaine e Ben Reilly erano fino a quel momento stati una sola cosa in corpo, con Ben quale involontario spirito supplementare. Poi, Glitternight aveva letteralmente estratto lo spirito di Kaine da quel corpo, e lo aveva deformato, deturpato, trasformandolo in un mostro!

Un mostro chitinato dal pelo corto, bluastro ed ispido, con quattro braccia supplementari. Il volto mostrava una bocca irta di due zanne a tenaglia e due occhietti rossi alle tempie, accanto a quelli senza pupilla. La barba ed i capelli lunghi non facevano che accentuare la mostruosità.

Era diventato una macchina assassina al servizio di Glitternight. Dialogare era fuori discussione –se anche Kaine lo avesse compreso, i grugniti con cui si esprimeva non erano minimamente comprensibili.

L’unico vantaggio del Ragno era lo spazio aperto, che gli conferiva la manovrabilità necessaria ad evitare di essere ridotto a polpette. Nel suo stato, Kaine era veloce ma goffo, e il Senso di Ragno dell’eroe, unito alla sua esperienza, faceva di Peter un bersaglio per ora imprendibile…

Ma l’Uomo Ragno era pur sempre stanco, reduce da una battaglia e dal pestaggio da parte di Kaine.

E un errore a quel punto diventava inevitabile!

Una delle quattro mani supplementari afferrò Spidey per la caviglia! Approfittando della sorpresa dell’eroe, Kaine afferrò anche l’altra caviglia. Come fosse stato senza peso, l’Uomo Ragno fu scaraventato a piena forza contro un albero! Urlò di dolore, sicuro di avere sentito delle vertebre scricchiolare!

Mentre perdeva conoscenza, la sagoma di Kaine stagliata contro il disco lunare calante, l’Uomo Ragno pensò che forse avrebbe dovuto accettarla, quell’offerta di aiuto…

 

Starkesboro, Massachusetts. T: -30m 21s

 

Quando erano usciti dall’appartamento, Peter era stato sicuro che sarebbe stata caccia aperta per le strade della labirintica NY.

Niente di più sbagliato. Appena furono fuori, un bagliore soprannaturale li avvolse,

e si erano trovati teleportati qui, all’interno di una chiesa.

Si poteva dire che il Ragno ne avesse viste, di cose, nella sua carriera. Decisamente, ‘più di quante ve ne fossero in cielo e in terra’ –un mondo costruito senza sforzo da un’entità cosmica, le battaglie contro il potente Thanos, la Morte in persona...

Ma una chiesa dedicata al culto del licantropo ancora gli mancava. Era realizzata con un insospettabile occhio all’arte, fra gli arazzi e le vetrate decorate con lupi mannari e naturali senza che alcunché suggerisse una parodia o insulto alle sacre figure delle chiese umane...

“Sono felice di vedere che stai bene, Uomo Ragno,” disse una voce femminile dietro di lui.

Si voltò. Per incontrare lo sguardo severo di una donna che, nonostante la tunica bianca, per altezza e bellezza doveva essere la bionda regina di tutte le amazzoni! Irradiava sicurezza di sé a ogni passo, ma anche qualcos’altro, come una grande calma.

La donna fece un breve inchino all’eroe. “Sono la Sacerdotessa, e ti do il benvenuto a Starkesboro. Gli altri presenti che vedi sono i difensori di questa comunità e della relativa specie...” il suo sguardo si spostò su Carlos Lobo, e la sua espressione si fece corrucciata.

Il nero mannaro, vestito delle parti di un’armatura sopra un’uniforme kaki, si avvicinò alla donna, e fece il resoconto di quanto avvenuto a casa Parker.

 

L’Uomo Ragno, nel frattempo, si era messo da parte, sedendosi su una panca.

Una giovane mannara dal pelo rosso gli si avvicinò. “Giornata difficile?”

Un sospiro. “Si potrebbe dire così. Ne ho avute di peggiori, in realtà...Ma ti conosco: sei Wolfsbane. Cosa ci fai qui? Anche tu sei stata reclutata per questo pazzo sequel de L’Ululato? Oppure, debbo aspettarmi di essere sacrificato su un altare, o magari preferite servirmi su un bel piatto da portata?”

Lei gli si sedette accanto. “Sì, sono Rahne, ed ora faccio parte di questo gruppo.” Indicò i suoi ‘simili’ vicini al pulpito, intenti a conversare tra loro e con la sedicente Sacerdotessa. Poi, gli tese la mano, invitandolo ad alzarsi. “Vieni, te li presento finché c’è tempo.”

Il primo membro a cui fu presentato era un mannaro enorme, dalla pelliccia d’argento e l’aspetto di chi potesse mangiarsi l’acciaio come merendina. “Lui è il Predatore nel Buio, o ‘Puppy’, come lo ha chiamato qualcuno,” disse Rahne.

“Mi chiedo perché...Piacere, Pup,” fece il Ragno, lasciandosi stringere la mano in una zampona.

Il secondo e il terzo erano due esemplari in armatura. Uno ne indossava un modello leggero rosso e azzurro, con un ampio mantello azzurro. Teneva la testa dalla pelliccia rossa scoperta, e alla presentazione del Ragno fece un inchino. “Sono Sir Wulf, e lui è Karnivor,” disse, indicando quello in una massiccia armatura smeraldina integrale e mantello rosso, con tanto di elmo sagomato a testa di lupo.

Karnivor non disse nulla, ma sembrava irradiare ostilità. Come a sottolinearlo, il Senso di Ragno si mise a pizzicare forte.

I due si fissarono intensamente, l’Uomo Ragno sicuro di trovare qualcosa di familiare in quel misterioso mannaro. E forse avrebbe avuto modo di verificare quanta ragione avesse, se non fosse stato per il pronto intervento di un uomo massiccio, anche lui in armatura, il volto solitamente severo contratto in un sorriso sfottorio, che diede una tale manata alla spalla del Ragno da farlo barcollare!

“E così, questo sarebbe un valido alleato per combattere Glitternight?” l’omone tuonò una risata. Poi, a Jon Talbain, che si era avvicinato a sua volta, “Potrei pensare che la vostra nobile specie ha dunque perso ogni valore, ma persino il potente Thor ha parlato di te, Uomo Ragno, e la sua parola dovrebbe essere garanzia...Non fosse che per lui ogni mortale di Midgard è una roccia migliore di quelle di Asgard!”

“Sei di..?”

L’altro tese una mano –e il Ragno notò che quella sinistra, dal polso in giù, era una zampa lupina! “Tyr è il mio nome, e sono il Dio della Guerra.”

Il Ragno ricambiò la stretta. “Mi hanno sottovalutato in molti, straniero,” disse, cercando di infondersi coraggio più che convincere gli altri. Umani o no, c’era abbastanza potere fra quelle pellicce da rendere lui alquanto superfluo...

 

La Sacerdotessa terminò di ascoltare il resoconto, e annuì. “Capisco, Carlos,” disse al mannaro latino. “Con le anime di Kaine, Glory e Carlos, dispone non solo di servi utili, ma di ostaggi...Uomo Ragno, se hai intenzione di unirti alla battaglia fino alla sua conclusione, dovrò darti delle spiegazioni.” Si diresse verso una porta. “Vieni.”

 

Davanti a una lanterna e due coppe di quello che il Ragno riteneva essere un qualche sidro, la Sacerdotessa disse, “Glitternight è la traduzione del nome dell’entità che ti ha attaccato. Si tratta di uno di coloro noti come I Cinque che Sono Tutto. Secondo testi antichi come lo stesso Darkhold, i Cinque, entità extradimensionali di enorme potere, iniziarono una battaglia miliardi di anni fa, una battaglia di tale portata, da causare la nascita della nube protostellare che sarebbe diventato questo sistema solare.

“Glitternight fu sconfitto, ridotto a una forma mortale, i suoi poteri una frazione infinitesima di quelli che possedeva originariamente. Per millenni, lavorò per recuperare il suo status originale, e non solo. Il suo scopo divenne altresì quello di corrompere la vita sulla Terra, trasformandola come ha fatto col povero Kaine.

“Ma Glitternight fu sconfitto dall’alleanza di vari rappresentanti delle forze arcane di questo mondo, primo fra essi Jack Russell.[x]

Il Ragno annuì. Ricordava bene quel nome, quello del primo mannaro che avesse mai incontrato, una vita, in San Francisco. Fare due più due venne facile. “E ora ce l’ha con i pelosi, giusto?”

Lei annuì, mortalmente seria. “Non possiamo aspettare che faccia la sua mossa: in quanto immortale, Glitternight può aspettare il tempo che vuole ed accumulare il potere che gli serve. Dobbiamo andare all’attacco, e anche il tuo aiuto può rivelarsi prezioso.”

“Grazie per il voto di fiducia.”

“Non sei una creatura mistica, e la tua forza è agilità sono poca cosa di fronte a Glitternight. Ma se sei stato coinvolto, deve esserci una ragione, e io non sono il tipo da chiudere la mente al volere del fato.

“Per quanto difficile, devi obbedire alla logica di questo Power Pack. Non pensare ad altro che al risultato finale. Non dare retta ai tuoi pregiudizi su questa gente.”

Questa parte del discorso lo incuriosì. Mentre si alzavano in piedi, le chiese, “Non sei una di loro?”

“Che tu ci creda o no, i mannari e gli umani hanno vissuto un lungo periodo di armonia, periodo di cui quelli come me ora sono gli ultimi depositari...Ma ora, basta parlare. Pensi di avere bisogno di una pozione guaritrice, Ragno? Sei stanco, e...”

Lui fece un cenno di diniego. “Niente additivi per me, grazie. Il giorno in cui non sarò capace di cavarmela senza strana roba in corpo, darò le dimissioni. Piuttosto, patti chiari e amicizia lunga: i miei amici...sì, e persino quel bastardo di Carlos...Non devono subire un etto di male, chiaro?”

La donna sorrise. “La loro salvezza mi sta a cuore quanto a te, Ragno. Hai la mia parola. Quando Glitternight fu sconfitto, le sue vittime tornarono alla normalità, e non c’è ragione che sia diverso anche ora.”

 

Municipio di Starkesboro

 

Il Sindaco Seward rimise a posto la cornetta del telefono, la fronte calva segnata da rughe di preoccupazione.

Certo, non era la prima volta che il loro migliore consulente scientifico, Zed, se la svignava per boschi. Nel suo campo era un genio, con tutta l’eccentricità che ne derivava...

Solo, poteva scegliere un momento migliore, ora che Thulsa Doom era di nuovo fra i viventi!

Decise comunque di dare al giovane almeno un altro paio d’ore, prima di sguinzagliare i Trackers.

 

Periferia di Starkesboro

 

Povero Seward! Ben più di un pattuglia, avrebbe mandato all’attacco, se avesse saputo di quello che era successo al giovane mannaro!

Se i cercatori fossero stati fortunati, avrebbero trovato un cumulo di ossa sbiancate quale ultimo lascito mortale di Zed.

Per il resto del suo corpo, avrebbero dovuto rivolgersi alla figura dai riflessi metallici, che stava rialzandosi in piedi, ora pienamente in forze.

Una fila di zanne metalliche brillò alla luce lunare. La sua voce metallica emise un brontolio soddisfatto. “Strippico.”

 

La zampa lupina di Tyr disegnò delle rune su uno specchio interamente metallico, che sembrava fatto di mercurio solido. E come il mercurio, il metallo si piegò alla pressione delle dita, mentre l’incantesimo iniziava a sortire il suo effetto...

“Non immaginavo che conoscessi questi incantesimi, Tyr,” fece la Sacerdotessa, ammirata.

“Vorrei potermi prendere il merito, mortale. Ma è la conoscenza di Fenris, che sta guidando questa mano.”

“Fenris...vuoi dire quel Fenris?”

Le rune si erano trasformate in linee erratiche, tremolanti come onde che perturbano uno stagno. E, lentamente, stavano prendendo forma.

Tyr si concentrava sullo specchio. “Abbiamo stretto un patto, ed ora siamo una sola cosa.”

Il Ragno non aggiunse altro –e lui che credeva di averla fatta grossa unendosi, per quanto involontariamente, al simbionte alieno...

Finalmente, lo specchio mostrò un’immagine dettagliata: Glitternight! Il necromante dal nero costume e la gemma brillante sul petto stava sospeso su una palude, intento a convogliare energia sulla putrida superficie. In risposta, dalle acque ribollenti stava emergendo un’intera orda di mostri, creature indescrivibilmente orrende...

“Craglore,” disse la Sacerdotessa. “La palude era usata dai precedenti abitanti di questa città, gli Uomini-Serpente di Sligguth, per gettarvi i resti dei sacrifici umani alle loro divinità oscure. Quel posto, per Glitternight, deve essere un serbatoio di anime, e tutte già corrotte e pronte per essere asservite. Branco, dovete –erk!”

Inaspettatamente, improvvisamente, una mostruosa mano emerse dallo specchio, afferrandola alla gola!

Dall’altra parte dello specchio, Glitternight ghignava, gli occhi due pozzi neri. “Sono felice cha abbia deciso di unirti a me, strega. Vieni a vedere più da vicino.” Rise, e tirò a sé la donna, che fu letteralmente inghiottita nello specchio! L’artefatto ricadde a terra, infrangendosi come fosse stato di vetro.

Sir Wulf reagì per primo. “Fenris, portaci tutti lì, ora!

 

E Fenris lo fece.

“Oddio!” mormorò il Ragno. E a ragione...

Perché l’intera palude era stata trasformata, in quei brevi istanti, in un’allucinante cattedrale –la parodia di una chiesa, senza tetto, un inno al caos totale, dove le pareti erano qualcosa di vivo, che ribollivano e si contorcevano delle oscenità morte di cui erano composte.

E al centro di quel fetido dominio, stava Glitternight, trionfante sulla figura della Sacerdotessa, letteralmente trattenuta dall’altare su cui giaceva. I suoi ‘servi’ –Glory, Carlos, Kaine- in testa alla moltitudine che circondava e proteggeva il loro padrone.

La gemma di Glitternight brillava di mille colori malati, pronta a fare il suo lavoro sulla Sacerdotessa. “Vi ringrazio per volere essere testimoni al mio trionfo. Attraverso la vitalità di questa donna, supererò i sigilli che proteggono la vostra comunità, e da lì estenderò la mia influenza a sufficienza da diventare invincibile...per i vostri standard, almeno.”

“IO TI DICO NO!!” urlò Tyr, sguainando la spada –la stessa spada servita ad Odino per bloccare la mascella di Fenris.

L’esercito di Glitternight attaccò.

Un atto di volontà, e le componenti dell’armatura di Lobo si riconfigurarono nella UniGun.

Selezionata in un momento l’arma più adatta, fece fuoco. Mini-missili terra-terra furono sparati come proiettili da una mitragliatrice, e la prima ondata di mostri fu spazzata via come foglie al vento!

Un missile si diresse direttamente contro Glitternight, al quale bastò un cenno per distruggerlo in volo. “Credevo fossi ridotto all’impotenza, bestia. I miei complimenti.”

Lobo ringhiò. “Hai rubato l’anima di mio fratello e della mia donna, demonio. Sei morto!” e si gettò in avanti.

“Ti consiglio di fidarti di lui,” disse Talbain all’esterrefatto Uomo Ragno. “Se non altro, per non doverlo fare arrabbiare finché è armato.”

Dalla coltre di fumo e fiamme, emersero i tre servi migliori.

Kaine si gettò addosso all’Uomo Ragno.

Carlos, una cosa che sembrava un ibrido fra un lupo e qualche rettile, fu prontamente intercettato da Talbain e Wolfsbane.

Glory, ridotta a un’arpia con un occhio solo e una bocca enorme e piena di zanne, si gettò in picchiata, urlando, contro Wulf e Karnivor.

 

Karnivor si concentrò, e la sua potente mente colpì fisicamente l’arpia, che si piegò in due. Wulf ne approfittò veloce, sguainando l’impugnatura

di una spada laser! Settata nel modo giusto, anziché tagliare la materia, poteva penetrare e sconvolgere il sistema neurale del bersaglio. E in questo caso...fallì! La spada penetrò l’arpia, ma non avendo questa alcun sistema neurale, rimase immune, e libera di colpire a sua volta!

Un colpo di piedi artigliati, e Wulf ricadde rovinosamente a terra, salvato a stento dall’armatura! Vedendo Karnivor avvicinarglisi, disse, “Concentrati su di lei, ma non ucciderla, o Glory Grant è persa!”

Altro colpo mentale, e questa volta l’arpia cadde. Karnivor infierì con raffiche dalle armi dell’armatura. “Per quel che me ne importa! E’ della Sacerdotessa che dobbiamo preoccuparci, non di qualche dannato umano!” fu solo a causa del calore della battaglia, che Wulf fosse il solo ad udire quelle parole.

 

Nella sua condizione, Carlos era più forte e veloce che mai, e persino Talbain faticava a tenerlo a bada, usando le braccia per parare. “Ora di rinforzi, rossa, non credi?”

Per conto suo, Rahne stava facendo l’impossibile, attaccando nella propria forma estrema...Una forma purtroppo insufficiente, soprattutto quando la coda rettiliana del mostro la colpì in pieno, mandandola a terra!

Rahne!” Jon si distrasse un attimo. Bastò. Gli artigli scavarono un solco nelle spalle. Il Campione di Starkesboro ululò di dolore.

 

Una delle quattro mani supplementari afferrò Spidey per la caviglia! Approfittando della sorpresa dell’eroe, Kaine afferrò anche l’altra caviglia. Come fosse stato senza peso, l’Uomo Ragno fu scaraventato a piena forza contro un albero! Urlò di dolore, sicuro di avere sentito delle vertebre scricchiolare!

Mentre perdeva conoscenza, la sagoma di Kaine stagliata contro il disco lunare calante, l’Uomo Ragno pensò che forse avrebbe dovuto accettarla, quell’offerta di aiuto…

 

Una delle quattro mani supplementari afferrò Spidey per la caviglia! Approfittando della sorpresa dell’eroe, Kaine afferrò anche l’altra caviglia. Come fosse stato senza peso, l’Uomo Ragno fu scaraventato a piena forza contro un albero! Urlò di dolore, sicuro di avere sentito delle vertebre scricchiolare!

Mentre perdeva conoscenza, la sagoma di Kaine stagliata contro il disco lunare calante, l’Uomo Ragno pensò che forse avrebbe dovuto accettarla, quell’offerta di aiuto…

 

Una delle quattro mani supplementari afferrò Spidey per la caviglia! Approfittando della sorpresa dell’eroe, Kaine afferrò anche l’altra caviglia. Come fosse stato senza peso, l’Uomo Ragno fu scaraventato a piena forza contro un albero...Ma, con un ultimo appello alla propria volontà, il Ragno fece una torsione, ed andò ad afferrare il solido tronco!

Kaine si preparò a tirare via l’aracnide, quando la grande figura del Predatore lo colpì alle spalle!

Kaine urlò, mollando la presa, voltandosi per attaccare la nuova minaccia, e trovandosi nuovamente colpito in pieno. Andò a terra come una bambola.

“NO!” urlò il Ragno, avvicinandosi all’esanime mostro. Si chinò su di esso, cercando una pulsazione, qualcosa...La mente era stanca, e i suoi pensieri poco coerenti...Sapeva di non potere fare affidamento su quei mostri, sapeva che...

Non è morto

Non si accorse neppure dei versi che fece il Predatore, almeno non fino a quando una zampa argentea non si posò sulla sua schiena.  Vivrà ma la sua liberazione dipende da te adesso e con essa i destini di questa battaglia

Il Ragno lo guardò allontanarsi veloce verso lo scontro. Stranamente, quando il Predatore gli aveva parlato, aveva distintamente avvertito come una pace interiore ed allo stesso tempo esaltazione, come un’improvvisa iniezione di speranza...

Il mostro mosse una delle braccia principali.

 

Tyr falciava nemici, esorcizzandone la presenza con la propria spada incantata. I pochi sfortunati che riuscivano ad evitare la lama venivano colpiti dalla zampa lupina.

<Liberami, stolta divinità!> urlava Fenris dai recessi del Dio della Guerra. <Sotto i miei colpi, cadranno...>

“No, figlio di Loki! Non venga mai il giorno in cui Tyr debba ricorrere al tuo ‘soccorso’ per un così piccolo conflitto!”

<Stai perdendo tempo! Il tuo obiettivo è Glitternight, non questi insignificanti servi!>

Ma era inutile: finalmente, il Dio stava nuovamente assaggiando il sapore di una vera battaglia, e ne era totalmente inebriato! Per contro, effettivamente, si stava avvicinando all’altare

 

almeno, a sufficienza da attirare l’attenzione di Glitternight. A un gesto del necromante,

 

il pavimento stesso si animò, andando ad inglobare Tyr!

Per Eduardo, quello era il momento! Puntò l’Unigun e sparò una raffica ionica a piena potenza dalla bocca di fuoco principale!

Glitternight, per quanto lesto egli stesso, non poté che essere investito dal colpo a velocità subluce. Sembrò addirittura dissolversi sotto quell’assalto!

La battaglia sembrò fermarsi, in quel momento. “Sì!” esclamò il mannaro in spagnolo...

Ma non durò a lungo. La sfera dell’esplosione, anziché espandersi, tornò a contrarsi in sfida alle leggi dell’entropia...

Per riprendere la forma di Glitternight, che per giunta brillava delle nuove energie appena acquisite! “Un buon tentativo, te lo concedo. Ma niente di più.”

 

Ignorata dalla cosa-Carlos, che ora stava facendo del suo peggio per uccidere Jon, Wolfsbane si sollevò, le costole ancora doloranti –non fosse per il fattore di guarigione, sarebbe morta!

Aveva fatto male, a volere contare sul solo proprio corpo, quando aveva i mezzi per rovesciare la situazione. Si giurò di non ripetere più quell’errore. Raccolse il fiato, e lanciò il suo più potente ululato!

La cosa-Carlos si voltò, sibilando con una lingua a tre punte. Lasciò andare l’inerte Jon, e caricò.

Rahne si tese, pronta.

Ad artigli spianati, la cosa-Carlos saltò...e fu intercettata a mezz’aria dalla saetta nera

che era Jillgar, l’armatura vivente dei sacerdoti-guerrieri dei Tuatha da Danann!

La cosa-Carlos rotolò a terra. L’armatura andò in pezzi,

e si riconfigurò per vestire Wolfsbane.

Quando la cosa si rialzò, incontrò il pugno corazzato di Wolfsbane. Accecata dalla rabbia, la giovane licantropa colpì e colpì, fino a quando, inevitabilmente, la struttura stessa del mostro cedette, trasformandosi in polvere luminescente...

Solo allora, lei realizzò quello che aveva fatto.

Aveva ucciso Carlos Lobo!

Almeno così credette, fino a quando la stessa polvere non tornò ad accumularsi, riformarsi,

 

e riprendere le sembianze originali.

“Non so se definirlo una fortuna o no, questo sviluppo,” disse Sir Wulf. “Ho un’idea. Karnivor, lascia riprovare me.” Schiacciò un pulsante sul polso.

Un lampo nel cielo, e apparve il drago metallico atomico, il ‘destriero’ di Sir Wulf.

Il lupo rosso saltò, propulso dall’esoscheletro metallico, e fu in sella. Si diresse addosso al mostro.

L’arpia gli venne incontro. Esalò un respiro, e un getto liquido fu espulso dalle sue fauci.

La corazza della spalla sinistra di Wulf fu quasi interamente consumata dall’acido fino alla carne. Il dolore era terribile, il puzzo tremendo, ma lui non esitò.

Un fendente tremendo della spada laser tagliò letteralmente in due l’arpia all’altezza della vita! Di nuovo, per un attimo, la ‘carne’ divenne polvere luminescente...

Il drago spalancò la bocca, ed assorbì a sé quella polvere! Adesso, c’era solo da sperare che il contenitore interno resistesse fino alla fine della lotta...

 

“Pe—te—hrr...”

“Sono qui, Kaine. Sono qui, fratello mio.”

Era una strana scena, una parodia d’oasi nel furore della battaglia, questi due esseri viventi abbracciati come la Madonna con il Cristo morente, due esseri che per ora, avevano in comune solo un tragico destino...

“Fr—te—“ Kaine si stava sforzando visibilmente, ma non si arrendeva, non finquando brillava la scintilla dentro di lui, quella scintilla che fa la differenza fra un fallito ed un eroe!

Peter si tolse la maschera, lacrime di sollievo rigargli il volto. “Sì, fratello. Perché è questo quello che siamo, lo sai. Non importa se nati da un ventre meccanico o da quello materno, non importa se il fato o una mente contorta abbia voluto che vivessimo...Noi siamo Peter Parker, io te e Ben. Avremo tanti nomi, tante identità ed altrettanti costumi, ma siamo noi, e nessuno ce lo potrà togliere.

“Non permetterò che tu muoia, Kaine, perché sono tuo fratello, e so che tu faresti lo stesso con me. Vorrei solo averlo capito prima, e di questo me ne dispiace immensamente!”

A quelle parole, qualcosa come una luce, troppo flebile per essere vista da occhio umano, iniziò a scorrere lungo le braccia di Peter, verso il clone.

 

New York

 

“SARAH!”

La ragazza, finalmente assopitasi per recuperare un po’ di energie, quasi fece un salto al soffitto -maledicendo mentalmente l’amica, aspettandosi di ritrovarsi di fronte Glitternight...

Non certo lo spettacolo di Ben, seduto sul letto e perfettamente cosciente...e avvolto da una specie di alone azzurrino! I suoi occhi erano persi da qualche parte dentro di sé, la sua espressione indecifrabile, un misto di estasi e stupore e rivelazione.

Sottovoce, pronunciò una sola parola. “Fratelli...”

 

Se Peter se ne accorse, era a ben altro che stava pensando, mentre assisteva a un nuovo fenonemo...

Supino fra le sue braccia, il mostro stava visibilmente tremando. Le sue ‘carni’ stavano letteralmente riformandosi, come cera sotto un invisibile modellatore...

 

I rimanenti servi erano tenuti saldamente a bada dai due dal Predatore nel Buio. Non solo la forza bruta dell’alieno lupino era sufficiente a fermarne diversi, ma quelli che sembravano potere sfuggire a zanne e artigli, scoprivano di dovere fare i conti con le magie tessute dal Predatore! Piccoli incantesimi sufficienti ad immobilizzarli senza scampo.

 

Trattenuto da una schiera di servi, Eduardo digrignava impotente i denti, l’Unigun ai suoi piedi, ma di fatto come fosse lontana chilometri dalla sua portata. Per quello che poi era servita..!

Glitternight aveva condensato la sua preziosa riserva di anime in un elaborato pugnale di energia, pronto per piantarlo nel petto della Sacerdotessa.

“Il tuo sacrificio e quello dei tuoi valenti paladini risparmierà i tuoi protetti...per ora. Dopo questa battaglia, avrò un esercito invincibile! E ora...uh?”

La bolla di putrido materiale che avvolgeva Tyr aveva iniziato a vibrare, e con ogni secondo la vibrazione si accentuava!

Glitternight guardò la sacerdotessa, e abbassò il pugnale...

A 1cm dall’obiettivo, una ragnatela avvolse il polso, trattenendolo saldamente!

Glitternight non ebbe il tempo di reagire, che un’altra tela gli coprì completamente la faccia, trasformando la sua sorpresa in un grugnito incoerente!

Persa la concentrazione, il pugnale si estinse. Glitternight strappò via la tela dalla faccia...e si trovò stampato in volto un formidabile pugno rosso e blu!

Il necromante volò all’indietro, ma prima di finire a terra un colpo di artigli alla schiena lo piegò in due dal dolore!

Cadde in ginocchio. Cercò di rimettersi in piedi, ma fu sbattuto a terra dalla stessa mano che l’aveva colpito. La mano

di Kaine! Il clone, adesso, aveva il familiare aspetto dei giorni precedenti la sua morte –robusto, vitale, una tela a coprire parte del suo costume, e il volto coperto dalla familiare sciarpa, incorniciato dai lunghi capelli castani.

“Impossibile...” disse Glitternight, talmente sorpreso da dimenticare di contrattaccare.

Kaine non fu altrettanto generoso da dimenticarsi di afferrare la faccia di Glitternight. Le carni del necromante sibilarono, mentre il Marchio di Kaine si imprimeva a fuoco in esse.

Glitternight urlò, cieco e totalmente sconvolto. Kaine lo afferrò, e con rabbia lo scaraventò contro la parete. “Possibile, invece, mostro!  Io e Ben Reilly siamo come una sola cosa, ed estraendomi mi hai dato concretezza...Ma hai sbagliato, credendo che la mia corruzione fosse totale! Sono Kaine, ma dentro di me scorre la forza che anima i miei fratelli. E ora so che a questa forza, a questa purezza, alla fine, avevo sempre creduto!”

Cieco e deturpato, Glitternight si mise in piedi. Un suo cenno, e la parete dietro di lui si animò, proiettandosi sotto forma di decine di lance!

Kaine le evitò facilmente...almeno così credette, ché quelle si trasformarono in tentacoli e lo avvolsero in un abbraccio indistruttibile!

Il pugnale iniziò a riapparire nelle mani di Glitternight. “Voi mortali, sempre a parlare troppo! Quando avrò finito con la vostra preziosa Sacerdotessa, mi divertirò a tagliarti la lingua mentre...NO!”

La luce esplose, abbagliante come il Sole, mentre finalmente Tyr cedeva il suo posto

Al gigantesco Fenris!

Avvenne in un attimo.

Glitternight si voltò per colpire il nemico,

Fenris spalancò la bocca. Le leggende del Gotterdammerung dicono che Fenris sia capace di divorare il Sole stesso –una cosa era certa, in quel momento. Che nessuno dei presenti aveva mai visto un simile lampo di puro potere emanare dalle fauci spalancate. Un Howl Blast di natura divina, che nel suo stato, Glitternight non poteva lontanamente sperare di contrastare! Questa volta, la sua dissoluzione fu senza ritorno!

A riprova di ciò, dalla sfera di consunzione di Glitternight emerse una pioggia di gemme colorate. La maggior parte si diresse verso i servi, che tornarono ad essere materia organica della palude. Delle rimanenti gemme, una volò dritta nel cielo,

la seconda andò ad infilarsi nel corpo di Lobo. Allo stesso tempo, la cosa-Carlos, che stava inutilmente tentando di attaccare la gola corazzata di Wolfsbane, si dissolse.

La terza gemma volò dritta nel corpo di Kaine. Il clone fu avvolto da una luce stupenda, scintille verde giada e giallo oro, che danzarono sul suo martoriato corpo come le gocce di una sorgente purificatrice...

E purificazione fu. Sotto gli occhi dei presenti, quando fu finita, Kaine era sì perfettamente nudo...

Nudo, ma perfetto. Il suo corpo ancora più forte di quello di Peter e Ben, ma senza il minimo segno della degenerazione che lo aveva segnato per una vita!

“Scusa se non abbiamo una pelliccia di riserva da offrirti,” disse Jon, appoggiato alle spalle di Wolfsbane.

 

Starkesboro. Il mattino successivo.

 

Questa volta, l’offerta di pozioni medicinali non era stata rifiutata, così come il cibo e un letto. Peter e Kaine ne avevano approfittato senza ritegno, ed ora erano freschi e come nuovi, mentre il Sindaco in persona e la Sacerdotessa esprimevano le loro congratulazioni.

Nello stringere la mano a Seward, Peter, senza la maschera –‘per noi, è come se non l’avessi comunque’ era stato il definitivo commento del Sindaco- disse, “Siete proprio sicuri che non vi serva un po’ di pubblicità positiva? Il Bugle non sarà il top in fatto di apertura mentale, ma...”

“Lascia stare, Peter,” lo interruppe Seward. “Sappiamo come cavarcela. Dopo millenni di caccia, abbiamo imparato a cavarcela. Piuttosto, avessi tu o i tuoi amici bisogno di una zampa, devi solo fare il mio numero.”

Peter diede una stretta alla spalla di Kaine, e si avvicinò a Glory, cinta protettivamente alla vita da Carlos/Eduardo. “Non so a chi di voi due debba rivolgermi, Lobo. Io non ci credo ancora che sei diventato un bravo ragazzo, ma se Glory garantisce per te, ti lascio il beneficio del dubbio. Falle del male, e spererai di essere finito in mano a Glitternight. Chiaro?”

“Sarà più al sicuro con me che con te, poco ma sicuro, hombre,” rispose Lobo, la faccia di granito.

Peter si rimise la maschera (doveva ammetterlo, però: potersi muovere senza l’impiccio dell’identità segreta in mezzo alla folla era stato...divertente, anche se per poco), e lanciò un’ultima occhiata al misterioso Karnivor. Avrebbe chiesto ai Vendicatori di fare un controllo su tutti quei mannari, non fosse che era fortemente in debito con loro, per avere, direttamente o meno, contribuito a fare tornare Kaine... “Forza e coraggio: portateci a casa, prima che alle ragazze venga un accidente per avere fatto sparire anche Glory senza preavviso.”

Mentre Tyr compiva l’incantesimo, l’Uomo Ragno si chiese come sarebbe stato, da adesso, dividere la propria vita con due simili ‘gemelli’...Spiriti di Laurel e Hardy, aiutatemi voi!

 

Episodio 6 - Frammenti (mannari)

 

La pace. Un bene prezioso, sotto ogni sua forma. Eterno quand’anche durasse una manciata di momenti.

Soprattutto se trascorsi con coloro che ami.

Rahne Sinclair era in pace. E a dividerla con lei, una donna dagli stessi capelli rossi, anche se lunghi fino alle spalle.

Era un sogno, e non lo era. Finalmente, la giovane poteva sentire l’odore, avvertire il calore di un corpo sepolto nelle memorie più remote. Memorie che quasi aveva dimenticato di possedere.

Sallara, la madre di Rahne ricambiava l’abbraccio con tutto l’affetto e la protettività che a Rahne erano mancati negli anni.

°Sono così fiera di te, figlia,° disse lo spirito. °Non ho potuto esserti vicina fino ad ora, e me ne dispiace. Ma attraverso Jillgar veglierò come avrei dovuto fare.°

Rahne guardò la donna negli occhi. Sottili rivoli di lacrime le rigavano il volto. °Mamma...Non voglio dovere combattere ancora, se è il prezzo per rivederti. So che un giorno ci incontreremo, e non voglio che...°

Lo spirito scosse la testa, accarezzando quella della figlia. °Come mia figlia, e come me prima di te, le sacerdotesse-guerriero sono una stirpe dedita alla difesa della nostra gente, in particolare dei Tuatha da Danann. Le prove che hai superato nel corso del tempo ti hanno forgiato per questo compito. E’ il tuo destino, piccina mia.

°Anche tu avrai la tua felicità, potrai costruirti un branco...Ma non puoi allontanarti da un sentiero che fu scritto per noi dai tempi del Patto.°

Così tante domande, così tante cose da sapere. Rahne tacque, desiderosa nient’altro che di stare vicino a lei, ancora per un po’...

Poi, bussarono.

Rahne aprì gli occhi. Sospirò, sconcertata per un momento dal nuovo ambiente in cui si trovava.

Già era un miracolo essersi svegliata in un letto, al suono di nocche sulla porta, invece di trovarsi su una branda e dovere scattare ad un allarme..!

La camera era un trionfo di legno, calda nei colori e nella temperatura. Finestre all’inglese, e vasi da fiori all’esterno.

Bussarono di nuovo, e questa volta ci fu anche un lieve grattare.

Mugugnando un “arrivo”, Rahne schioccò le labbra e si alzò. Niente pantofole, ma con quel parquet da sogno chi ne aveva bisogno? Diamine, era stata così esausta nell’andare a dormire, che non ricordava neppure di essersi infilata quella favolosa camicia da notte che l’avvolgeva come un abbraccio di seta!

Rahne annusò l’aria per un momento, e non ebbe bisogno di sforzarsi per riconoscere chi c’era dietro quella porta. Le venne in mente quella canzone di Howard Jones, come faceva? ‘Wolves are gathering round my door/Ask them in and invite some more’.

Aprì la porta. Immaginava che lo stesso valesse per i lupi mannari.

 

Si trovò di fronte l’Errol Flynn della categoria, anche se aveva la folta pelliccia nera e bianca, indossava solo un paio di calzoni blu con cintura rossa, scodinzolava lentamente e a coda alta...e stringeva una rosa bianca fra zanne capaci di maciullare ossa come grissini. E come il miglior Errol, Jon Talbain stava appoggiato allo stipite, le braccia incrociate al petto.

Rahne sorrise, allungando una mano verso il fiore...

Jon chiuse gli occhi e fece ‘no-no’ con la testa. Senza smettere di sorridere.

Rahne rimase perplessa. Provò di nuovo a prendere il fiore. Altro ‘no-no’, e questa volta Jon aggiunse un verso a metà fra un brontolio e un uggiolio.

“Oh,” fece lei, e si concentrò. Un istante dopo, la sua forma umana era stata sostituita da quella mannara, dalla pelliccia rossa come i suoi capelli. La camicia era rientrata in un collare nascosto dal pelo,

A questo punto, Jon allungò il collo, e le permise di prendere la rosa. Rahne l’annusò –e capì il perché della necessità di essere in quella forma. Il suo naso lupino colse una pletora di aromi inebrianti, rilassanti, un insieme che come umana non avrebbe potuto lontanamente percepire.

“Si chiama Rosa Selenia,” disse Jon, accarezzando la licantropa sotto il mento. “La leggenda vuole che un Principe della nostra gente la volle coltivare per avere un po’ della Dea Luna nei giardini del suo castello; e per farlo usò della polvere lunare.”

Rahne ridacchiò, e si diresse verso la cucina –almeno, il locale che in quella casa sconosciuta odorava più di cibo. “Immagino che sia anche un potente simbolo d’amore, giusto?”

“In un certo senso,” fece Jon, entrando a sua volta e chiudendosi la porta alle spalle. “E’ un simbolo di devozione al di là dell’amicizia. Mi hai salvato la vita, Rahne[xi], e non è una cosa che un lupo dimentica. E credo anche che tu sia una creatura assolutamente splendida, dentro e fuori.”

“Non sei uno che perde tempo. Non credi di correre troppo? E poi, ho fatto solo quello che dovevo,” Rahne prese un cartone di latte. Cercò un bicchiere, e fece per prenderlo, quando una più grossa mano impellicciata si infilò nella credenza, estraendone...una ciotola.

“Farai meglio con questa,” disse lui. Mentre lei versava il latte, continuò. “Dico solo la verità, non è mica un peccato come fra gli umani. E fra poco, sarà tempo di duelli. Lottare per te sarebbe un grande onore, a meno che tu non abbia scelto...Uh, Rahne? Credo che tu ne stia versando troppo.”

La mannara scozzese aveva la più ‘cucciolosa’ espressione di stupore, sicura di avere le orecchie roventi. Si scosse, e vide che in effetti aveva versato l’intero cartone, creando una pozza sul tavolo.

Lei fece per andare a prendere una pezza di carta dal rotolo alla parete, quando lui le fece un cenno di diniego, e con la massima naturalezza...andò a lappare la pozza sul tavolo!

Rahne fece un’espressione disgustata. Lui ripulì con pochi colpi di lingua, e solo allora andò a prendere una pezza. “Dimentichi che abbiamo un sistema immunitario unico? Non si butta via del cibo per noi commestibile. Non hai fame?” chiese, indicando la ciotola piena.

Lei fece di no, e Jon la prese, iniziando a lappare con gusto.

Rahne tornò alla forma umana, puramente di riflesso. Prese il fiore che aveva adagiato sul tavolo; annusandolo, le sembrò solo ben profumato e null’altro. “Non ti offendere, Jon, ma...non so nulla di come vivete. Usi, costumi...dei lupi mannari so solo quello che mi è stato insegnato, che...”

Jon depositò la ciotola, si leccò le labbra in modo comico. Avendo ottenuto di farla sorridere, sfruttò il momento per prenderle gentilmente un braccio. “Allora, è giunto il momento di conoscerci meglio. Torna al tuo aspetto migliore, vuoi?”

“Hm? Senti, devo ancora fare la doccia, puzzo, e...”

“Primo, non puzzi. Secondo, fidati: conosco il posto adatto per rimetterti in sesto.”

 

“Hai dormito bene?”

A giudicare dalla sua espressione serena, la domanda era superflua per Glory Grant. La donna afroamericana stava quanto più possibile raggomitolata fra le braccia di un maschio di mannaro, nero come la notte e dagli occhi rossi come carboni. L’aspetto normalmente intimidente di colui noto come Carlos Lobo era rilassato, sereno come la donna nuda che stringeva a sé.

Glory annuì. “Grazie per essere stati con me...tutti e due.”

Una frase apparentemente insensata...per chiunque non fosse benedetto dallo speciale legame che univa la donna

allo spirito del fratello di Carlos, Eduardo, che agli occhi di lei era una presenza fisica dai colori brillanti fusa al corpo di Carlos.

Eduardo non aveva bisogno di dire nulla. La sua presenza era come un’onda di tranquillità, e parlava da sola. Non importava che fosse morto, ucciso per errore proprio da Glory[xii]. Tale era il loro legame, da superare i confini della vita, come già ampiamente provato[xiii].

Glory, con riluttanza, si staccò da Carlos, che tornò alla sua forma umana. °Hermano, perché la trasformazione non dipende più dalla Luna? Non che mi dispiaccia...°

°Purtroppo, in quanto spirito indegno non posso saperlo neppure io. Dovremo chiederlo alla donna chiamata Sacerdotessa. Lei sa molte cose sulla nostra gente.°

°Capisco,° poi, “Gloria, cosa farai, adesso?”

Mentre faceva partire la doccia, la donna disse, “Per quanto lo vorrei, restare insieme a voi, adesso, è fuori questione. Non vi sarei di alcuna utilità, e sarebbe solo questione di tempo, prima che ti succeda qualcosa a causa mia come con Eduardo.” Entrò nella cabina, raggiunta da Carlos.

Glory accettò volentieri le attenzioni di lui alla schiena. “Ma saprò esservi utile comunque, a voi come alla mia gente...Hmm, più in basso, prego...Come segretaria personale di J.J. al Daily Bugle, saprò raccogliere notizie di prima mano dal mondo dei super e sopratutto sull’Uomo Ragno. Quell’eroe riesce ad essere coinvolto con numerosi suoi simili peggio che...”

“Carlos le mise una mano saponata sulle labbra. “Ti stai arrabbiando, chica. Non ne hai bisogno, el Hombre Araña è storia vecchia. Non ci farà più del male.”

Glory si voltò, e baciò l’uomo con trasporto. “Sei così diverso...Anche Eduardo è così pieno di pace...Cosa vi è successo?”

Carlos si passò lo shampoo fra i capelli, la sua espressione ora rannuvolata. “Io e mio fratello eravamo molto uniti, Gloria. Molto. Ci siamo fatti forza a vicenda, quando eravamo dei bambini, e nostro padre trovava divertente picchiarci quando era ubriaco. Ho salvato Eduardo dalla follia, quando per sbaglio uccise la bella Bonita, e abbiamo sempre fatto tutto insieme, due corpi una mente...

“Abbiamo usato la nostra amarezza come scusa per uccidere chiunque si mettesse sulla nostra strada. Abbiamo scelto di trasformare il nostro potere in un mezzo per fare tanto male quanto ne abbiamo ricevuto. La droga, le gang...tutto una scusa, un mezzo per infliggere dolore, terrore.

“Poi, Eduardo è morto...No, non piangere, chica. Forse, è stata la cosa migliore che tu potessi fare, per noi.” E, all’espressione di sorpresa di Glory, continuò, “Il dolore che ho provato, il senso di perdita...E’ stato qualcosa che non si può paragonare.

“Nei miei primi giorni nella Volta, dove fui rinchiuso, meditai le più orrende vendette contro il Ragno, che biasimavo per la fine di Eduardo...Ma il tempo passava, e alla fine persino una testa dura come me è arrivata a capire che nulla di tutto quel dolore sarebbe avvenuto, se gli Hermaños de la Luna non avessero scelto la strada del sangue. A causa mia, il violento e dominatore di noi due...E pensavo a tutti coloro che per colpa nostra avevano perso un fratello, una moglie, un’amante, al dolore che ora sentivo io...”

Glory lasciò correre l’acqua, nell’illusione di vedere correre via il dolore dai loro corpi. Abbracciò il suo uomo, una figura minuta a consolare un gigante.

Carlos trasse un profondo respiro. “Non so se non rifarei tutto, tornando indietro...Ma so cosa fare per certo. Credevamo di essere soli, e invece di noi c’è un intero popolo. Un popolo che può avere bisogno di questo Fratello Lobo.

“E questa volta, non mi tirerò indietro.”

 

Correva per la foresta, oltre 150 Kg di muscoli e pelliccia d’argento. Forte come un carro armato, agile come un cervo, 100% semilupino nonostante la posa a quattro zampe.

Non aveva un nome.

Non uno che una lingua attuale potesse pronunciare decentemente.

Qualcuno gli aveva affibbiato quello di Predatore nel Buio. Ed aveva attecchito.

Non che gli dispiacesse –i maledetti umani costituivano un buon pasto, e ce n’erano così tanti che anche rimuovendone la metà da questo pianeta, sarebbero rimasti in troppi.

Purtroppo, sia lui che i suoi protetti li avevano sottovalutati, ed ora erano costretti a una vita di vagabondaggi per le foreste Canadesi. Lui stesso aveva finito col farsi catturare come un cucciolo[xiv], e proprio a un ‘mutante’ di quella specie doveva la sua vita –e non solo in quell’occasione.

Non era contento di avere lasciato il suo branco al suo ambizioso figlio, ma non aveva altra scelta: questo branco di mannari erano la loro sola chance di terminare il lungo esilio.

Si fermò di colpo. Annusò profondamente l’aria muovendo la testa a destra e a sinistra come un radar...Eccolo!

Il Predatore emise un uggiolio, nel portare il naso alla base dell’albero. Insieme al muschio, spiccava un rado mucchietto di cenere.

Cenere organica. C’era odore dell’ozono residuo dell’energia usata per lo sporco lavoro.

E nessun altro odore.

Questo sì che era interessante.

 

Municipio di Starkesboro, Massachusetts

 

“Da quanto tempo è chiuso là dentro?”

Di fatto, l’intero staff tecnico, nei loro camici bianchi, era fuori nel corridoio. E nessuno osava incontrare lo sguardo severo

del loro super-alfa, il Sindaco Seward. Un individuo tombolotto e calvo, con un ridicolo paio di occhiali a montatura grossa, non sarebbe stato il tipo da dirigere una comunità di mannari. Ma nella sua forma lupina, era un maschio rosso, per quanto brizzolato nel muso e arti, abbastanza robusto e deciso da meritarsi la posizione di leadership.

“Appena è entrato,” disse finalmente uno dei tecnici, “ha cominciato a guardarsi intorno, come se non riconoscesse il posto. Poi, ha cominciato a imprecare, e ci ha ordinato di uscire...Signore, nessuno di noi lo ha mai visto così. Non è lui...”

Seward scodinzolò nervosamente, picchiettandosi il muso con un dito...In fondo, era abituato alle eccentricità di Zed. Considerando che quel giovane genio aveva concepito i sistemi di difesa di Starkesboro e molte altre comunità, il minimo che potesse fare in cambio, per ora, fosse di lasciarlo fare.

Lo avrebbe punito per la sua indisciplina dopo.

 

Il palazzo su una perpendicolare della Main Street era un pezzo anacronistico, modellato in tutto e per tutto con perfetto stile romano, con tanto di colonne marmoree all’ingresso. L’insegna in cima alle colonne, in un atroce neon, proclamava solo

 

SAUNA IMPERO

 

La porta di legno si aprì, e la coppia fece il suo ingresso in un atrio ampio e realizzato per offrire la massima illusione di spazio all’occhio. La luce era garantita da un elaborato gioco di specchi. Delicate essenze di erbe attraversavano l’aria.

La donna al bancone godeva visibilmente di ottima salute, anche se i suoi anni e l’aspetto robusto, mediterraneo, ricordavano quello di un’amabile zia. Indossava un’anacronistica tunica immacolata in perfetto stile romano. Ai suoi due clienti, fece un inchino e sfoggiò un sincero sorriso. “Santo cielo, Jon, cucciolotto mio: è davvero un graziosa femminuccia! Ti batterai per lei il mese prossimo?”

Questa volta, fu Talbain ad arrossire sotto le orecchie, che fliccarono nervosamente. “Dalia, ti prego. Dacci solo una stanza per il bagno, sì? Trattamento completo.”

La matrona fece schioccare le dita, e due mannare in tonaca emersero da una porta, portando con sé asciugamani e boccette di vari colori, unitamente a un paio di ciotole in cui le boccette erano contenute.

“Stanza IX,” disse Dalia...e fece l’occhiolino a Jon.

Nel vederlo farsi piccolo piccolo dalla vergogna, Wolfsbane si mise a ridacchiare, ma si lasciò guidare verso la stanza in questione.

 

Prima di entrare, lei chiese di sfuggita “Quella Dalia...Ha un accento strano, non trovi?”

Lui fece spallucce. “Considerando che è un’ex cittadina della Roma Imperiale, con più di mille anni sulla coda, mica tanto...”

Rahne non poteva stupirsi più di tanto –lo aveva immaginato, del resto. Il mutante Wolverine possedeva un potente fattore rigenerante, e lui viveva da non meno di 100 anni. Ma migliaia..!

Jon disse, “Quelli come lei sono un caso eccezionale, i nostri ‘Noè’. Lei ha preferito tenersi lontana dalla politica, ma i quattro membri del Consiglio sono anche più vecchi di lei. Entra, su.”

 

La stanza era una camera intima, dalle pareti finemente dipinte a raffigurare una scena boschiva di un realismo incredibile...E non solo. Rahne si accorse che quell’ambiente profumava come una foresta. In ogni suo dettaglio, dai fiori agli uccelli al prato e agli altri animali raffigurati. Chiudendo gli occhi per un momento, ebbe la precisa impressione di trovarsi in un ambiente vivo...

“Sapevo che ti sarebbe piaciuto,” disse Jon, scuotendola dal sogno. Vide che stava seduto sul bordo di una specie di pozzetto...no, più una depressione, ma piena di sabbia?

Jon le fece cenno di avvicinarsi. Lei si sedette, e come lui immerse le gambe dentro la sabbia. “Oh, è tiepida. Cos’è?” fece, sentendola allo stesso tempo granulosa ed impalpabile come talco. Rahne immerse la mano, e quando la ritrasse, vide la pelliccia coperta dalla ‘sabbia’ come da un velo di brina.

“Entraci,” la incoraggiò lui. Lei lo fece, e si trovò immersa fino alle ginocchia.

“Questo posto è...magnifico,” disse Wolfsbane, chiudendo gli occhi e ammirando il paesaggio con il naso.

“Un’arte antica come la nostra specie, fatta per coinvolgere ogni senso. Dovresti vedere il museo di arte locale. Quanto a questa,” continuò, prendendo una manciata di ‘sabbia’, “è una polverizzazione finissima della sabbia comune, mescolata a talco ed essenze intense. Ottima per i bagni e come fissante per i profumi che ci hanno dato...Provala.”

Wofsbane esitò, comprendendo benissimo cosa l’istinto le suggeriva...Ma era un’idea così piacevole...

E per la prima volta in anni, nella sua forma intermedia, Wolfsbane iniziò a rotolarsi in un impeccabile bagno di polvere. Dio, era una sensazione da perdercisi dentro! E solo dopo un paio di interminabili minuti, si accorse che anche Jon si era unito al rituale...e che era in versione integrale!

La sorpresa durò solo un attimo –al diavolo, lui non odorava neppure di sesso! Anzi, se la stava spassando esattamente come un grosso cagnone!

“E cosa si fa, adesso, hmm?” chiese lei, scuotendosi.

In risposta, lui afferrò una boccetta. “Lascia fare allo chef,” disse con un sorriso a 32 zanne.

Lei incontrò lo sguardo, e annuì.

“Sdraiati. Sullo stomaco.”

Lei lo fece, e sentì quelle mani, capaci di sventrare un carro armato, passarle sulla schiena con delicatezza insospettata, impregnandola, frizionando la cute. Un grooming perfetto! Emise un mugolio di soddisfazione, quasi a fare le fusa, e si lasciò andare a un rilassamento totale...

“So quanto sia difficile,” disse Jon.

La mannara corrugò la fronte -che cosa voleva dire, tutto ad un tra*un momento! Non era la voce di Jon!

Aprì gli occhi.

 

Poteva vedere, ma il suo corpo non era lì. Le pareti rappresentavano uno scenario di montagna –rocce aspre, appena macchiate di verde, in una cornice impenetrabile se non alle aquile e agli animali di terra più temerari.

E al suo fianco c’era Karnivor.

Non un mannaro, ma un lupo antropomorfo, frutto del genio deviato dell’Alto Evoluzionario. Un’anima tormentata, come lei sapeva bene.

Karnivor era nudo, e stava in ginocchio al centro del pozzetto sabbioso. Dietro di lui, intento a pulire la sua schiena, stava Sir Wulf, un suo simile, ma più giovane.

“Non c’è alternativa, anima mia,” disse Wulf. “Ogni altra soluzione sarebbe solo una fuga senza scampo. Thulsa Doom ci vuole morti, come vuole estinto il Popolo. Non possiamo fare altro che aiutare questo branco a combatterlo.”

Karnivor si voltò. Abbracciò il suo compagno con forza, le orecchie piatte, la testa posata sulla spalla. Tutti muoiono, prima o poi, e madre natura raramente contempla una morte gentile. Fuggire da essa era da stolti.

Ma Thulsa Doom, un negromante devoto del Dio-serpente Set, aveva ingannato la Morte, era egli stesso la morte, per il Popolo, che fossero mannari o naturali. Lo aveva provato, e non avrebbe smesso fino quando le stelle sarebbero arse. O fino alla sua fine.

Wulf leccò l’orecchio di Karnivor. “Per il Popolo, anima mia. Per la pace che cerchiamo per la nostra gente.” Fu ricambiato da una strofinata del muso contro il proprio.

Fu solo con un grande sforzo che, a questo punto

 

Rahne riuscì a staccarsi dalla visione. Ansimava, tremava per le angosce che aveva appena condiviso con il lupo, e non solo quelle....

Accanto a lei, Jon sedeva, guardandola con perplessità, la testa inclinata di lato.

“Sto bene,” fece lei, evasivamente, tornando a sdraiarsi sulla sabbia, lasciandosi avvolgere dal suo tepore. Avrebbe voluto parlarne a Jon, in quel momento, condividere...Ma se neppure lei capiva perché avesse sviluppato un legame spirituale proprio con Karnivor! Neppure con Danielle, poi, aveva mai raggiunto un simile grado di identificazione fisica..!

La mannara scozzese chiese, per cambiare argomento, “Cos’è questa storia dei ‘combattimenti’?”

Lui sbuffò, e disse, “Credo che per te sia la prima volta, voglio dire...” Era talmente imbarazzato, che lei poteva avvertire il calore extra emanato dal corpo.

Lei capì il perché di quelle esitazioni, e le scappò un risolino. “Mi stai chiedendo se sono mai andata in...?” non poté resistere, e scoppiò a ridere, avvolgendosi in una nuvola di sabbia.

Quando lei ebbe finito, Jon disse, “Sì. Esatto. Con il passare del tempo, alcune femmine sono diventate recettive in continuazione, come esseri umani, forse a causa della vita a stretto contatto con gli umani stessi, nel loro ambiente.

“Ma le femmine più pure, la maggioranza, seguono ancora il loro ciclo. E’ proprio durante una settimana di Luna Piena, in autunno, che inizia la selezione. I maschi più vigorosi combattono per il privilegio della compagna, quando non sia ella stessa a scegliere per prima. Si formano le coppie alfa, i branchi dai ranghi degli sconfitti, e la prole nasce in primavera. È un periodo di feste, quello, che scommetto non hai mai visto.”

Jon era molto più che convinto, di quelle parole. Rahne gli carezzò un polso. “Mi sorprende che un campione come te non abbia ancora...”

Jon iniziò a frizionarle lo stomaco, inducendola a scuotere una gamba in riflesso. “Uhm, non ho mai...”

Rahne drizzò le orecchie. “Sei..?”

Orecchie basse. Un ringhio sommesso.

 

La coppia uscì dalla sauna, con Rahne che si stringeva al braccio di Jon. Si sentiva così deliziosamente disinibita, una libertà che neppure con Hrimhari di Asgard si era concessa... “C’è una funzione, oggi?”

Anche Talbain aveva notato la piccola processione entrare nella chiesa. “Be’, possiamo celebrare madre natura ogni giorno dell’anno...Sono i nostri santi che hanno dei giorni fissi...”

“Anche v...noi abbiamo dei santi?”

Lui si grattò la testa. “Be’, il termine esatto è santi-guerrieri, come quelli della cultura umana Giapponese. Licantropi che hanno combattuto per il Popolo e Madre Terra con particolare dedizione e sacrificio...” Improvvisamente, corrucciò la fronte, e iniziò visibilmente ad annusare l’aria. Scosse la testa. “Avrei dovuto immaginarlo.”

Wolfsbane non poté fare a meno di seguire la pista, e lo avvertì anche lei. “Anche lui ha dei seguaci?” gli tirò il braccio a cui era poggiata. “Andiamo. Questa non voglio proprio perdermela!”

 

Rahne credeva che la chiesa fosse costituita interamente dall’edificio. Invece, seguendo la folla, lei e Jon si ritrovarono in un vasto giardino perfettamente curato.

E nel piazzale al centro del giardino, circondato da un cerchio di fedeli prostrati, sedeva Fenris. Il gigantesco, nero lupo dagli occhi rossi sorrideva soddisfatto, contemplando l’ordinato mucchio di omaggi in cibo e talismani.

I mannari prostrati davanti a lui erano nella loro forma pienamente lupina, e tenevano il collo abbassato e la coda fra le gambe. L’etere vibrava di energie, con Fenris quale loro centro.

Jon si voltò e si allontanò, tirando Wolfsbane con sé.

 

“Non capisco,” disse lei appena furono di nuovo sulla strada, “Fenris è una figura malvagia, nella mitologia Norvegese. Chi sono quegli adoratori?”

Jon sospirò. “Secondo alcuni nostri profeti, dopo il Ragnarok, una nuova generazione di Dei dominerà questo mondo. Essendo tali Dei umani all’apparenza, i profeti ne prevedono la corruzione, come le creature che li hanno rafforzati con la propria fede.

“Gli adoratori che hai visto appartengono al Branco della Luna Rossa, uno dei quattro gruppi che compongono il Consiglio[xv]. Bianco, Grigio, Rosso e Nero, come i colori assunti nelle varie ‘trasformazioni’ della Luna. I membri del Cerchio scarlatto sono gli specisti ad oltranza. Per loro, Fenris dovrà essere il futuro padrone del mondo, e portare la parola del Lupo quale Verbo Santo...Insomma,” concluse con una scrollata di spalle e una sfumatura di amarezza nella voce, “nessuno è perfetto, neanche fra noi.”

Wolfsbane indicò un bar dall’altra parte della strada. “Molto interessante, ma io non ho ancora fatto colazione. Offro...” cavoli, si era dimenticata di essere uscita con nient’altro addosso che la sua pelliccia!

Jon fece un risolino. “Visto? E tutta questione di punti di vista. Ancora qualche giorno, e non ci farai caso per...”

“Non è questo,” lo interruppe lei. “Non ho un portafoglio, e...”

“A parte che, per le pellicce che abbiamo salvato, non ce ne sarà una che non vorrà ricambiarlo come minimo rischiando la vita per te, sei mia ospite. È quasi ora di pranzo. Acchiappami se ci riesci,” e detto ciò si trasformò in un lupo, correndo via come un fulmine.

 

Chiamarla ‘casa’ era come chiamare ‘barca’ l’Amerigo Vespucci.

Era una villa di quelle che dovevano essere sorte durante il più intenso periodo di colonialismo, quando la ricchezza trasformava un intraprendente affarista in un Creso.

Villa Talbain, come indicava la targa in ottone al cancello, sorgeva fuori dal paese, praticamente a contatto col bosco. Era un piccolo castello in solido legno bianco e tetto di tegole nere, con un enorme viale d’accesso e doppio patio ai lati. Un vasto porticato incorniciava l’ingresso principale.

Rahne e Jon, ancora nella loro forma quadrupede, un momento prima di arrivare al cancello di ferro battuto, assunsero la forma transitoria, e lo superarono con un salto perfetto.

Non ebbero fatto in tempo ad atterrare, che la porta dell’ingresso si aprì. Ne emerse una figura femminile, umana, dai corti capelli bianchi perfettamente ordinati, e un vestito lungo impeccabile da mezzo milione di dollari. Era accompagnata da un maggiordomo che reggeva una specie di elaborato collare ingioiellato fra le mani come fosse stato la corona del Re.

“Qualunque cosa succeda, non fare commenti per carità,” sussurrò al volo Jon. Si concentrò,

e in un momento, per la prima volta, Rahne vide il suo aspetto umano –e come era possibile che non fosse ancora impegnato, visto che era a dir poco stupendo?? Pelle abbronzata, non un filo di grasso, muscolo e scattante, e lunghi capelli ondulati di un biancore naturale che gli stavano da dio. Indossava un completo che non doveva valere meno dell’abito della donna –e non c’era dubbio che fosse la madre, vista l’evidente somiglianza fra i due...Se si eccettuava che lei non sembrava avere sorriso molto, ultimamente...Negli ultimi 30 anni, visto il tipo di rughe che segnavano il volto.

La coppia si avvicinò, e Jon diede un rapido bacio a sua madre. “Sono puntuale, giusto?”

Lei sbuffò. A Rahne, disse, “Signorina Sinclair, prenda il collare. Contiene l’abito adatto. E quanto a te, signorino, si suppone che tu non vada per strada nella tua forma transitoria, non di giorno. Tuo padre è alquanto seccato. Se vuoi impressionare questa femmina, potrai farlo fra qualche settimana. Il resto te lo dirà tuo padre.”

Rahne infilò il collare, tornò umana, e rabbrividì. Dio, che pezzo di ghiaccio era quella strega! A confronto, Valerie Cooper era una libertina incallita e gaudente!

Il gruppo entrò in casa.

 

Seduto accanto al server che gestiva l’intero sistema informatico di Starkesboro, Zed stava equamente dividendo il suo tempo fra imprecazioni a fior di labbra e la tortura della tastiera.

“...sfido che qui si scrakka tutto...Barattoli! Razzo! Cyberspazio? Ha! Cyberfusi! Inutili gruppetti macroscopici zip-zap, scarti di archivi corrotti...Razzo!”

Le dita volavano sulla tastiera a una velocità tale da mettere a dura prova i potenti processori. Le schermate si susseguivano a un ritmo impossibile per qualunque occhio umano. O licantropico che dir si voglia.

Zed non era nessuno dei due. Non più, almeno.

L’entità che ne aveva assunto l’aspetto imprecava, ringhiava, e la sua voce assumeva un sempre più marcato tono meccanico.

Improvvisamente, seguendo i propri umori, parte del volto si deformò, la carne rimpiazzata da rosso metallo...

“Ora di cambiare metodo di interfacciamento.”

 

Episodio 7 - Arriva Warewolf!

 

Immagino la tua curiosità su di noi. Per esempio, chi fossero i nostri antenati, cos’era il Patto, perché l’Uomo ci teme e ci odia, portando così l’odio anche ai nostri fratelli delle foreste...

In fondo, è semplice. Tragico, ma semplice.

 

La nostra storia ebbe inizio trecentomila anni fa, molto tempo prima che il continente di Atlantide emerse per la prima volta dai mari. La ‘civiltà’ umana consisteva di poche, sparpagliate oasi in un mare di caos, dominato dalla progenie di Dei e Demoni.

Il culto più oscuro, più potente, era quello di Set, il Dio-Serpente bandito dalla nostra realtà per essere stato il primo a commettere assassinio a spese dei suoi stessi fratelli. E il sommo sacerdote di quel culto era il negromante Thulsa Doom. Il suo impero oscuro, la cui capitale è risorta in Antartide in questi giorni, sembrava destinato a non tramontare, perché il caos lo nutriva, e le genti umane erano deboli, frammentate dalle loro rivalità interne, per unire le loro fedi in una sola, forte, capace di vincere le ombre che si addensavano

Allora, Madre Gaea, che amava l’umanità, fece dono ai suoi protetti di un simbolo: chiamò a sé e mise alla prova un uomo e una donna ognuno da una tribù nemica dell’altra. L’uomo e la donna soffrirono molto, ma essi credevano in Gaea, e una dopo l’altra superarono le prove, combattendo e vivendo come una cosa sola.

Gaea fu contenta, e disse loro di concepire il loro primo figlio nella tana di una lupa. Il loro bambino sarebbe stato speciale, simbolo dell’unione, del Patto di fede che avrebbe unito l’Uomo alla Creatura a lui più simile. Quel bambino a sua volta si sarebbe unito ai suoi ‘fratelli’; a quel punto, il raziocinio umano e la purezza del lupo sarebbero confluiti in una nuova stirpe, la stirpe che avrebbe abbattuto Thulsa Doom e con lui l’Impero di Set.

E così fu. Il primogenito di questa sacra unione era un bel bambino...ed era il primo di un nuovo ramo del Popolo. Nella sua infanzia, egli fu protetto dapprima dalle tribù dei suoi genitori come dai lupi, e poi da un numero sempre crescente di uomini e donne in cui la speranza era tornata a nascere.

I suoi genitori, alla fine, morirono, ma a quel punto il loro figlio era nel pieno del suo vigore. E i suoi fedeli erano un’armata. Sotto la sua guida, le fedi furono riunificate in una, con lui come centro. Primeus, come ormai è chiamato fra noi, divenne un Dio, e generò una stirpe a sua volta, coloro che i cui discendenti si pregiano del nome di Tuatha da Danann, i ‘Figli degli Dei’.

Fu un periodo cruento, di battaglie ormai perse nel mito, ma il cui risultato è una certezza indiscutibile: Thulsa Doom fu ucciso, trafitto da un Primeus gravemente ferito, ma indomito.

Purtroppo, con la vittoria venne il disastro: Thulsa Doom non sarebbe mai stato abbastanza stupido da lasciarsi uccidere al primo colpo. Morendo la sua prima morte, il negromante tracciò un ultimo incantesimo. La parte umana dei Figli degli Dei fu irrimediabilmente corrotta. I difensori dell’Uomo divennero i suoi carnefici. Set era, per ora, impedito dal tornare, ma il suo male sopravviveva.

Il Patto fu infranto. L’unificazione della Fede si rivoltò contro i mannari, che ora erano universalmente conosciuti come creature di cui diffidare e temere. Da odiare. L’Uomo, ingannato dalle sue paure, si allontanò non solo dai suoi paladini, ma anche da Madre Gaea stessa, che era identificata come in parte ostile, indifferente ai bisogni dei suoi prediletti.

I pochi Figli degli Dei che sopravvissero si sparpagliarono per il mondo in piccole tribù. Alcuni meditando la vendetta, altri cedendo alla corruzione –ed essi forgiarono un nuovo Dio tutto per loro, un Demone-Lupo che avrebbe in seguito assediato lo stesso Kull di Valusia, ironicamente un nemico giurato del rinato Thulsa Doom- altri contentandosi, con l’aiuto di quegli umani che ancora credevano in loro, di tornare fra le braccia di Gaea, difendendosi sopravvivendo, in attesa del ritorno della pace.

Ma il tempo passava, e le cose non miglioravano. La nascita di Fenris dava nuovo impulso alle paure fra le genti del Nord Europa. Occasionali attacchi di mannari corrotti ai danni delle popolazioni rurali alimentava la follia assassina. La tribù di Arcadia, in Grecia, che aveva magicamente modificato le acque di un lago perché un uomo potesse diventare lupo senza pericolo alcuno per la propria anima, fu sterminata...Zeus trasformò l’infame Re Lykos in un lupo per i suoi atti cannibalistici...

Poi, avvenne un fatto nuovo: sulla Terra, giunse una squadra di rappresentanti di una civiltà aliena, dal sistema solare della stella Arcturus[xvi]. Questi esseri, che in seguito si sarebbero ribattezzati come I Custodi, erano alla ricerca di creature da potere manipolare per farne guerrieri per la loro barbara civiltà.

In qualità di tecnomanti che negromanti, essi osservarono e decisero di compiere i primi esperimenti su dei lupi nel cui sangue scorreva la maledizione lanciata da Thulsa Doom. Erano queste creature una progenie inetta dei Figli con degli ordinari lupi, ma dotati di un vasto potere latente.

Gli esperimenti scientifici coinvolsero queste creature e degli umani nei cui geni brillava il potere causato dalle manipolazioni dei Celestiali. Il risultato avrebbe dovuto essere il Guerriero Perfetto, invincibile, stupido ed obbediente quanto feroce...Ma non andò così. La prima coppia nata da questo stupro genetico era dotata non solo di una brillante intelligenza, ma anche di sufficiente potere da liberarsi e fuggire. La coppia fece perdere le sue tracce, e la sua progenie avrebbe diffuso i suoi semi fra i mutanti.

Ma i Custodi non erano abbastanza intelligenti da comprendere i propri limiti: rapirono altri bastardi, e questa volta, tentarono le vie del potere oscuro. Sicuri che un incantesimo ben tessuto avrebbe vinto la volontà dei loro futuri Guerrieri Perfetti, non esitarono a ricorrere a un terribile manufatto, il Darkhold. Ahimè, per loro, il tomo non era che uno strumento, quando esso era la via d’accesso al cuore dell’Antico Dio nero, Chton.

Questa volta, il risultato fu quello desiderato. I geni di uomo e lupo, fusi da una maledizione più terribile di quella di Thulsa Doom, diedero origine ai lupi mannari mistici come li conosci oggi. Lucidi come uomini, esseri sanguinari, manipolabili e potenti come lupi.

Ma la storia ci insegna che i Custodi non ebbero quello che volevano. Nella loro ignoranza della storia del Popolo e dei suoi Fratelli, non sapevano della benedizione di Gaea, della implicita Purezza del Lupo. Questo permise ai mannari, inconsapevolmente, di resistere all’influenza magica dei custodi sulla loro volontà.

E intervenne un fattore nuovo, che persino noi del Popolo non conoscevamo. C’era un’entità, sulla Luna, una presenza aliena ma benevola nei confronti del Popolo. Per quanto potesse essere lontana, essa riuscì ad esorcizzare in parte la maledizione di Chton. Senza il controllo dei Custodi, i mannari di questa nuova stirpe sarebbero stati mostri incontrollabili, ed ora, invece, erano legati alla Luna.

Ma ai Custodi, tutto questo poco importava, perché quasi tutti loro furono massacrati dalle loro creazioni. Quelli che sopravvissero si nascosero a loro volta, per continuare il loro turpe lavoro.

Così, adesso, esistevano quattro stirpi del Popolo, quattro rami:

-        Quello dei lupi, i primi, i Puri, gli ultimi che compongono il Consiglio del Popolo.

-        Quello dei Figli degli Dei, cui tu appartieni, non mannari, ma esseri benedetti delle migliori qualità di entrambe le specie, per quanto alcuni di loro portassero in sé la maledizione di Thulsa Doom.

-        I Devianti, i mutati. Quelli come Carlos Lobo.

-        I Lupi Mannari veri e propri. Noi.

Tempo dopo, qualche anno fa, l’entità che abitava la Luna è giunta sulla Terra, ma in una forma a noi sconosciuta[xvii]. Essa è ora scomparsa, lasciandoci liberi di trasformarci a piacimento, svincolati dall’influsso lunare. I Custodi sono morti, grazie anche a Morbius, il Vampiro Vivente, ma la maledizione del Darkhold incombe su di noi così come la presenza del maledetto Thulsa Doom.

Per questo abbiamo bisogno del Power Pack. Per tenere a distanza queste minacce, mentre il Popolo porterà avanti l’agognato processo di riunificazione.

 

Rahne Sinclair si scosse come da un torpore ipnotico. Distrattamente, diede un’occhiata alla pendola all’altro del salotto –le 23:20! Le ore erano scoccate senza che la mannara mutante scozzese se ne fosse minimamente accorta. La cena era stata un affare formale, privo di qualunque dialogo...Cosa comprensibile, del resto: da quando in qua un branco di lupi si preoccupava di intavolare conversazione mentre banchettava sulla preda appena uccisa? In compenso, era stata tanto veloce quanto soddisfacente, concepita per riempire per bene lo stomaco, senza lasciare spazio per ulteriori ‘stuzzichini’.

Rahne, nella sua forma umana, vestita di un abito nero a pizzi, retrò quanto elegante, sedeva su una poltrona abbastanza ampia per sé e per il suo amico e compagno di squadra nel Pack Jon Talbain. Anche lui in forma umana, mascherava bene il suo disagio per essere costretto in un Tuxedo che doveva essere come una camicia di forza, per lui che era abituato ad andare in giro in forma lupina vestito solo di un paio di pantaloni attillati! Solo il fiuto di un lupo avrebbe potuto percepire quel disagio.

Per quanto lo riguardava, Markus Markovich Talbain, seduto in una simile poltrona, con al fianco sua moglie, era soddisfatto di vedere il figlio capace di quel minimo di protocollo.

Il resto della famiglia Talbain, in perfetto rispetto di gerarchia di branco, stava seduta su un unico divano semicircolare, disposto lateralmente rispetto alle due larghe poltrone. Un camino scoppiettava allegramente, diffondendo un piacevole profumo di pino. Una buona parte di una parete era occupata da una porta-finestra finemente intarsiata con lupi ululanti che dava sul fitto appezzamento boschivo che i Talbain, modestamente, chiamavano ‘giardino’!

“Io...” Rahne esalò un profondo respiro che non si era accorta di avere trattenuto. No, sapeva benissimo cosa fare. Per la prima volta, era fra la sua gente. L’idea di difenderla le veniva naturale come respirare. Annuì. “Potete contare su di me, signore...”

Markus sorrise. “Puoi chiamarmi Markus, Rahne. Sei di famiglia, ormai.”

Lei strinse un po’ più forte la mano di Jon, e i due giovani si lanciarono un’occhiata felice –il cuore le andava a mille. Dio, che voglia che aveva di diventare lupa, adesso, ora, e di correre con lui ed ululare alla luna!

Jon si rivolse al padre. “Markus Markovich, Leader, quali sono i tuoi ordini, adesso?”

Il mannaro annuì. “Con l’aiuto di Fenris, la Sacerdotessa vi indicherà cosa fare. Questa comunità non ha più importanza primaria, per Thulsa Doom, ora che il suo teschio è riunito al corpo. Per estendere il suo potere al resto del mondo, il negromante deve possedere gli Occhi di Set. È vostro compito impedirgli di trovarli.”

A quel punto, fu la femmina, una donna dai capelli bianchi come quelli del figlio, laddove quelli del padre erano neri come la pelliccia della forma lupina, a prendere la parola. I suoi occhi erano smeraldi di un fuoco che sembrava volere snudare brutalmente l’anima della ragazza. “Ma, ricorda, Rahne, nulla ha più importanza di mantenere un profilo basso. So che Charles Xavier, il tuo mentore presso il suo ‘istituto’ per mutanti, ti ha insegnato il valore del libero arbitrio...Ma se sarà necessario, i poteri mentali di Karnivor serviranno proprio ad impedire che la nostra presenza venga tradita.”

Rahne si irrigidì, fissando la donna di rimando. Una veloce gomitata di Jon impedì che la cosa degenerasse –regola n.1, mai, mai sfidare un capobranco!

Questa era una clausola che Rahne comprendeva ma non era ancora lieta di accettare...

Aleika annuì, soddisfatta dall’abbassamento degli occhi della giovane. Si rivolse al marito. “Credo che possiamo prendere la cosa al primo morso, caro. Mentre la Sacerdotessa rintraccia gli Occhi di Set, possiamo mandare il Pack a rimuovere la minaccia di quel traditore di Duncan Vess. La sua presenza è stata tollerata anche troppo a lungo.”

Il mannaro sospirò, prima di dire a Rahne, “Mia moglie parla di un mannaro, uno di alcuni che ha rinunciato totalmente alla propria lupinità, per essere solo un uomo. Un atteggiamento...eccentrico, tollerato a stento dal Consiglio...fino a quando Duncan non ha iniziato a scrivere racconti su di noi.

“Alcuni di questi racconti, cento anni fa, hanno causato la morte di alcuni dei nostri fratelli e di molti Puri. Da allora, abbiamo mandato diversi cacciatori per ucciderlo, ma lui ci è sempre scappato, mescolandosi fra la gente delle città.”

Rahne si sentì agitare lo stomaco, e questa volta da qualcosa di molto spiacevole. Come potevano discutere di vita e morte con tanta leggerezza?? “Chiedo scusa, Markus, uh, Leader...Non sarebbe meglio cercare di riportare Duncan dalla nostra, piuttosto? Non so quanti siamo, al mondo, ma non credo così tanti da giustificare spargimenti di sangue intestini...”

“Se posso rispondere io,” disse una dei giovani Talbain, Alexia, una femmina dai capelli neri e dal volto bellissimo e ferale. Poteva indossare un abito crema con rosa al petto che l’avrebbe fatta passare per delicata damigella, ma aveva uno sguardo assassino che aveva tenuto a bada molti ‘pretendenti’ non abbastanza educati. All’assenso della madre, guardò Rahne con quasi pietà. “Mia cara, non siamo stati certo noi a cacciare Duncan, è lui che crede che siamo mostri. È stato il suo operato, a rovinare intere famiglie e branchi di innocenti.

“E per quanto concerne un suo eventuale pentimento, sappi che a tuttora continua a pubblicare romanzi. Lo chiamano ‘l’Anne Rice della mannaraggine’. Siamo fortunati che solo pochi fanatici come il Pugnale d’Argento gli diano retta. E sono già troppi. Se questi pazzi venissero reclutati da Thulsa Doom, sarebbero la sua avanguardia per spianare la strada al ritorno di Set. Pensi di volerlo, Rahne Sinclair? Perché se è sì, temo che non potrai fare parte del Pack.”

Un discorso proferito con la calma di un predatore pronto a saltare alla gola della preda. Purtroppo, per come la vedeva Rahne, un discorso sensato. Per giunta, gli uomini avevano ampiamente provato di potere massacrare ogni lupo sul loro cammino. In un continente grande come quello Americano, l’estinzione era stata paurosamente vicina...

Sopravvivere aveva il suo prezzo. Per questa gente, amaro, necessariamente amaro.

Rahne guardò verso Jon. Vide nei suoi occhi, avvertì nel suo odore, la comprensione che cercava. Che Dio Onnipotente la perdonasse...Ma se ci fosse stata una sola soluzione alternativa, l’avrebbe adotta*

Il resto dei suoi pensieri fu travolto dalla tremenda esplosione che dissolse l’intera parete! Tutti i presenti furono scaraventati all’indietro come pupazzi. Letali schegge di vetro si conficcarono ovunque, trasformando ogni oggetto sul loro percorso in una specie di puntaspilli. Solo i prontissimi riflessi dei mannari avevano impedito una tragedia –per quanto, ci sarebbe voluto molto di peggio, per delle creature dotate di un fattore di guarigione degno di quello di Wolverine.

All’unisono, Jon e Rahne, ora nella loro forma intermedia, emersero dal riparo della poltrona. Talbain era particolarmente preoccupato –possibile che la Società dei Serpenti, i mercenari di Thulsa Doom, avessero già deciso di sferrare un nuovo attacco?! E come diavolo avevano fatto, a superare tutti i sistemi di sorveglianza??

Tali pensieri corsero in una frazione di secondo nella mente di Jon, mentre la causa di quel disastro avanzava fra la polvere e il fumo, facendo risuonare passi metallici.

Jon saltò in avanti. Quella era l’unica occasione buona: l’aria era troppo sporca e calda per permettere, anche con una visione agli infrarossi, di decifrare l’esatta manovra del giovane campione di Starkesboro. Un colpo solo con gli artigli già carichi di bioenergia, e *urk!*

La mano dell’aggressore era saettata in avanti, e il mannaro bianco e nero si trovò la gola serrata da una morsa d’acciaio!

“Ottimale reazione desiderata,” disse l’intruso, ora pienamente visibile: un lupo mannaro...no, un robot. Un meccanismo perfetto, fatto di lucente metallo bruno-scarlatto morbido come carne viva. I suoi occhi gialli brillarono. “Procedere a download informazioni.”

La presa della creatura, alta quasi il doppio di un mannaro medio, era intenzionalmente sufficiente a tenere Jon in uno stato di impotenza, ma senza togliergli la coscienza. E per quanto il mannaro facesse pressione con gli artigli, il metallo non faceva altro che saldarsi intorno ai fori, intrappolando le sue dita come nel catrame.

Sul polso del mostro, si aprì un portello, e da esso emerse un groviglio di sottili cavi terminanti in estremità cristalline, che brillavano ad intermittenza. I cavi si diressero verso la testa di Jon come dotati di vita propria...

A questo punto, va fatto notare che erano letteralmente passati pochi istanti, dal momento in cui l’essere era entrato, e la situazione era ulteriormente precipitata. Situazione di cui il ‘robot’ non avrebbe potuto ulteriormente approfittare, ché un’altra figura rossa, non di metallo ma di folta pelliccia, gli arrivò addosso come una valanga!

Nella sua forma estrema, Wolfsbane era semplicemente una furia della natura, e la vista di Jon in pericolo moltiplicava le sue forze! Niente frasi roboanti, niente parole, solo una volontà sistematicamente distruttiva! Le sue dimensioni erano pari a quelle dell’essere meccanico, e riuscì a tenerlo a bada strappandone letteralmente brandelli a colpi di morsi e artigli, più in fretta di quanto i sistemi di ricostruzione potessero operare. E in quel parossismo, la sua ‘vittima’ non emetteva un solo lamento di dolore, ma studiava le mosse del suo aggressore, valutando la sua vulnerabilità alla prossima contromisura...

Wolfsbane emise un terribile verso uggiolante, quando, nello sferrare un colpo, il suo corpo fu percosso da una violenta scossa elettrica! La mannara fu sbattuta all’indietro, semi-incosciente, e fu afferrata al volo da Jon.

“Resistenza inaccettabile,” disse l’intruso. “Riconfigurare parametri, ricercare nuova sorgente informazio...” l’attimo successivo fu sbattuto a terra.

“Se attacchi uno del Popolo, il Popolo verrà in suo aiuto!” ringhiò un mannaro femmina dalla pelliccia candida, ergendosi sul nemico.

Per tutta risposta, le gambe del nemico sembrarono liquefarsi, diventare come di mercurio rosso,

e fecero per avvolgersi alle gambe di Aleika. Almeno, ci provarono, perché la femmina saltò elegantemente all’indietro. Allo stesso tempo, un paio di mani/zampe dalla nera pelliccia afferrarono il ‘robot’,

e Markus Talbain lo scagliò fuori, in giardino.

 

La macchina fece una capriola a mezz’aria, ed atterrò agilmente sui piedi. “Qualità resistenza insospettata. Numero fattori imprevisti eccessivo per corrente strategia, raccomandata tattica evasiva...”

“Lascia che te lo dica, Hombre, tu parli proprio troppo,” ringhiarono alle sue spalle.

L’essere sobbalzò, una gocciolina di lubrificante gli corse giù dalla fronte. Si voltò, lentamente. “Oh, Razzo...”

Il resto Power Pack era radunato dietro di lui!

-        Karnivor, il rosso lupo antropomorfo nella sua armatura smeraldina;

-        Sir Wulf, il suo simile, dall’armatura leggera rossa e blu;

-        Fenris, il nero dio-lupo di Asgard, nella sua enorme forma a quattro zampe

-        Il Predatore nel Buio, l’alieno lupino dal pelo d’argento.

A parlare, era stato Carlos Lobo, e fra le braccia d’ebano reggeva il cannone più grosso e hi-tech che un esemplare della sua specie potesse imbracciare, l’Unigun!

Una leggera pressione sulla pulsantiera che faceva da ‘grilletto’, e l’arma vomitò una raffica di missili a direzione variabile!

 

Dall’interno della casa, videro solo la fiammata dell’esplosione. Il corpo del ‘robot’ venne proiettato all’interno a tutta velocità, in un contorno di fiamme e fumo. Scavò un cratere nella parete opposta e in quella successiva, prima di piantarsi e lasciare la ‘sagoma’ in una terza, nella stanza da letto della coppia alfa.

“Fico,” disse Alexia, scodinzolando la sua approvazione in sincronia con il fratello minore di Jon, entrambi dal pelo bianco.

“Le mie ceramiche di San Pietroburgo...” mormorò Aleika, sconsolata.

Veloce come il lampo, quasi invisibile tale era la sua velocità, Sir Wulf saettò dentro. Il lupo antropomorfo afferrò l’elsa della sua spada laser. L’attivò. Questa volta, non ne fuoriuscì una lama di luce, ma una specie di frusta...

L’intruso metallico aveva appena finito di riprendersi dal colpo, che si trovò saldamente avvolto dal tentacolo luminoso!

“Puoi agitarti,” disse Wulf, “ma sarà inutile: la sua presa aumenta in proporzione diretta alla forza usata contro di essa.”

Infatti, l’intruso non si agitava per niente. “Scansori confermano. Attività di interferenza del programma ospite ha avuto il sopravvento. Riconfigurazione in corso.” Poi, i suoi occhi si spensero, ed esso crollò in avanti come una marionetta di colpo privata dei fili.

Il resto del Pack (escluso Fenris per via delle dimensioni) si avvicinò cautamente alla macchina...E a quel punto, il suo corpo iniziò a tremare. a frammenti, le parti meccaniche sparirono in rapida sequenza, mentre il corpo rientrava in sé stesso! Il ‘robot’ si faceva sempre più piccolo, mentre la carne andava a sostituire il metallo,

fino a quando non rimase che una familiare figura umana dai lunghi capelli incolti e un pizzo degno d’un diavolo tentatore. Ci furono diversi versi strozzati di sorpresa, e molte orecchie lupine piegate all’indietro.

A giacere sul pavimento, inerte, c’era Zed.

 

Foreste della Transia. Ora locale: 12:20

 

“Non mi è piaciuto, quando ha parlato di ‘riconfigurazione’. Cosa voleva dire?”

L’intero Pack era radunato nella base sotterranea di Karnivor, quando questi, come Uomo-Bestia, pianificava le sue strategie per eliminare l’Alto Evoluzionario e Adam Warlock.

Zed, ancora immerso nel suo coma, giaceva all’interno di un tubo pieno di un liquido verde opaco. La mistura era in realtà una soluzione ricca di naniti, che oltre a fornire l’ossigeno al paziente in immersione senza alcuna maschera, stavano esaminandolo e diagnosticando fino all’ultima molecola.

Da uno schermo olografico, nella sua forma lupina di rosso spruzzato di grugio, assistevano Markus Talbain e il Sindaco Seward.

I risultati venivano mostrati lungo una fila di schermi, ognuno dedicato a un aspetto del corpo esanime.

“Quanto a questo,” disse Karnivor, “temo che dovremo attendere fino alla sua risoluzione...Affascinante: è composto interamente di metallo organico. Se non fosse per i resti portati dal Predatore, avrei pensato ad un potere mutante, come quello di Colosso. L’età è del resto quella giusta. Uhr, guardate qui. Furbo, l’amico.”

Sullo schermo EEG, le linee dei campi più profondi della coscienza di Zed erano a dir poco iperattive. Su una finestra dello stesso schermo, apparivano simboli e linee di comando a una tale velocità da sembrare una singola figura cangiante come un frattale ipercinetico.

 “Sta cercando di interfacciarsi al sistema centrale della base usando i naniti,” disse Sir Wulf.

Karnivor fece un ghignetto sarcastico. “Tuttavia, sta usando una serie di comandi del tutto inadeguati. Chiunque lo abbia mandato qui, credeva di avere a che fare al massimo con uno Stark...Mentre io ho la conoscenza di generazioni in me. L’unica cosa di cui debba ringraziare il maledetto Evoluzionario, quando mi ha usato come cavia. Ed ora...Dritto al ventre della preda...Ha!”

Un nuovo schermo si accese. Su un campo nero, apparve una stella gialla allungata a 8 punte.

Solo Jon Talbain si accorse dell’inarcare di sopracciglia di Markus Talbain -conosceva suo padre abbastanza da sapere che quello era l’equivalente di un verso strozzato.

“Hr, non si va oltre,” stava dicendo Karnivor, facendo danzare le mani sulla consolle. “C’è una protezione molto avanzata. Deve essere qualcosa di estremamente importante; questa porzione di software è l’equivalente di un’astronave realizzata in una fabbrica di utilitarie. Dovrei riuscire almeno ad aprire l’allegato vocale, ecco...”

La voce che emerse era meccanica, fredda, impersonale. “Questo file è stato criptato con software Mys-Tech RuneAl III, e la sua visione è consentita esclusivamente ai membri del Consiglio del Popolo. Ogni riferimento a Progetto Exodus è da considerarsi materiale altamente classificato. Ogni tentativo di decriptazione effettuato con software ed hardware inadeguati comporterà la distruzione del file.”

7 teste si voltarono al ringhio sorpreso emesso

da Markus Talbain. Il mannaro di Starkesboro si era istintivamente trasformato, ed ora aveva gli occhi sgranati e le orecchie piatte, la coda istintivamente infilata fra le gambe. La sua sorpresa era talmente evidente che ne si sarebbe potuto sentire l’odore!

“Karnivor,” disse Markus, indicando la figura nel tubo, “qualunque cosa tu abbia in mente, non farla. Non fare nient’altro che tenere inerte il nostro ospite.” La sua stessa voce era tesa come una corda.

Karnivor annuì. Avrebbe voluto ribattere con qualcosa di pungente, circa una cosina chiamata ‘esperienza’, ma si trattenne, quasi contagiato dai segnali di panico dall’ologramma.

Seward prese la parola. Non era meno agitato. “Power Pack, da questo momento vi ordino di interrompere tutte le comunicazioni con questa comunità fino a nuovo ordine. Avvertirò personalmente il Consiglio. E sopratutto, impedite che quell’essere entri in contatto con chiunque tranne voi.”

 

(E per una volta, ecco una bella, rapida nota dal vostro. La cronistoria del ‘Popolo’, cioè dei lupi della Marvel (quelli terrestri, almeno), che ha occupato uno spazio non indifferente di questo episodio, è stata resa possibile grazie al preziosissimo apporto del sito dedicato all’Appendice del Marvel Universe, in particolare da questa URL, i cui contenuti sono stati leggermente arricchiti ai fini del cosmo MIT. I miei sentiti ringraziamenti ai gestori del sito, e che il loro lavoro sia la vostra ispirazione. Awwoo!)

http://www.marvunapp.com/Appendix/wlfmen.htm

 

Episodio 8 - Scontro alla fine del mondo

 

Immaginate il Mistero di Dio. La conoscenza inarrivabile, l’ultimo segreto. Non importa chi dichiarasse di averlo scoperto, decifrato –senza dubbio quella persona starà mentendo. Non c’è nulla di meglio custodito forse in tutto il Cosmo.

Ma nel nostro caro, vecchio mondo, la Terra, c’era un segreto non meno efficacemente conservato, anche se il suo pedigree non andava indietro come la Bibbia.

Si chiamava Progetto Exodus. Un paradosso che coinvolgeva un numero di pedine da fare barcollare i sensi, ma conosciuto solo da un numero ristrettissimo di eletti. Il riserbo era totale, l’organizzazione più capillare ed estesa di quelle di Hydra e Shield messi insieme. La sola possibilità che trapelasse qualcosa alle orecchie sbagliate era pressoché inesistente.

 

Alexander Thran era a dir poco iracondo, e non faceva nulla per nasconderlo, mentre procedeva a larghi passi lungo il corridoio come un leone in caccia. Con spettrale compostezza, tradita solo dal ticchettare dei suoi tacchi, camminava al suo fianco la sua segretaria particolare modello-Vogue, Kristen Palmer, come sempre compassata e in attesa di ordini.

L’uomo, nel suo gessato nero impeccabile, giunse alla porta alla fine del corridoio. I pannelli si aprirono scorrendo, e il Presidente della Talon Corporation entrò in una Sala Riunioni occupata dagli ologrammi terrorizzati dei partecipanti a quell’Assemblea d’emergenza. Nessuno di loro, ognuno Direttore di una fedelissima filiale o associata della TC, era stato informato dei motivi. Ma quando Thran in persona convocava un’Assemblea d’emergenza su trasmissioni criptate su frequenza subspaziale, disobbedire non era neppure pensabile.

L’uomo si sedette sulla poltrona a capotavola. I suoi occhi saettavano da un membro all’altro, alla ricerca del minimo indizio di colpevolezza. Promettevano morte. E Kristen era il suo boia. “Ho appena ricevuto un comunicato dal Consiglio del Popolo,” esordì senza badare alle formalità. “C’è una falla. Uno o più estranei sanno di Progetto Exodus.”

Fedeli alla realtà, gli ologrammi impallidirono, mentre la notizia veniva assimilata ma non digerita, come un boccone rancido. Tutti si trattennero dalle inutili frasi fatte di circostanza. Fu come se, durante la Cena, Cristo avesse detto che Giuda era il traditore e Pietro quello che l’avrebbe rinnegato.

Thran ticchettò le dita, trattenendosi dallo spaccare la superficie del tavolo con un pugno. “Ore fa, una creatura tecno-organica autodefinitasi Warewolf è giunta a Starkesboro con l’intento di mettersi in contatto con il Consiglio stesso. Il Power Pack ha sottomesso la creatura, e nei suoi banchi di memoria sono stati trovati espliciti riferimenti ad Exodus. Riferimenti criptati, protetti da parametri software RuneAl. Cosa ci sa dire, Dottoressa Mallory?”

La donna era un’Irlandese purosangue, Presidentessa di una compagnia software che lavorava con due ‘clienti’, la Talon appunto, e la Mys-Tech, quest’ultima un’ambigua corporazione che implementava la più avanzata tecnologia con le arti arcane.

La compagnia di Elizabeth Mallory, era fino a quel momento riuscita a passare diversi segreti MysTech alla TC. Senza un problema...O così si era creduto...

RuneAl era un software MysTech.

La donna avrebbe potuto inginocchiarsi e dichiarare la sua innocenza fino alla morte, ma non era stata ammessa in quel club esclusivo per i suoi piagnistei. Trovò la forza di ricomporsi, e disse, “Signor Thran, posso garantire che da qui non *urk*”

Più d’uno dei membri si tese nervosamente il colletto, nel vedere la donna boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, vittima della ‘morsa’ effettuata via VR alla sua gola.

Thran lasciò la ‘presa’. “L’unica cosa che lei mi garantirà, Dottoressa Mallory, è il ritrovamento del colpevole. Se, per contro, l’essere di nome Warewolf non fosse il risultato di una fuga di dati, insieme alle mie scuse troverà un adeguato compenso.” I suoi occhi saettarono nuovamente sui singoli membri. “Mi sono spiegato, vero?”

Gli ologrammi si spensero. Thran era sicuro al 1000% della loro fedeltà ad Exodus...erano i loro dipendenti che lo preoccupavano. Un solo istante di guardia bassa, e vedi cosa succedeva..! Proprio come con quel maledetto U.I.M.T[xviii]. Almeno, unica consolazione, nessuno poteva sapere a cosa servisse veramente, quello strumento...

“Hai finito con la tua inquisizione?” La voce era profonda, autoritaria.

Un rivolo di nebbia si intrufolò nella stanza, indugiando intorno alla poltrona di Thran –il quale continuava, mani giunte per i polpastrelli, a fissare verso la finestra panoramica che dava sulla giungla lussureggiante.

Thran voltò la poltrona, incontrando lo sguardo severo di un lupo mannaro dalla bianca pelliccia, e un pizzo e baffoni alla Mandarina dello stesso colore. Indossava un’ampia tonaca viola e rosa che lasciava scoperta solo la testa.

Alexander sostenne il suo sguardo severo. “Sai già che saprò fare la mia parte, Consigliere. Sono, piuttosto, più preoccupato per gli involontari, prematuri recipienti dei riferimenti ad Exodus.”

Il mannaro annuì. “Non credo che corriamo rischi, su quel fronte: anch’io so che RuneAl è una protezione più che sufficiente, o la verità sarebbe già venuta fuori. Di loro ci occuperemo noi, Thran.”

 

Base segreta di Karnivor, Foreste della Transilvania

 

“È veramente Zed?”

Era una grave offesa protocollare, mettere in dubbio le parole della più alta autorità del Popolo, ma a Jon Talbain, il Capitan America dei lupi mannari, il dubbio venne spontaneo.

Il giovane mannaro dal pelo nero e bianco voltò lo sguardo verso la capsula di contenimento, in cui era custodita la figura inerte di un mannaro –o meglio, di un suo simulacro metallico, dalle linee morbide e perfette, scarlatto come il sangue. Faceva paura anche così, immobile.

Jon tornò a rivolgersi allo schermo che mostrava la figura di suo padre Markus Talbain, candidato certo alla carica di Sindaco di Starkesboro e perciò autorizzato a parlare in vece del Sindaco Seward.

Markus non ebbe neppure bisogno di sottolineare che i Consiglieri non si erano sbagliati. Piuttosto, disse, “Temiamo che il software di protezione gli impedirà di rivelare dettagli su chi lo ha...’costruito’ e mandato qui. Karnivor, pensi di avere scoperto qualcosa di nuovo, nel frattempo?”

Colui che un tempo si faceva chiamare Uomo Bestia piegò mestamente le orecchie. “Solo il suo nome in codice. E che i processi mentali sono quelli del cucciolo che ha consumato.

“Dai pochi file di riferimento di cui dispongo, la sola creatura più simile a Warewolf è un alieno tecno-organico di nome Warlock, deceduto, un tempo membro dei Nuovi Mutanti. Se condividono la stessa natura, è più che logico assumere che Warewolf si nutra di bioenergia, e possa mutare massa e dimensioni in ogni modo concepibile...Almeno, appare chiaro dal rapporto fatto dal Predatore nel Buio, che Warewolf non ha bisogno di infettare le sue vittime con il virus tecno-organico, per cibarsene.”

Markus disse, “Capisco. Sir Wulf.

Come Karnivor era un lupo rosso Europeo inavvertitamente evoluto dall’Alto Evoluzionario fino allo stadio supremo della specie, Sir Wulf, ex Cavaliere di Wundagore e suo compagno, era a sua volta un evoluto lupo dei boschi Americano.

Sir Wulf si fece avanti, e fece un breve inchino, l’elmo nel braccio.

“Sir Wulf, il Consiglio del Popolo ha deliberato che sia tu il capobranco del Power Pack. Se qualcuno di voialtri volesse sfidarlo, è libero di farlo,” aggiunse, rivolto al resto del branco, composto da:

-        Il Predatore nel Buio, il massiccio alieno dalla pelliccia bianco/argentata, che disse solo, “Confido nella saggezza della scelta. Sarò un buon Beta”. Era dura da mandare giù per lui che era capo del suo branco, nel Canada, ma per i suoi simili avrebbe accettato di buon grado.

-        Wolfsbane, ovvero Rahne Sinclair, che disse, “Sono d’accordo.” Sapeva che Wulf era un eccellente individuo, carismatico. Guardò verso Jon, che annuì il suo accordo.

-        Carlos Lobo, il nero mannaro latinoamericano. Lui e il suo defunto fratello Eduardo, il cui spirito ora viveva in lui, avevano comandato delle gang di sbandati umani, molti tossicodipendenti. E avevano avuto modo di vedere, nei giorni passati, in che razza di serie si giocava, ora –tante grazie, ma a comandare ci pensasse qualcun altro! Annuì.

-        Tyr di Asgard, Dio della Guerra e ‘ospite’ del mostruoso Lupo Fenris da lui stesso liberato. “Aye. Per qualche ragione a me oscura, Fenris riconosce l’autorità del Consiglio, e plaude alla decisione.”

Karnivor annuì al suo compagno di vita con solennità, ma i suoi occhi brillavano di orgoglio.

Sir Wulf si mise su un ginocchio come aveva imparato nei suoi giorni di Cavaliere. “Accetto il ruolo che il Consiglio mi impone.”

“Eccellente,” disse Markus. “Il tuo primo incarico è assicurarti che Warewolf sia un membro abile e fedele del Pack. La sua immunità, e sopratutto i segreti che custodisce, sono nelle vostre fauci. Che i sentieri vi siano propizi.” E la comunicazione si spense.

Karnivor si assicurò che nessun canale fosse rimasto aperto anche solo per errore, poi si rivolse alla creatura nella capsula. “D’accordo, puoi uscire da lì, adesso.”

Gli occhi gialli di Warewolf si aprirono. Una zampa metallica tracciò un arco contro la parete della capsula studiata per contenere efficacemente lo stesso Drax...e la parete si aprì come seta sotto una sciabola. Warewolf venne fuori. “Era l’ora...Be’, c’è un vantaggio con ‘sto corpo del razzo: non ho più voglia di scuotermi, quando sono nervoso. Ve l’avevo detto che potevate fidarvi, no? A proposito, adesso sono a posto, vero? Tutto chiarito?”

“Nei limiti del possibile...” Jon non poté fare a meno di lanciargli un’annusata al volo. “Sicuro di non sapere nulla? Perché sei qui, chi ha costruito quel corpo..?”

Lo sguardo dell’essere cibernetico si fece distante. “Autorizzazione insufficiente. Solo il Consiglio è autorizzato a porre simili domande e a decifrare la password RuneAl per...”

Jon gli batté sconsolatamente una mano sul braccio. “Vabbe’, lasciamo stare. Non sai proprio niente altro?”

Warewolf si grattò la testa, un pezzetto di lingua spuntare fuori –un gesto familiare a chi conoscesse Zed. “Dunque, ricordo, no, cioè quello lì ricorda, un laboratorio, una qualche struttura complessa, ed un sacco di umani in tute di contenimento corazzate. E ci sono altri come me/lui, a pezzi, sotto esame, macchine organiche. So, cioè, sa, solo che...”

Questa volta, a fare il battispalla fu Karnivor. “Lascia stare. Alla fine, se abbiamo capito, sei una specie di fuggiasco?”

“Affermativo,” fece Warewolf. “Da ovunque venga e perché sia fuggito, so, cioè sa, che il ritorno è fuori questione...”

Questa volta, l’interruzione non venne da un membro del Pack.

La sentirono tutti. Interruppe i loro pensieri, le loro parole. I loro corpi furono come toccati dalla mano della Morte stessa!

Era qualcosa di ancestrale, terribile e familiare.

 

Parco Nazionale Los Glaciares, Patagonia, Argentina

 

La fama è un concetto relativo.

Oggi, Los Glaciares è famoso per i suoi maestosi 13 ghiacciai, essi stessi solo una porzione del grande ghiacciaio continentale Argentino. Di questi ghiacciai, il più famoso e più grande è il Perito Moreno –giace per un altezza di oltre 60 metri nell’Iceberg Channel. È ampio 3 miglia e lungo oltre 22. In altre parole, una montagna a parte di solido ghiaccio estesa fino al Lago Argentino.

Ogni 4 anni, secondo un ritmo che ancora l’uomo non è riuscito a deturpare, mostruosi blocchi di ghiaccio si staccano dalla montagna come tuoni da una nuvola, e vanno a formare un superbo spettacolo di iceberg galleggianti. Non ha caso l’UNESCO ha dichiarato questo sito Monumento Mondiale nel 1981. E il governo dell’Argentina ha fatto del suo meglio per preservare la bellezza e la fama di Los Glaciares.

Questa, è la fama come la concepiva, per esempio, la guardia Nino Rubeno. 32 anni, una vita dedicata alle bellezze della natura. I suoi avevano trasformato parte degli introiti dall’allevamento di pecore perché il loro figlio trasformasse l’amore per la natura in una professione a tale scopo utile...E Nino era loro grato dal profondo del cuore, ben determinato a non deludere nessuno. Senza contare che il lavoro sul campo gli tornava molto utile per affinare le conoscenze per la nuova tesi su cui stava lavorando.

E poco importava, se il tempo era da cani, oggi! Cielo di piombo, vento furioso che ti strappava via la pelle...Aggiungeva solo fascino, al Moreno.

Un lampo di luce rubò la sua attenzione. Un fulmine a così bassa quota? Impossibile! Nino Si sporse attraverso la ringhiera, i nervi all’erta –lo sa Dio perché dei terroristi potrebbero volere fare un casino a un ghiacciaio, ma non si sapeva mai...

Nino prese il binocolo che portava a tracolla, e guardò in basso, alla base del ghiacciaio. Lì, era proibito l’accesso al personale non... “Madre de Dios!” sussurrò.

 

Visto dal basso, il Moreno era qualcosa di indescrivibile. Sembrava un’onda, il più immane tsunami fermato nel tempo al suo culmine, pronto a venirti addosso.

Per il Generale Faidara era solo una solenne seccatura.

Fama. Per lei, da poco tornata dal regno delle ombre, il ghiacciaio era solo un ostacolo.

Millenni fa, il terreno ora vergine era lussureggiante e verde, ricco di vita. Una città sorgeva, qui.

Oggi, neanche le rovine, se non sotto milioni di metri cubi gelati.

Eppure, Faidara, una guerriera al culmine della perfezione fisica, addobbata da un’armatura che evidenziava le sue già considerevoli forme, era anche felice. Una felicità che permeava come un fluido i suoi seguaci, un gruppo di guerrieri in armatura e stivali di pelle, con guanti e mantellina di pelliccia. Una teschio umano avvolto dalle spire di un serpente quale fibbia della cintura era il simbolo comune a tutti i componenti di quel gruppo.

“Lo senti, Padrone?” chiese all’aria sibilante “L’ho trovato.”

<Si, posso sentirlo,> replicò una voce mentale sibilante come il vento stesso. <Il primo dei due Occhi del Serpente. Gaea li ha nascosti bene, alla sua epoca...Ma questa volta, senza i suoi prediletti guerrieri a difenderli, neanche mille mondi di distanza potranno impedirmi di recuperarli. Ed ora, mio fedele Generale, preparati a ricevere la mia forza, acciocché l’inutile barriera di ghiaccio cada.>

Detto fatto, appena la comunicazione fu interrotta, il vento stesso cambiò direzione. Sotto la ferrea volontà del diabolico stregone, l’elemento si abbatté sulla donna, in una furia che non le torse un capello, anzi! Un’aura di energia si manifestò intorno al suo corpo, un’aura che vaporizzava a contatto la neve e il ghiaccio portati col vento.

Durò un minuto, un minuto di estatica comunione con il Supremo Sacerdote del Dio-Serpente. E lei non era che un umile veicolo per la volontà del suo Padrone...

Il vento smise di concentrarsi su di lei. Era pronta! I suoi guerrieri erano in ginocchio attorno a lei, adoranti. In attesa.

Lei levò il braccio destro, pronta a colpire...

Il pugno partì.

Non arrivò a destinazione. Un colpo di fucile interruppe il movimento a mezza strada! Il proiettile colpì il braccio, ma esplose contro l’aura di energia.

Un esplosione basicamente innocua, dati i livelli di potere coinvolti, ma sufficiente a prendere di sorpresa la donna, che ritrasse istintivamente la testa, mentre l’aura si dissolveva. Il vento stesso sembrò echeggiare l’urlo di frustrazione di Thulsa Doom...

 

“Voi! Fermi dove siete!” disse Nino, uscendo dalla cabina dell’ascensore, il fucile ancora fumante. “Chi diavolo siete? Cosa stavate per fare?”

In risposta, quell’Amazzone dai capelli ramati levò su di lui uno sguardo di puro odio, il volto contratto in una smorfia paurosa. Disse qualcosa in una lingua mai sentita prima –sì, doveva essere mediorientale!

La donna urlò qualcosa a quelle specie di vichinghi che stavano alzandosi in piedi, non meno furiosi in volto. E adesso, che diavolo poteva fare lui, da solo? Dio, aveva dato l’allarme agli altri, ma con quel tempo, avrebbe fatto in tempo a rispondere al suo appello?

Qualcosa di scintillante volò nell’aria, verso di lui –ma non colpì l’uomo, bensì il su fucile! In un attimo, si trovò in mano un modello a canne molto mozze!

Un attimo dopo, due di quei cugini di Schwarzy gli furono addosso. Lo presero ognuno per un braccio, e lo portarono davanti alla donna.

 

“Hai un’idea di cosa hai fatto, insulso ometto?!” sibilò Faidara. Gli sputò in volto, poi si tolse un guanto. Passò un dito lungo la carotide di lui, che sembrava volere esplodere per la paura. “Poco male. Sei giovane e forte, e il tuo sacrificio permetterà al mio Padrone di donarmi nuova forza per sfondare quella barriera.”

 

Nino, immobile più per la paura che per le braccia che lo trattenevano, rabbrividì, ma non per il freddo, quando quel dito che in un’altra occasione avrebbe anche baciato tanto era bella la sua mano, passò di nuovo lungo la carotide. Questa volta, la scarlatta unghia affilata bevve il sangue!

Nino perse il controllo della vescica. Una volta, per le strade della sua città natale, era stato quasi ucciso da un ladruncolo in cerca di soldi facili. Persino allora, il giovane, un mero 16enne, aveva mantenuto il controllo. Aveva guardato negli occhi del suo aggressore, e vi aveva trovato la forza della disperazione. Nino ci aveva rimesso i soldi, ma aveva visto la morte in faccia e le aveva sputato addosso.

Come si era sbagliato! Quella donna non aveva nulla di umano, negli occhi. Lei non prometteva la morte, fine di ogni dolore, bensì un’eternità di tormento. Era il diavolo!

Nino Rubeno svuotò definitivamente la vescica.

 

Il dolce odore del terrore! Attraverso di lei, Thulsa Doom era di nuovo felice, pronto a bere al sacrificio per rinnovare l’incantesimo. Levò il braccio –un colpo solo, e*

Un laccio di luce si avvolse intorno al polso levato! Il sibilo di carne bruciata invase l’aria! Faidara urlò, cercando di liberare l’arto da quella morsa atroce.

Dei due guerrieri che trattenevano Nino, uno fu falciato da una raffica laser. L’altro fu avvolto saldamente per la gola da diversi giri di una catena dorata, che tranciò il collo di netto.

“Cera da chiedersi quando vi sareste fatti vivi,” chiese Jon Talbain.

Il Power Pack aveva circondato i contendenti!

“Un Generale, addirittura...Dico, non avevate creduto davvero di potervi avvicinare agli Occhi senza che noi ne sapessimo nulla, vero?”

Wolfsbane, nella sua armatura nera, si precipitò accanto a Nino. L’uomo era pietosamente svenuto. Lei se lo caricò sulla spalla. “Sir Wulf, mandami il tuo drago!”

Il Cavaliere, intento a trattenere il Generale, saltò dalla sua cavalcatura. Il drago meccanico ruggì e volò verso la mannara scozzese.

Senza neppure aspettare che si fermasse, Rahne saltò su con un movimento fluido. Subito, comandò il veicolo su, verso la stazione di controllo. Nonostante il vento, la sua presa rimase salda.

 

In un unico movimento, Faidara estrasse un pugnale dalla cintura, e tagliò il laccio.

Quattro guerrieri erano rimasti, del suo seguito. Si disposero intorno al loro capo. In mano, reggevano delle asce enormi.

“Lei è mia,” ululò Jon, e si lanciò all’attacco con un salto. Nel suo inimitabile stile, a metà salto, estrasse e lanciò il suo nunchaku.

Faidara parò con il pugnale.

I barbari, uno dopo l’altro, lanciarono le scuri!

 

Karnivor, nella sua armatura smeraldina, era il primo bersaglio. Alimentato dall’odio per il genere umano, odio amplificato dalla sola presenza di quella donna infame, tese una mano...e afferrò l’ascia al volo! L’impatto lo trascinò all’indietro per diversi metri, i suoi stivali scavando dei solchi nella neve, ma non cadde! “E’ il tuo turno, adesso!” ruggì, e lanciò l’arma con una forza che aveva rivaleggiato con quella dello stesso Thor!

Il barbaro levò veloce uno scudo dalla schiena, e parò il colpo.

 

Lobo, l’Unigun ancora fumante per il colpo che aveva steso un barbaro, dovette solo lanciare una nuova scarica, per...

Assurdamente, l’ascia bipenne non fu minimamente intaccata dal laser! Lobo poté solo vedere la sua condanna a morte volare dritta verso il suo cranio...

Una raffica di vento deviò miracolosamente l’arma contro una parete gelata, dove si incastrò, innocua!

Gracias, hermano! Ringraziò mentalmente il mannaro.

 

Il Predatore nel Buio non si mise neppure ad aspettare di diventare affettato. Scattò in avanti, veloce come il vento, evitando l’ascia come fosse stata ferma.

Non si accorse che, dietro di lui, l’arma, anziché terminare la sua corsa al suolo, senza perdere il suo momento stava invece facendo dietrofront come un boomerang!

Il barbaro accolse il Predatore con lo scudo di pelle e metallo. Un colpo solo della zampa capace di aprire varchi nelle pareti rinforzate[xix], e lo scudo fu tranciato come carta velina!

Sarebbe stato anche un breve trionfo, visto che l’ascia volante non era stata ancora fermata. Ma le orecchie di lupo captarono quel movimento ben prima che l’arma arrivasse a colpire. Il Predatore afferrò il barbaro, e lo scagliò contro l’ascia, che si conficcò contro la sua schiena!

 

Tyr non si scompose. Un rapido movimento, e l’invincibile Spada Valtran fu sfoderata e usata contro l’ascia, che fu divisa in due come il burro. Sorrise, e si lanciò all’attacco di un barbaro, prima che quell’esibizionista del Predatore glieli togliesse tutti!

 

Faidara poteva indossare un’armatura, ma era leggiadra come una gazzella, trovando insospettati punti fermi su quel terreno gelato infido.

Il duello era ad uno stallo. Lei non riusciva a mettere a segno un colpo che fosse uno -era come cercare di colpire una mosca turbojet con gli occhi bendati! Per Jon, non c’era mossa che non gli apparisse telegrafata, e i suoi artigli bastavano come pugnali...ma lei parava ogni colpo come se avesse più braccia di Kali!!

Intorno a loro, si era fatto un ammirato assembramento in pelliccia.

 

“Se la cava mica male, eh?” fece Karnivor, indicando Jon con un pollice.

“Non male, non male,” disse Tyr, intento a reggere per la mantellina un barbaro molto malconcio.

“Fcommetto fula Padvona,” disse il barbaro in un improvviso moto di animazione, levando il dito. Aveva la faccia pesta, gli mancava metà dei denti e l’elmetto tricorno gli era stato calato fin sotto gli occhi.

“Zitto tu!” fece Tyr aggiungendo un altro livido al volto e ottenendo un silenzio comatoso.

 

Si fronteggiavano a passi misurati, acquattati, tracciando un cerchio quasi perfetto nella neve.

“Sei in gamba,” disse Faidara, ansando, il sudore sulla pelle trasformato istantaneamente in una pellicola friabile. “La Sacerdotessa ti ha allenato bene. Non credevo che il mondo avrebbe visto di nuovo un Sidar-Var.”

“Non ci siamo mai estinti, demonio,” disse Jon, respirando solo con il naso, il muso circondato da sbuffi candidi come il fumo di un drago. “Ci siamo sempre tenuti pronti per il ritorno del tuo infame padrone. E questa volta, sarà lui ad essere estinto da questo piano...”

Improvvisamente, un rumore di motori dal cielo ‘freddò’ i contendenti. Tutti guardarono in direzione del rumore, che le raffinate orecchie dei predatori avevano percepito ben prima che l’aereo arrivasse a portata d’occhio.

Jon bestemmiò. Si distrasse.

Il pugnale di Faidara saettò. Jon ebbe giusto il tempo di scansarsi, prima che il braccio gli venisse sfiorato! Un rivolo di sangue corse lungo l’arto.

“Ma che peccato,” disse la donna, sarcastica. “Non potete rivelarvi agli umani, giusto? Un problema che per il Padrone non si pone!” Rise, un verso osceno ed echeggiante, e si allontanò a grandi salti.

L’aereo si avvicinava.

“La strega ha ragione,” disse Wulf. “Tutti via! Ma restiamo nei paraggi, dobbiamo proteggere l’Occhio!”

 

Rahne, ora nella sua forma umana, accusò la comunicazione e chiuse. Guardò verso l’angolo dell’appartamento, dove sedeva Jillgar, la sua armatura, ora trasformata in un perfetto simulacro d’ebano di lupo. Sapeva di potere contare su di essa, in caso di pericolo. Jillgar poteva muoversi autonomamente, come un robot.

Rahne non smetteva di meravigliarsi di fronte a quell’artefatto, antico forse quanto i primi degli uomini-lupo. Si sentiva protetta, in sua presenza; Jillgar era stata l’armatura di sua madre...

Nino mugolò. Aprì gli occhi, mosse la testa, gli occhi non ancora a fuoco.

Rahne passò un impacco fresco sulla fronte febbricitante. Fuori, l’aereo era ormai prossimo ad atterrare...

 

Nascosto dietro una lastra di ghiaccio, Jon ansava. La lingua gli spuntava leggermente dalla mascella.

Non era per la stanchezza. Il braccio ferito gli doleva, mentre avrebbe già dovuto essere guarito...E in quel frangente, con i pensieri sempre meno lucidi, continuava a pensare a Rahne –era una cucciola sveglia, in gamba...Ma cosa poteva fare, se Faidara attaccava, adesso?

 

Per conto suo, la donna, invisibile grazie ai sigilli di Thulsa Doom, seguì con ansia l’arrivo del bimotore DeHavilland Otter. Fin dalla sua posizione, poteva avvertire il vibrante fuoco vitale del pilota e dell’equipaggio.

Perfetto! Con i maledetti lupi costretti ad agire nell’ombra, il sacrificio ed il conseguente recupero dell’Occhio erano cosa certa! E se non avesse potuto avere gli uomini, avrebbe avuto il Sidar-Var...Con un po’ di pazienza...

 

Episodio 9 - Incontri alla fine del mondo

 

Set Atra-No, Antartide

 

All’interno del grande tempio, nel cuore della città-fortezza, il risorto Thulsa Doom osservava soddisfatto la figura raffigurata nella sfera di cristallo, sfera trattenuta fra le fauci di un serpente, serpente i l cui corpo era fuso con quello di un elaborato braciere.

La figura era femminile, vestita di nero, il volto un’ombra dentro il cappuccio oscuro. L’oscurità in lei era in qualche modo corrotta da qualche brandello residuo di purezza…Ma quest’ultimo particolare non faceva che renderla ancora più interessante. Fra le sue mani, reggeva un frammento semicircolare di pietra. Un frammento che il negromante Sacerdote di Set non stentò a riconoscere.

La luce delle orbite scintillanti del nudo teschio che era la testa di Thulsa Doom aumentò d’intensità dalla soddisfazione. “Una mortale così piccola che smania di gestire un potere così grande…Mia bella Darklady, plaudo la tua ambizione, ma questo mondo dovrà conoscere un solo Padrone, ed il suo nome è Set.

“Presto, gli Occhi del Serpente saranno miei, ed allora sarà mio piacere insegnarti una lunga e dolorosa lezione di umiltà.” La mano del negromante fece un cenno alla sfera, e Darklady fu sostituita da un’altra figura femminile. Era costei vestita di un’armatura dalle linee morbide come il corpo che copriva. Il suo elmo si allungava alle tempie in un paio di corna elaborate e dalle punte convergenti.

Generale Faidara, il momento è favorevole; i nostri nemici sono costretti a limitare i propri movimenti. Recupera il primo Occhio adesso, o la mia ira sarà la tua ricompensa!”

 

Ghiacciaio Perito Moreno, Parco Nazionale Los Glaciares, Patagonia, Argentina.

 

Il bimotore Otter DeHavilland atterrò con non poche difficoltà sul campo sferzato dal potente vento antartico. Teoricamente, l’aereo sarebbe dovuto giungere solo una volta che le condizioni meteo si fossero acquietate…Ma se una delle Guardie del Parco segnalava una possibile emergenza terroristi in quel santuario naturale, nessuno dei suoi colleghi si sarebbe permesso di ignorare tale chiamata.

Il portello si aprì ancora prima che i motori si fermassero, e tre guardie armate, nei loro parka, uscirono trafelate. Il radar non aveva mostrato estranei o velivoli non autorizzati nei pressi della stazione. Per quanto ne sapevano, il solo pericolo che li attendesse si trovava all’interno della stazione…

Dovettero cambiare bruscamente idea, quando un’enorme ascia bipenne piovve dal cielo, per piantarsi nel terreno a neanche un metro davanti a loro!

Il trio si dispose in formazione, i fucili spianati –non avevano mai dovuto sparare a qualcuno, ma speravano che questi misteriosi ‘terroristi’ non lo sapessero…

Poi, emersero dalla cortina di vento e ghiaccio polverizzato. Sulla pelle abbronzata di un fisico scultoreo, indossavano solo lo stretto necessario in capi di pelliccia grigia. Una mantella sempre di pelo copriva le loro spalle e schiene. la testa era protetta da un elmo cornuto non dissimile da quello degli antichi vichinghi. Al braccio sinistro, portavano uno scudo tondo coperto di pelliccia. Tutti erano armati con quelle temibili asce, e li fissavano con innaturali occhi di brace.

E li avevano circondati.

Le guardie credevano già di essere impazzite, quando arrivò l’ultimo frammento di quella visione –il Generale Faidara.

“Salute a voi, mortali,” disse la donna, con la voce vellutata di un demone tentatore. “Sappiate che il vostro arrivo è grande fonte di gioia, per il mio padrone. Dovreste esserne fieri.”

Le guardie non sapevano assolutamente cosa fare o come. Erano conigli in trappola, e lo sapevano!

Gli Esecutori avanzarono. Lentamente, senza togliere gli occhi da dosso alle loro prede. In quella tormenta, il suono dei loro passi era inaudibile, sembrava di vedere muoversi degli spettri!

La donna sorrise. Ora poteva percepire chiaramente il loro tonificante terrore. E questa volta, gli ancestrali nemici del padrone non avrebbero osato intervenire…

*!*

Fra le innumerevoli meraviglie del XXI secolo che la donna non aveva ancora visto, erano elencati i missili. Vedendoli arrivare dritti verso di loro, impiegò un momento quasi fatale prima di intuirne lo scopo! I suoi riflessi sovrumani le impedirono di essere colpita all’ultimo istante, anche se le esplosioni furono sufficientemente ravvicinate da scaraventarla a diversi metri di distanza.

Meno fortunati di lei furono due Esecutori, che tentarono penosamente di parare gli ordigni con gli scudi...ed essere ridotti a brandelli per il loro sforzo.

Faidara si rialzò in un momento. “Maledetti vigliacchi! Fatevi sotto faccia a faccia, da guerrieri come i vostri pulciosi antenati!”

“Se proprio ci tieni,” giunse la voce dalla cortina della tempesta...un attimo prima che il proprietario della voce, una figura coperta da un’armatura rossa e blu, saettasse all’attacco!

“No, non è possibile...” mormorò la donna, per poi urlare il proprio dolore, quando la spada laser colpì in un fendente dalla spalla all’addome! Il mistico metallo dell’armatura avrebbe potuto resistere all’attacco della luce coerente...ma questa volta il suo avversario aveva settato l’arma come spada laser neurale. La lama non intaccò la protezione della carne, ma la carne stessa. Il sistema nervoso sul percorso della lama fu praticamente cortocircuitato.

Faidara urlò, e cadde in ginocchio, a stento capace di respirare, il cuore impazzito, fegato reni e stomaco in subbuglio. Era mezza morta, ma ancora trovò la forza di levare il capo e di guardare il responsabile della sua disfatta. Possibile che il capobranco in persona, Sir Wulf, fosse stato davvero tanto pazzo, tanto incosciente da...

Lo vide, e capì.

L’armatura era quella, ma ad indossarla c’era un essere umano. Un esemplare d’uomo agile e robusto quanto il lupo, dai lunghi e folti capelli castani e gli occhi verdi –ma com’era possibile?! Sir Wulf era un vero lupo, per quanto antropomorfo, non un mannaro! Non poteva trasformarsi!

“Tsk tsk tsk,” fece una seconda voce. Anche il compagno di Wulf, Karnivor, si avvicinò. Anche lui indossava un’armatura, nel suo caso verde-smeraldo, e anche lui, anziché apparire nella sua forma animale, era un perfetto umano dai capelli rossicci.

Arrivarono anche gli altri membri del branco: Jon Talbain, nella sua forma umana –e lui era un licantropo, poteva farlo anche se doveva soffrire non poco il terribile gelo. Tyr, l’Asgardiano Dio della Guerra nella sua corazza oro e blu. E il Predatore nel Buio, l’unico a mantenere la sua massiccia forma naturale coperta di pelo argentato.

Karnivor sorrise. “Conoscevo questo trucchetto da quando me la facevo con Adam Warlock. Il tuo potente padrone dovrebbe informarsi meglio.” Fece scattare la mano alla gola di lei, e la sollevò come una bambola, strangolandola lentamente. “Addio, Generale. E’ stato un piacere...per noi.”

Una torsione del polso, un suono secco, e la donna divenne un pezzo di carne inerte. I suoi Esecutori scomparvero, sbiadendo come miraggi.

“E anche questa è fatta,” disse Sir Wulf, mentre Karnivor gettava via il cadavere. Il capobranco si rivolse ai tre uomini. “Credo che vi dobbiamo delle spiegazioni, signori...Se in cambio ci concederete asilo per permetterci di curare il nostro compagno,” e indicò Jon, che si stava appoggiando a fatica al Predatore, reggendosi il braccio che mostrava una vistosa ferita infiammata.

 

L’ultimo membro del branco, Carlos Lobo, nella sua forma lupina, restò in disparte, nero spettro nella candida neve, le mani strette a reggere la possente Unigun.

Nessuno, tranne lui o un mistico, avrebbe potuto vedere il fantasma in piedi al suo fianco.

°E’ meglio così, hermano, credimi,° disse Eduardo Lobo, lo spirito del defunto fratello. °Anche nella tua forma umana, eri troppo riconoscibile.°

“Lo so, fratello mio. Ci vorrà molto tempo, prima che il sangue usato per scrivere la fama dei Fratelli Lobo possa essere mondato...Spero solo che non ci mettano molto: non ho mica il pelo lungo, io...”

 

“JON!”

Ad accoglierli all’interno della stazione, il gruppo trovò una ragazza, una giovane non ancora matura, dai corti capelli rossi. Alla vista del ragazzo ferito, lei si precipitò a sostenerlo. “Dio, dimmi che...” poi si accorse dei tre umani mescolati ai suoi amici. Soffocò ogni altra parola sul nascere, e portò il giovane verso l’infermeria. Uno degli uomini si tolse il cappuccio e gli occhialoni, e seguendola, disse, “Ragazza, come sta Nino?” ma avrebbe potuto stare parlando ad un muro, per l’attenzione che lei gli dedicò.

L’uomo –capelli neri corti, rughe da ghiaccio e sole dipinte come una ragnatela intorno agli occhi grigi, barba di due giorni- ebbe comunque la sua risposta, nel vedere Nino Rubeno sdraiato su una delle brande. Il povero ragazzo era ancora molto pallido, ma il ritmo regolare del suo petto suggeriva un sonno tranquillo.

Rahne Sinclair fece sdraiare Jon, che ormai rabbrividiva, il corpo coperto di una patina di sudore congelato. Gli accarezzò il volto, desiderando fortemente di potere assumere la forma lupina e leccarlo per ripulirlo. Invece, iniziò a preparare freneticamente delle pezze di spugna e a riempire una bacinella –grazie al cielo, stando fra i vari X-gruppi aveva imparato la preziosa arte dell’infermeria! “Cosa gli è successo? Che gli hanno..?”

“Veleno magico,” disse Tyr, cupo. “La fellona ha infettato i suoi fluidi vitali. Dobbiamo conferire con il sire di codesto giovane, per sapere il da farsi.”

Rahne annuì...e sobbalzò, quando una mano le afferrò il braccio. “Jon? Non agitarti, ti prego...” tenendogli una mano dietro la testa, iniziò a tergere il volto con una pezza.

“Nessuno...può...” la sua voce era un bisbiglio. I suoi occhi erano arrossati, le pupille dilatate. “Solo tu...puoi...Mia amata...”

Quasi le sfuggì la pezza di mano. Una parte di Rahne volle pensare che era solo la febbre, a parlare. L’ultimo maschio che aveva pronunciato quella parola per lei era stato Hrimhari, il Principe dei Lupi di Asgard...Tanto tempo fa, un mondo fa...

Ma era anche vero che c’era qualcosa che lei provava, per questo giovane mannaro di poco più anziano di lei...Così tanto tempo che non osava aprirsi a qualcuno...qualcuno della sua gente...

 

Nella sala da pranzo della stazione, i rimanenti membri del branco e due delle guardie sedevano intorno a un tavolo. La terza, una robusta donna dal volto fermo, i capelli biondi e gli occhi azzurri come il ghiaccio, era intenta a preparare un caffè –più per riprendersi dal racconto di Sir Wulf che per quello che avevano appena passato.

“Insomma,” disse il secondo uomo, un individuo che sembrava la fotocopia al maschile della bionda vikinga, “voi siete qui per difendere questo...talismano. Ora, nessuno di noi ci capisce un’acca di stregoneria e demoni, ma sappiamo solo che vi siamo enormemente grati per averci salvato la buccia, e quella di Nino.

“Permetteteci una domanda, però: cosa impedirà a quei pazzi furiosi di saltarci addosso non appena voi eroi ve la sarete squagliata?”

La donna servì il caffè, e prese posto al tavolo. “Potremmo chiedere aiuto al Worldwatch o ai Vendicatori, o ai Fantastici Quattro, Karl. Insomma, è gente che ha salvato il mondo. Sicuramente loro potranno sistemare questo ‘Thulsa Doom’, no?”

“Non sarà necessario,” disse Karnivor, sporgendosi in avanti. “Abbiamo un amico capace di arrivare fino all’Occhio e recuperarlo.” Fissava gli umani negli occhi, non nascondendo il proprio disprezzo. Wulf dovette dargli un calcetto alla caviglia per chetarlo.

“Fate come volete,” disse Karl Svjordsen con una scrollata di spalle. “Piuttosto, quello non è il Predatore nel Buio?” indicò il suddetto, che come un cane da mezza tonnellata, stava sdraiato in un angolo, vicino alla stufa. Nonostante la sua posa rilassata, due preoccupanti paia di canini sporgevano dalla mascella superiore ed inferiore, stuzzicando alquanto l’istinto di sopravvivenza. Al sentirsi nominato, il Predatore emise uno sbuffo.

“Ero in vacanza a New York,” proseguì Karl, “quando quel pazzo milionario di Ronald Parvenue lo espose davanti a Times Square[xx] come preda di caccia. Se l’era squagliata dopo un attacco di qualche terrorista mutante, e non se ne seppe più nulla...Adesso è sotto controllo, giusto?”

Tyr se la rise di gusto. “Tranquillo, mortale! Il Predatore è pericoloso solo per i suoi nemici...come invero lo siamo noi!”

Sofia Svjordsen fissò incuriosita la nera zampa di lupo che sostituiva la mano destra del Dio. “Tyr...quella è la zampa di Fenris, giusto? Che buffo, nessuno dei tuoi ritratti ti raffigura con essa addosso.”

Tyr fece una smorfia, accarezzandosi l’arto. “Un mero memento del sacrificio che feci per salvare la mia gente...Quasi non credevo che ci fossero dei mortali che ancora ricordassero il mio nome e la mia impresa.” Le sue parole potevano essere amare, ma la gioia nei suoi occhi era sincera.

In risposta, lei indicò una serie di libri, tutti sul folklore e la mitologia dei paesi scandinavi, ordinatamente disposti su uno degli scaffali a muro. “Viviamo qui per la maggior parte dell’anno. Nelle giornate come questa, un po’ di studio è un toccasana. Piuttosto...”

Furono tutti distratti, per un attimo, dal suono della porta dell’infermeria chiudersi.

 

Ormai, il tempo era peggiorato al punto da rendere a dir poco arduo il solo camminare. Tutte le tracce della battaglia erano state cancellate. La neve aveva ferocemente reclamato il suo dominio ancora una volta.

Per Lobo non era più un problema. Una volta scomposta l’Unigun in armatura, aveva scoperto di potere attingere alle sue pile nucleari per riscaldarsi. Il mutante aveva approfittato del tempo libero per riflettere di varie cose...fra cui un nuovo nome in codice. Se continuava ad usare il nome proprio, non avrebbe neppure cominciato ad affrancarsi dal suo passato di pluriomicida...Ma come poteva chiamarsi? Niente a che fare con il lupo, ovviamente; troppo prevedibile! Dunque...lui era tutt’uno con lo spirito di suo fratello, giusto?

Anima? No, troppo femminile! Animus? No, troppo scemo! Spirito...Fantasma...Spettro! Sì, El Espectro suonava bene, faceva paura ma sapeva di soprannaturale, niente a che vedere con*

Il vento ululava al punto da rendere sordo un uomo, ma ci voleva ben altro per il nero mannaro. Le sue orecchie fliccarono in direzione di un suono di passi. Allo stesso tempo, una specie di brivido gli percorse la schiena. Per la prima volta dopo tanto tempo, il mannaro provò paura. Una sensazione ancestrale, qualcosa che andava più a fondo delle sensazioni causate da loro padre, quando questi era sbronzo e desideroso di sfogare la sua follia su due bambini innocenti...

Eduardo apparve al suo fianco. °Dobbiamo chiamare gli altri! Avverto la potenza di questo nuovo essere; è senza dubbio un altro Generale.°

El Espectro si mosse con cautela lungo la sua posizione fra le rocce, e si sporse ad osservare il nuovo arrivato...

 

La sua gente.

Perché non ci aveva pensato prima? Lei era una Tuatha da Danann per parte di madre, e sicuramente qualcuno dei suoi...simili sapeva come curare Jon. Dovevano saperlo. Non osava pensare all’alternativa..!

Nel suo letto, Jon Talbain taceva, ormai preda di uno stato semicomatoso, i capelli neri e bianchi ridotti a una massa scomposta. Il suo petto si sollevava ed abbassava ad un ritmo irregolare...

Rahne si avvicinò ad un angolo della stanza. Allungò una mano verso la parete, e allo stesso tempo l’aria davanti a lei tremolò e prese la forma dell’armatura vivente Jillgar, assemblata nella sua forma di lupo, seduta, in attesa.

Rahne afferrò gentilmente il ciondolo che pendeva dal collo di Jillgar. L’elaborata pietra di ambra e ardesia a testa di lupo brillava di una luce propria di mille colori. Rahne la osservò, perplessa. L’ultima volta che lo aveva visto, il ciondolo era un diamante rotondo...

“Ne puoi vedere finalmente la sua vera forma, perché ora sei pronta ad indossarlo, figlia mia.” La voce era gentile, calda, femminile.

Rahne emise un gemito strozzato, e ancora una volta il suo cuore si riempì di gioia, nel vedere

la donna. Una figura allo stesso tempo delicata e regale, maestosa. I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle, folti e morbidi, e dello stesso intenso colore di quelli di Rahne. Anche gli occhi verdi e gentili accomunavano madre e figlia.

“Mamma...”

L’evanescente spirito, sospeso sopra l’armatura, disse, “Nel talismano vive l’antica magia che i Sacerdoti forgiarono a sigillo del Patto, quando iniziò la lunga Era della Caccia. Questo potere può assistere te ed i tuoi compagni di branco nei momenti più difficili...ma saperlo, poterlo usare dipenderà da te, figlia mia. Come ora.

“Sai cosa sente il tuo cuore per il tuo compagno. Accettalo, focalizzalo per espellere il male dal suo corpo. Rendimi orgogliosa di te, figlia. Rendi orgoglioso il Popolo.”

 

Il nuovo Generale era un uomo. Una figura robusta come quella di un Esecutore. Indossava una massiccia armatura che lo ingigantiva ulteriormente, un’armatura di un nero totale, privo di qualsivoglia riflesso, come se fosse stata ottenuta modellando il cuore di un buco nero. Intorno alle sue gambe, la neve si ritirava, come se la purezza non osasse farsi contaminare dall’abominio che osava calpestarla...

Si fermò. Sotto l’elmo, il volto dalla pelle scura sorrise, rivelando una fila di zanne triangolari, da squalo.

Il Generale si inginocchiò sulla neve, ed abbassò un braccio. La neve si allontanò dall’arto, e presto l’inerte figura di Faidara fu riportata alla luce. “Ahh, povera sciocca...” disse, e la sua voce era un distillato di crudeltà. “Sei sempre stata una testacalda, Faidara. Se il Padrone dovesse contare solo su quelli come te, la vittoria sarebbe ancora molto lontana.”

Abbassò ancora il braccio, e la mano scomparve nella schiena...Poi lo ritrasse con uno scatto, e nel pugno serrato brillava ora una malsana luce verdastra. Allo stesso tempo, il corpo della donna scomparve; al suo posto, ora c’era uno scheletro sbiancato.

Il Generale si alzò in piedi. “Ed ora, poniamo fine a questa ignobile farsa.” E si diresse verso la stazione.

Con un tremendo ruggito di sfida, Carlos balzò fuori dal suo nascondiglio. Non pensò neppure di usare le armi dell’armatura –ogni sua cellula gridava di squartare questo nemico con le zanne e gli artigli, ed era quello che avrebbe fatto!

Il Generale non si degnò neppure di rallentare o voltare la testa. Lobo gli era quasi addosso...quando, dal nulla, intorno a lui, apparvero gli Esecutori. Questi non erano però barbari guerrieri, bensì brume. Spiriti coperti da laceri, ampi sudari neri, il corpo composto di gelo ed oscurità..

Per quanto si agitasse e colpisse, el Espectro non faceva che affondare i colpi nell’intangibile, ma la presa del nemico era solida, ed il loro altrettanto gelido tocco affondò nell’anima del mannaro.

 

Improvvisamente, il gruppo degli eroi si era come irrigidito, le loro espressioni perse come in un lungo momento di estasi spirituale. E tutti, compreso il Predatore, guardavano verso la porta dell’infermeria.

“E adesso, cosa diavolo gli prende a questi...” fece Franco Salinas, fissandoli con un misto di curiosità e preoccupazione.

“Mi venisse un colpo se lo capisco...” fece Sofia. “Cose da super-eroi, immagino, ma mettono i brividi. Sembrano fatti di Crack.”

Fortunatamente, tutti i presenti erano ancora abbastanza lucidi da non mettersi ad ululare di gioia –era la prima volta, che avvertivano così distintamente il potere dell’antica magia del Patto. Se glielo avessero chiesto, nessuno di loro avrebbe saputo dirlo, ma nei loro geni correva la memoria atavica di quel Patto, di quel sodalizio che servì a prevenire l’estinzione del Popolo...Perfino Fenris, nascosto dentro Tyr, lo sentiva, e tale era la sua influenza da distrarre il Dio...

 

Rahne reggeva la testa di Jon fra le mani. Un’aura di mille colori univa le due giovani figure.

Non era il momento di pensare, di ragionare, di complicare una cosa così semplice e meravigliosa.

Lei lo amava. Avrebbe dato la sua vita per lui. Aveva fatto una scelta dal momento in cui aveva deciso di combattere al suo fianco. Non importava quali e quanti sacrifici avrebbe dovuto fare, questa volta non avrebbe permesso alle sue paure di avere la meglio.

Sotto il suo tocco, la febbre iniziò a scendere. La ferita iniziò a rimarginarsi...

Poi, l’ululato quasi riuscì a spezzare la sua concentrazione!

 

Fu come un colpo di frusta!

Lobo!” fece Sir Wulf, scattando in piedi. “Pack, pronti a*”

L’intera parete nord della stazione esplose verso l’interno! La tempesta irruppe con tutta la sua forza...insieme al nemico.

“Salute, guerrieri. Io sono il Generale Nacrom, Condottiero della Morte. Sono qui per porre fine alla vostra risibile interferenza.”

Gli umani erano ancora coscienti, anche se escoriati a vari stadi. Il Pack era già pronto a combattere.

Nacrom guardò verso Sofia. “Bene bene, ancora viva, mortale. Non puoi immaginare quanto piacere mi faccia. La tua energia vitale ci risparmierà non poca fatica. E per quanto vi riguarda, guerrieri, perché non ci affrontiamo senza inutili maschere?” Fece un solo cenno, e la magia fece impazzire i sistemi meccanici delle armature di Wulf ed Karnivor.

E gli umani videro i loro salvatori per la prima volta. E ne furono terrorizzati, se il loro volto e il loro odore non mentivano.

Nacrom approfittò di quella distrazione. Tese il pugno che reggeva la luce verde. Lo aprì, e la sfera luminosa saettò verso Sofia!

Fu semplicemente troppo veloce per essere fermata. La donna fu colpita al petto, e barcollò all’indietro come fosse stata colpita da un proiettile. La luce si fuse in lei, si diffuse in lei. Sofia ansimò come fosse stata sottoposta ad una fatica improba...poi si piegò in due, gridando il proprio dolore!

Sofia!” Karl corse verso di lei, ma quando le fu abbastanza vicino da prenderla per le braccia, un pugno corazzato lo colpì in pieno volto. Karl cadde a terra, privo di sensi.

Si rialzò in piedi. Non Sofia, ma Faidara.

“Così va meglio,” disse Nacrom. “Adesso, cosiddetto ‘Power Pack’, pensate ancora di potere vincere, se questo significasse la morte di un’innocente?”

 

Episodio 10 - Un seme di speranza alla fine del mondo

 

: Hanno dei nomi, ma nessuno osa solo pronunciarli, ormai. Essi sono gli ultimi rappresentanti viventi dei Figli degli Dei. Il loro potere trae origine da tempi dimenticati in cui i mostri calcavano la Terra. Sono sopravvissuti alla lunga Era della Caccia, la loro ferrea volontà ha permesso, alla fine, di riorganizzare le varie razze dei lupi mannari in comunità perfettamente mimetizzate nella preponderante società umana.

Sono i Consiglieri del Popolo. La massima autorità, i legiferatori assoluti. Loro compito è altresì aiutare i Sacerdoti umani nella protezione del Popolo dalle minacce di portata maggiore.

Fino a quel momento, in tale prospettiva, nulla poteva essere peggio della loro antica nemesi, il negromante Thulsa Doom, che il Popolo combatteva da molto prima della prima emersione di Atlantide.

Oggi, i Consiglieri avevano appena scoperto di essersi sbagliati.

Sedevano in cerchio, nella posizione del loto, vestiti delle loro ampie tonache rosa e viola, nel mezzo di una stanza oscura, illuminati ognuno da una propria aureola:

-        L’Anziano dalla pelliccia d’avorio, la fronte coperta da una placca di osso, e un paio di prominenti baffi e pizzetto alla mandarina.

-        Ku’rrja, la femmina dalla rossa pelliccia.

-        Slajshe dal pelo del color dell’acciaio.

-        Darika, femmina oscura e tenebrosa come il suo manto d’ebano.

In mezzo a loro, si levava una colonna di fumo limpida come l’acqua stessa. E fra quei trasparenti fumi, stava la figura di una donna, una creatura vestita di nero e dal volto incappucciato nelle ombre di una nera maschera. Accanto a lei, che reggeva un cilindro di pietra, volteggiava come dotata di vita propria la familiare Cappa delle Ombre.

Darklady ha quasi portato a termine la sua opera[xxi],” disse l’Anziano. “Le barriere stanno per cadere. Il Limbo sta per invadere ancora una volta questo piano.”

“Oh, la somma ironia,” disse Slajshe, il cui muso sembrava essere stato scolpito in un ghigno di perenne disprezzo. “Potremmo presto disporre dello strumento per fermare l’invasione, e non potremmo usarlo.”

“Se così sarà,” aggiunse Ku’rrja, “allora dovrà essere nostra cura assicurarci che l’unico in grado di usarlo lo faccia. A qualunque costo. Oppure ogni nostro sforzo sarà vanificato.”

“Ansiosi di cacciare il cervo quando ancora dovete prendere il topo?” fece Darika, le cui zanne sul muso nero erano un perenne sorriso sfottorio. Fece un gesto.

L’immagine di Darklady svanì, per fare posto a quella di una ragazza dai biondi, lunghi capelli, vestita solo di una lunga veste semitrasparente. Fra le mani, il solo braccio destro coperto di un’armatura argentea, impugnava un’inconfondibile spada dalla lama fiammeggiante.

Darkchilde,” disse Darika, pronunciando uno dei nomi più temuti ai praticanti delle arti arcane. “Anche se si fa chiamare Magik, ed è convinta di essere solo una mutante, è l’incarnazione vivente della Spada dell’Anima. Presto tornerà a nuova vita, e può essere la risposta all’imminente crisi.

“Sappiamo come Darklady intende agire, sappiamo quali sono gli effetti della sola presenza del Limbo su questo piano: affianchiamo alla ragazza qualcuno in grado di aiutarla. Qualcuno insensibile a quegli effetti. E avremo topo e cervo in una sola battuta.”

L’Anziano annuì. A un suo cenno, ancora una volta le immagini della colonna di fumo mutarono. Questa volta, mostrarono una specie di titanica onda d’acqua fermata al suo apice in un muro di abbagliante ghiaccio. “Sono d’accordo. Pensiamo innanzitutto a evitare che la corrente crisi degeneri a favore della nostra nemesi. Concentriamo la nostra volontà contro il Malefico, ora che non è ancora in piena forma, così che non osi muoversi dalla sua tana per intervenire personalmente nel conflitto.”

 

Ghiacciaio Perito Moreno, Parco Nazionale di Los Glaciares, Patagonia, Argentina

 

Prima di morire, ti passa la vita davanti agli occhi. O così dicono.

Karl Svjordsen vide solo sé stesso ragazzo prendere la laurea in geologia, primo passo di una promettente carriera insieme a sua sorella Sofia, che nello stesso periodo si era laureata in biologia. Discipline diverse, ma uniti da un sogno: fare qualcosa per i tesori incontaminati di questo mondo tormentato.

La scelta del Perito Moreno era giunta dopo un’intensa gavetta, durante la quale avevano fatto esperienze sufficienti a bastare per una vita. Erano convinti di essere ferrati a tutto, persino in quella era di ‘Meraviglie’. Pensavano, onestamente, che i famigerati mutanti fossero effettivamente ingiustamente perseguitati per le colpe di pochi di loro...

Ma Karl Svjordsen si era sbagliato. La sua mente non era ancora pronta a questo. Lui e sua sorella erano stati testimoni delle Meraviglie. Non si aspettavano di diventare parte di quegli eventi.

 

Nella stazione delle guardie del Parco Los Glaciares, Karl era prigioniero di una morsa di puro terrore, terrore, ironicamente, verso coloro che avrebbero dovuto stare fra lui e una fine atroce. Come già era successo[xxii].

La sua mente raziocinante urlava di ignorare la paura. Era solo una deformazione culturale –diavolo, c’erano supercriminali infinitamente peggiori di un branco di lupi mannari.

Eppure, l’uomo non poteva farci niente. Persino la drammatica trasformazione di sua sorella era più accettabile di quelle creature pronte a battersi a sangue per proteggerli.

Sua sorella. Trasformata in una donna sconosciuta, dalla carnagione olivastra, vestita da un’armatura d’argento che in qualche modo esaltava le sue già generose forme. Il suo elmo si allungava in due corna minacciose. I suoi occhi erano due pozze malevole. In quel momento, stava reggendo il povero Karl come una bambola, fissandolo con una brama che gli fece temere per la propria vita.

E persino quella visione era nulla, in confronto al mostro in armatura nera. Oh, sembrava umano, anche se era massiccio come Hulk Hogan, ma il suo sorriso era una fila di zanne da squalo sotto occhi rosso-sangue affamati come quelli della donna che era stata chiamata Generale Faidara.

E allora, perché Karl Svjordsen continuava ad avere paura dei suoi salvatori? E la cosa più assurda era vedere che il suo amico e collega Franco Salinas, stretto fra le mani ursine dell’uomo in nero, nei suoi occhi, condivideva quel sentimento!

 

Il vento gelido dell’eterno inverno di quei ghiacciai entrava attraverso lo squarcio che era stata la parete della stazione.

“’Se questo significasse la morte di un innocente’?” fece il lupo antropomorfo rosso. Il suo ghigno guerriero non era da meno, in ferocia, del mostro nero che si era fatto chiamare Generale Nacrom. “Questo conferma quanto siate deboli, Generali. Avete solo questi ostaggi...Poi, non ci sarà nulla fra voi e noi. Cosa farete, allora?”

Salinas non aveva dubbi, sulle parole dell’animale –qualunque fosse la ragione di quella battaglia, le Guardie del Parco erano pedine sacrificabili!

Fu un momento. Una frazione di secondo, che nessun occhio umano avrebbe saputo percepire. Una brevissima esitazione da parte sia di Faidara che di Nacrom, le cui antiche memorie si perdevano in tempi in cui tale era il senso dell’onore dei loro nemici, che un simile sviluppo non era neppure contemplato.

Naturalmente, il Predatore nel Buio non era umano. Nel tempo che occorse a Faidara per contemplare la possibilità di un bluff, entrò in azione! Nacrom era il più vicino, e la massiccia creatura dall’argentea pelliccia lo colpì a una velocità impossibile. L’armatura fu squarciata all’altezza del fianco con un solo colpo!

Nacrom urlò, più per la sorpresa che il dolore, e lasciò andare Franco Salinas. “Bestia schifosa, ti*” non aggiunse altro, perché si trovò avvinto da una ragnatela di metallo dorato!

“Agitati quanto vuoi, fellone!” disse Tyr di Asgard, i filamenti dorati protesi dal braccio che terminava in una nera zampa di lupo. “Gleipnir può trattenere lo stesso Fenris!”

Faidara scelse quel momento, per decidere un diverso corso di azione. In altre parole, tenendo stretta a sé il povero Karl, saltò attraverso la vicina finestra già distrutta dal precedente attacco.

Almeno, ci provò.

Un familiare nunchaku si avvolse intorno alla sua caviglia, e la trascinò all’indietro! La donna perse la presa sul suo ostaggio, mentre ricadeva goffamente sul fondoschiena. Si riscosse dallo stupore giusto il tempo di sentire le sue speranze morirle dentro. “Oh, no.”

“Oh, ,” ringhiò dalla porta dell’infermeria Jon Talbain, tornato a nuova forma, il torso nudo gonfio della sua rabbia. Accanto a lui stava la figura di Wolfsbane, anche lei vestita di una robusta armatura nera, ma in foggia lupina.

Jon stava facendo roteare la sua arma fra torso e spalle, facendole accumulare momento. “E questa volta, mi assicurerò personalmente che tu resti morta!” il nunchaku scattò come il fulmine; la punta della sua estremità rotante si aprì in una rosa di lame con un cono aguzzo al centro...

Sorella, no!

Incredibilmente, la punta letale si fermò ad un capello dal suo obiettivo.

“Che cosa?” fece Jon. “Lei è*Huff!*” Un colpo di energia allo stomaco lo proiettò all’indietro contro il muro.

“Non fatele del male!” Karl si mise davanti a Faidara, le braccia spalancate a offrire sé stesso come bersaglio. “Per favore, lei è tutta la famiglia che*urk!*”

“Commovente,” disse Faidara, afferrandolo fermamente per il collo. “Dunque, dov’eravamo rimasti, branco?” Un suo cenno, e il pavimento esplose.

E ne emersero gli esecutori di Faidara -esseri non-vivi scolpiti nella roccia trasmutata in carne coperta di metallo e armati di scudi impellicciati e mostruose asce bipenni.

Il branco fu circondato. Le sorti erano di nuovo rovesciate!

 

All’esterno, un altro membro del Power Pack, un mannaro dal pelo nero-bluastro, stava lottando per la vita. Si chiamava Carlos Lobo, o, meglio, El Espectro, come si era ribattezzato.

Contro di lui, si agitava un gruppo di oscure creature simili, ironicamente, a fantasmi a loro volta, vuoti stracci incappucciati e laceri gonfiati dal gelido inverno; le Brume di Nacrom.

Il primo round era stato loro. Il loro gelido tocco lo aveva colpito nel suo stesso spirito...Ma ci voleva ben altro, per finire un Hermano de la Luna!

L’armatura era stata abbandonata sulla neve –non solo un ingombro ai suoi movimenti, ma perfettamente inutile contro le Brume...Mentre molto potevano gli artigli astrali dello spirito di Eduardo Lobo, che possedeva il corpo del fratello.

Una seconda Bruma cadde sotto i colpi di Espectro...Ma il trionfo fu di breve durata, perché altre due si erano avvinghiate a lui con mani di gelo puro. Carlos serrò i denti per il dolore, ma questa volta non ululò.

Anche perché la sua attenzione fu canalizzata dalla tremenda esplosione che distrusse l’intera stazione!

 

“Bah! Basta giocare!” esclamò Karnivor.

Incredibilmente, nonostante quella tremenda dimostrazione del fuoco psichico che fortificava colui che un tempo era l’Uomo-Bestia, i protagonisti di quel dramma erano ancora in piedi! L’esplosione aveva semplicemente tolto ogni costrizione all’azione. In uno spazio aperto, adesso, il Pack sarebbe stato in deciso vantaggio.

Purtroppo, dava anche spazio di fuga a un certo Generale. “Hai ragione, bestia! Preoccupatevi di sopravvivere, mentre recupero ciò che è del Padrone!” ridendo, con un solo salto, ancora tenendo a sé Karl, Faidara si portò via.

Tyr strattonò Gleipnir. Nacrom quasi volò in avanti.

Fu il capobranco in persona, Sir Wulf, a spezzare il suo volo. Colpì il Generale con un colpo secco della sua spada di energia. La lama neurale trapassò Nacrom all’altezza del cuore, mentre Gleipnir lasciava la sua preda.

Teoricamente, come era già successo con Faidara[xxiii], l’arma avrebbe dovuto cortocircuitare il sistema nervoso centrale del Generale, in questo caso uccidendolo.

Il corpo massiccio si irrigidì sotto quel colpo, vero...ma un attimo dopo, Nacrom levò la testa. Ghignando.

Due mani come tagliole si chiusero sulla gola di un esterrefatto Sir Wulf, che un attimo dopo già rantolava nella morsa. “Stupido animale! Io sono la morte che cammina, ci vuole ben altro che un giocattolo, per ferirmi!”

Si accorse di una specie di fiamma bianco-azzurra diretta verso di lui giusto il tempo di esserne colpito al volto! E questa volta, il dolore che provò fu reale, mentre veniva sbalzato via!

Jon Talbain terminò il calcio volante con capriola atterrando sul piede ancora acceso del mistico fuoco. Un momento dopo, proseguì l’attacco saltando nuovamente. Si raccolse su sé stesso, iniziando a roteare e a metà salto il suo intero corpo si accese di quello stesso fuoco. La sua velocità aumentò.

Tutto avvenne in un momento. Prima ancora che Nacrom avesse toccato terra, la cometa lupina lo colpì in pieno! Il fuoco azzurro si trasmise a Nacrom, facendolo nuovamente urlare, mentre scivolava impotente sul ghiaccio!

Jon si buttò su di lui.

 

Finalmente, giunse dove tutto era iniziato. Se possibile, il vento si era fatto ancora più gelido e intenso, come se il cielo stesso volesse contribuire a ritardare il male che stava per compiersi.

Ma Faidara non poteva curarsene di meno. Appena giunta di fronte alla base del Perito Moreno, lasciò andare la sua preda. “Per colpa vostra ho perso già abbastanza tempo!” sibilò. “Se non mi servissi come ostaggio, avrei già bevuto la tua energia vitale...Il Padrone mi strapperà il cuore, ma almeno l’Occhio di Set sarà suo!”

Karl la osservò gesticolare verso la parete di ghiaccio. Il Padrone...un essere chiamato Thulsa Doom, un nemico vecchio come il mondo, secondo le parole di quei...licantropi...

Ma che cavolo gli stava prendendo? Bastava pensare alla parola, per sentirsi la mente di gelatina! “Sofia...Ti prego, non farlo...” Ma era anche vero che quella creatura emanava un male capace, ironicamente, di vincere quel misterioso terrore ancestrale. “Sofia...”

E lei si voltò a guardarlo...ma senza che l’oscurità vacillasse in quegli occhi malevoli. “Tua sorella è solo un guscio, ometto. Piantala, o correrò il rischio di ucciderti. La mia concentrazione deve essere totale.” E riprese a volgersi alla parete.

 

“Anima mia! Stai..?” La determinazione di Karnivor si era trasformata in una maschera di angoscia per il suo compagno. Purtroppo, con due esecutori addosso, non poteva fare più che stare sulla difensiva.

Sir Wulf ansimava, la lingua penzoloni da un lato, ma teneva testa a sua volta ad un altro esecutore –fortuna voleva che il bruto compensasse la sua forza devastante con attacchi goffi, facilmente evitabili dall’agile lupo castano. Stupido! Si rimproverava Wulf, parando l’ennesimo colpo. Sono stato uno stupido a sottovalutare così un nemico! Da un capobranco, questi errori non possono essere commessi! “Sto bene, amore! Il collare dell’armatura mi ha protetto dal peggio della presa! E ora piantala e combatti!

Amore. Quella sola parola portò i pensieri di Wolfsbane a Jon, e raddoppiò la sua forza nel respingere gli attacchi degli esecutori. Fino a quel momento, aveva deciso di non testare la forza della sua armatura, ma ora...Ora si gettò in avanti!

L’ascia bipenne colpì la testa –un colpo che la licantropa scozzese nella sua ‘forma estrema’ avvertì...ma solo perché fu vibrato con tale forza che la lama si infranse sul nero metallo! Invero, non un graffio fu causato all’elmo.

Wolfsbane vibrò un fendente con gli artigli. L’esecutore urlò, prima di sbriciolarsi nella roccia di cui era fatto.

In quel momento, il Predatore nel Buio assunse il controllo della sua fetta di battaglia. Come graffi di un gatto titanico, diverse strisce scarlatte correvano lungo i suoi fianchi, ma erano stati solo dei colpi fortunati –o un tributo dovuto, visto che si batteva da solo contro cinque!

Il massiccio guerriero afferrò il braccio di un nemico, e lo usò a mo’ di mazza contro altri due! Tutti e tre si infransero in una tempesta di polvere di silicati.

Poi, il Predatore saltò. Un salto alto, che, teoricamente, diede agli esecutori tutto il tempo di prepararsi a ricevere ad armi spianate il nemico...

Furono smentiti quando due fulminei colpi di artiglio li fecero a pezzi!

 

“Se l’hai uccisa, allora dovrai uccidere anche me,” Karl estrasse una pistola dalla fondina allo stivale, e la puntò senza esitare. Il freddo era tremendo, ma ormai lui non lo sentiva. Sentiva solo il terribile dolore interiore per il destino di sua sorella.

Non aveva esagerato, quando si era messo fra lei e i lupi, per proteggerla. Con la morte dei genitori, senza altri parenti in vita, Sofia era tutto quello che gli rimaneva. E se quel corpo non possedeva altro che l’anima nera di quel demone femminile...

Faidara lo ignorò. Il suo corpo splendeva di energia arcana, energia pronta ad essere liberata con un solo colpo che avrebbe sbriciolato il ghiacciaio fino all’Occhio di Set sepolto sotto di esso...

Karl Svjordsen, le lacrime trasformate in ghiaccioli sulle sue guance, sparò. Pregando in un colpo pulito, rapido.

Il proiettile esplose contro l’aura di energia, all’altezza della tempia di lei. Ruppe la concentrazione. Di nuovo.

L’aura si dissolse. Faidara urlò la sua frustrazione! Si voltò. “Tu, inutile essere! Per questo affronto, morrai!”

Karl sostenne l’odio di lei, senza abbassare la pistola...Un attimo prima che una mano afferrasse il polso che la reggeva. Una semplice pressione, e le ossa furono frantumate!

Ma Karl Svjordsen non urlò. Serrò i denti, ma sostenne ancora lo sguardo. “Sofia...”

Fu sollevato per il collo.

“Muori!” sibilò lei.

 

“Ti stai già stancando, lupetto?” fece Nacrom, ridendo. Poteva essere costellato di ferite, ma stava in piedi, e lanciava colpi di energia

che Talbain evitava con un sempre maggiore dispendio di energie. Il suo vantaggio si era praticamente eroso contro la stazza del nemico. Rahne, la sua dolce Rahne, lo aveva guarito, ma avrebbe dovuto riposare di più. Non andava bene, per niente bene!

Era ora di smetterla di agire in modo prevedibile!

Dopo avere evitato un altro colpo mistico, questa volta Jon compì un salto alto. A mezz’aria, al vertice della parabola, unì i nunchaku a formare un unico bastone. Poi, l’arma si allungò telescopicamente.

Ricadendo, Jon tenne il bastone davanti a sé, e lo fece roteare, usandolo come scudo per disperdere i colpi mistici mentre piombava sulla sua preda!

Purtroppo, Nacrom non era un impetuoso come Faidara. Sapeva di avere a che fare con un nemico preparato, e reagì di conseguenza...

In altre parole, anziché finire contro Nacrom, Jon si trovò afferrato da una moltitudine delle sue Brume!

 

Uno sparo.

Inaspettato. Totalmente.

Sangue zampillò dalla coscia di Faidara, mentre lei lasciava andare la sua preda. Il Generale era troppo sorpreso persino per mettersi a urlare il suo dolore. Sollevò lo sguardo verso chiunque avesse osato un simile affronto in quel delicato momento..!

“Te lo dovevo, puta,” Nino Rubeno stava davanti a loro, il fucile spianato. “Mi hai spaventato una volta, ma non attacca più.” Sparò di nuovo, colpendola questa volta alla parte scoperta del braccio sinistro. Nino non era un violento, ma per quel lavoro, possedere una buona mira era un requisito indispensabile. E lui si era diplomato alla scuola di tiro fra i primi tre del suo corso!

Faidara barcollò, sempre più preda della sorpresa che del dolore –in fondo, il corpo non era il suo...Ma da quando questi patetici ometti avevano trovato il coraggio di battersi con dei Generali di Thulsa Doom?!

Sorrise. Poco male...Con il terrore distillato da quel cuore coraggioso, avrebbe rinnovato la sua forza per prendere l’occhio e finire quel branco insulso..!

A un suo cenno, altri esecutori spuntarono dai ghiacci.

Nino bestemmiò, e sparò di nuovo. Questa volta senza effetto.

Faidara si chinò nuovamente su Karl. Avvicinò le unghie alla carotide. Niente finezze, questa volta, solo il prosciugamento della sua energia vitale...

“Ci sono ancora inviti aperti, a questa festa?” disse una nuova voce. Del tutto inaspettata!

 

Le Brume spuntarono dal nulla, esseri di puro gelo, numerosi come i fiocchi di neve. In un attimo, il branco di lupi fu di nuovo ingolfato in una battaglia per la vita.

La tattica era chiara: distrarre il Pack, impedire loro di raggiungere Faidara per tempo...

Dalle rovine della stazione, fucile in mano, Franco Salinas osservava gli eventi senza sapere cosa fare. Nino aveva avuto un cuor di leone, a buttarsi alla ricerca di quella donna pazza. Franco si sentiva come un allibratore la cui unica scommessa era fra due perdenti. Che ne sarebbe stato di lui, di tutti loro, chiunque avesse vinto..?

Vide quel ‘Sir Wulf’ cadere in agonia sotto il tocco delle Brume, contro cui le sue armi erano inutili.

Vide il rosso, ‘Karnivor’, ruggire per quell’evento, raddoppiare i suoi sforzi, ma invano.

Vide il Predatore cedere.

Vide la femmina in nero sorpresa alle spalle, ululare per il dolore.

Vide un mannaro nero, che non conosceva, subire la stessa sorte.

Vide Tyr tenere duro, brandire una spada che disintegrava le Brume al solo contatto, ma anche per lui era solo questione di tempo.

E quel licantropo dal pelo bianco e nero resistere con una forza innaturale al numero schiacciante.

E vide Nacrom ridere; una risata oscena, distillato di odio e disprezzo.

Franco Salinas si toccò la spalla, là dove il tocco di quel mostro lo aveva ustionato come acido. La cicatrice era anestetizzata a stento dal freddo. Nelle mani di Nacrom, Franco si era sentito come sfiorato dall’ombra dell’angelo della morte e dal demonio in un colpo solo.

Era stato orribile. Desiderava solo nascondersi in un angolino, e sperare che l’uomo nero non lo trovasse mai...

E se vincevano quei lupi? Lo avrebbero mangiato? Dio, tutte le cose orribili che aveva sentito sui mannari e averli così vicino in carne ed ossa...Lo avrebbero trasformato in un mostro come loro?

Loro ti hanno salvato.

Il pensiero, che aveva girato come un disco rotto nelle nebbie del terrore, si fece strada improvviso come uno squarcio di sole fra le nuvole.

Era vero. Era vero.

Il vento iniziò a calare.

Lui era vivo proprio grazie a loro. Potevano lasciarli morire e terminare la battaglia senza intoppi!

Non lo avevano fatto.

Era vero. Franco Salinas si aggrappò disperatamente a quel pensiero. Qualunque fosse la natura della sua paura, lui era un uomo, era un essere raziocinante.

I fatti smentiscono le menzogne!

I fiocchi di neve si diradarono. La visuale davanti a lui era libera.

Levò il fucile. Prese la mira.

 

Di fatto, il Pack era stato reso inoffensivo.

Nacrom prese un indebolito Jon Talbain per la collottola. “In qualche modo, resisti al mio tocco...Meglio, animale. La tua fine sarà più piacevole. Donerò il tuo cuore al Padrone, e il tuo pelo decorerà il suo mantello...” Caricò la mano di energia dal colore malato.

Jon si preparò. Nella sua morte, avrebbe decretato anche quella del mostro –avrebbe sferrato un ultimo colpo, con le forze rimastegli...

Fu uno sparo, a decretare le sorti della battaglia. Un colpo solo, cortesia di un Remington religiosamente ben tenuto e puntato con precisione da una forza di volontà insospettata.

Forse per miracolo, forse per caso...Fatto sta che il proiettile penetrò con precisione millimetrica attraverso la fessura del paraocchi. L’occhio sinistro di Nacrom esplose in un geyser verdastro di umori marci. Un proiettile. Un semplice grumo di lega metallica, che fece quello che il Sidar-Var, il Campione, non era riuscito a fare.

Nacrom urlò. Non morì, ma con la sua concentrazione distrutta, le sue Brume si dissolsero in un’esplosione di vento e di cristalli di ghiaccio.

 

La donna era rimasta sorpresa. Per conto loro, Karl e Nino non si sorprendevano ormai più di niente.

Ad interrompere, questa volta, era stato non un ‘semplice’ licantropo. Oh, no...a meno di non volere considerare tale una versione lupina dell’X-Man Colosso. Un essere di puro metallo modellato come un corpo vivo.

“Scusa il ritardo, bellezza...ma c’era molto traffico!”

Che le piacesse o no, Faidara era indebolita dalla perdita di sangue, dal consumo di energia...Quella cosa non l’aveva prevista neppure il Padrone... “Chi sei?”

Il mannaro tecno-organico si grattò la testa, imbarazzato. “Ops. Dimenticavo le buone maniere. Sono Warewolf. E tu sei morta, giusto?”

Uccidetelo!” gridò lei agli esecutori, che si affrettarono ad obbedire –almeno, a provarci ad obbedire.

Warewolf levò le braccia. Dai polsi, emersero piccoli cannoni che già brillavano di energia.

Scariche di plasma trasformarono gli esecutori in granitiche briciole.

“Dunque, dov’eravamo rimasti?” fece Warewolf alla donna, che ormai si trovava contro la parete ghiacciata.

In risposta, Faidara fece uno strano sorriso. “Puoi anche risparmiarti di uccidermi, creatura...Tanto, lo farà il Padrone per il fallimento che porto quale mia sola offerta.” Bisbigliò qualcosa in una lingua morta e dimenticata...e svanì!

Sofia!” Karl balzò in piedi. Ma era già troppo tardi.

 

Tyr sogghignò ferocemente. “Ora, mio potente alleato! Mostra di cosa sei capace!”

Il corpo del Dio della Guerra scomparve in un’esplosione di fumo luminoso...e al suo posto, stava ora il gigantesco Lupo Fenris.

Prima che Nacrom potesse solo organizzare una difesa, il mostro nero spalancò le fauci. Ancora una volta, il suo Howl Blast avvolse il nemico in un turbine senza scampo! Le carni di Nacrom furono consumate come carta in un inceneritore. L’ultimo grido di Nacrom si confuse col ruggito dell’energia infuocata. Quando quel torrente si estinse, di un Generale era rimasto solo il guscio vuoto e semifuso...

 

Mezz’ora e un certo sforzo di fattori rigeneranti dopo, sulla pista aerea...

 

“Almeno, l’aereo lo avete risparmiato. Alla radio hanno detto che saranno qui fra un’ora al massimo.” Nino emerse dal DeHavilland Otter, e guardò sconsolatamente quel poco che rimaneva della stazione. “Ero indeciso fra la fuga di gas e i terroristi. Quando ho detto la seconda, mi hanno creduto più in fretta che a dir tombola.”

La cassetta del pronto soccorso era bastata per le prime medicazioni...Anche se nessuna medicazione avrebbe potuto consolare il povero Karl, che fissava il ghiacciaio con quasi odio. “Spero che almeno questo vostro maledetto Occhio di Set sia valso la pena per questo casino.”

Jon Talbain stringeva in una mano l’oggetto in questione, una specie di rubino rosso, pulsante di energia propria. Mestamente, le orecchie basse, disse, “Sì. Fin quando l’Occhio resterà con noi, molte sofferenze peggiori di quelle oggi patite sono state prevenute.”

Karl sospirò. “Vi chiedo scusa. Non ce l’avevo con voi...Io...Rivedrò mia sorella, vero? Mi avete detto che...”

Jon gli accarezzò una spalla. “Thulsa Doom vorrà avere a disposizione una speranza per voi proprio per poterla soffocare a suo piacimento...Ma noi glielo impediremo. Glielo prometto. A nome mio e del Pack.”

Karl vide i lupi annuire gravemente. E seppe di poter contare almeno sul loro impegno per mantenere la promessa. Per la prima volta nella giornata, si permise un sorriso di speranza.

Franco si rivolse a Nino, dandogli una pacca sulla spalla. “E tu, novellino? Da quando ti è venuto un simile chilo di fegato? Io ero lì che praticamente me la facevo sotto!”

Nino fece spallucce. “Non fosse stato per quell’angelo rosso,” guardò verso Wolfsbane, che era senza l’elmo. Le sue orecchie si agitarono per l’imbarazzo. “Non fosse stato per lei, anzi, per tutti loro, sarei morto...o peggio. E poi, come potevo pensare che potesse essere dei cattivi, quando l’ho vista dedicarsi con una simile dedizione al suo compagno?”

Questa volta, le orecchie le arrossirono. Come una cuccioletta, nascose il muso nella fitta criniera di Jon.

“Ancora non capisco,” fece Franco. “Ho dovuto farmi forza per sparare solo quel colpo. Insomma, eravamo ipnotizzati o che..?”

Fu Sir Wulf a rispondere, “Una maledizione, ad essere precisi. Sarà difficile per voi crederci, ma c’è una maledizione lanciata da Thulsa Doom[xxiv] contro tutti i mannari del mondo. In virtù di essa, ogni essere umano ci odierà e ci caccerà fino a quando non saremo riusciti a liberarci del mostro una volta per tutte. Per questo l’uomo teme anche il solo fratello lupo in modo così paranoide in tutto il mondo...” sospirò, poi sorrise. “Ma voi l’avete vinta. Avete esorcizzato la paura con la sola volontà ed il cuore. Preghiamo che non dimentichiate questo giorno così importante per noi tutti.”

“Dobbiamo chiedervi una cosa,” disse Jon. “Per favore, non dite a nessuno di noi. Come avrete intuito, non ci siamo solo noi, al mondo, della nostra specie. La segretezza è la sola cosa che ci ha permesso di vivere in pace fino ad oggi...”

In risposta, Nino stese la mano. Il suo volto era solenne al punto da farlo sembrare più vecchio. “Non dimentico un simile debito, peloso. Se anzi avrete bisogno di un buon tiratore, dovete solo chiamare.”

Jon strinse l’arto, ricambiato...Poi, anche le mani di Karl e Franco si unirono nella solenne promessa. Non ci furono altre parole, non ce n’era bisogno, bastarono gli occhi... “Solo una cosa,” disse Franco, fissando Karnivor negli occhi. “Scherzavi, quando parlavi di quella cosa di ostaggi, vero?”

Karnivor ricambiò col silenzio...Prima di dire, “Se dovessi rivivere quel momento, sarebbe stato un bluff.”

Franco annuì, poi stese la mano anche a lui. “La sincerità è un dono raro, e mi basta. Ma riprovaci, e ti prendo quel culo peloso a calci, chiaro?”

Karnivor sorrise, e fece sparire la mano umana nella propria zampona.

 

Tyr rimase in disparte fino a quando i due gruppi non si separarono e i lupi vennero verso di lui. Sapeva cosa aspettarsi per l’immediato futuro. Spiegazioni da dare, molte come minimo, per la sua reticenza a fare combattere Fenris.

La verità era che avrebbe dovuto tenerlo nascosto anche in quel momento critico, ma non c’era stata altra scelta. E ora il suo cacciatore aveva stabilito il contatto, sapeva dove trovarlo ovunque nel mondo.

Presto, la verità avrebbe dovuto venire fuori.

L’Asgardiano sperò solo che il Power Pack fosse sopravvissuto all’imminente prova...

 



[1] Guai a chi non si è letto la saga ‘Teomachia’ su Thor (#1-5)!

[2] Marvel Comics Present #22

[3] Episodio 1

[4] Teomachia, su Thor

[5] Saga Atlantide Attacca!

[6] Ebbene sì, nello speciale ‘Guerre ad Asgard’!



[i] MONSTERS ON THE PROWL #16

[ii] SUPERNATURALS #1

[iii] THOR Corno #134

[iv] WARLOCK AND THE INFINITY WATCH #6

[v] Heroes for Hire/Quicksilver ‘98

[vi] NEW MUTANTS ANNUAL #4

[vii] SUPERNATURALS #2

[viii] Codename: Genetix #1-3

[ix] UOMO RAGNO #23

[x] WEREWOLF BY NIGHT

[xi] Ep. #5

[xii] L’UOMO RAGNO Star #109

[xiii] UR #23-PP #4

[xiv] WOLVERINE #40 Play Press

[xv] WOLVERINE Annual #1999

[xvi] DOCTOR STRANGE SORCEROR SUPREME #26

[xvii] e per chi non sapesse fare ancora le somme, parlo della Godstone e dello Spirito di Antesys chiuso in essa. Il suo fato è descritto in KNIGHTS TEAM 7

[xviii] JI #4 e VILLAINS #10

[xix] e chi non ci crede corra a leggersi WOLVERINE #75 MITA – l’Ululante

[xx] WOLVERINE Play #40-41

[xxi] Su I DIFENSORI

[xxii] Ep. Precedente.

[xxiii] Sempre ep. Precedente

[xxiv] Come descritto nell’ep. #7